History of the Peloponnesian War

Thucydides

Thucydides. Della storia di Tucidide volgarizzata libri otto. Anonymous translator. Florence: Tipografia Galileiana, 1835.

« Contro tante forze adunque non basta solo un navale e debole esercito, ma ci vogliono eziandio sulle

itevi molti soldati da sbarco, se vogliamo eseguire alcun chè dégno del nostro concetto, e non essere impediti di pigliar terra da grossa cavalleria , specialmente nel caso che le città impaurite si colleghino insieme, o che noi non troviamo altri amici ( dagli Egestei in fuori ) thè ci somministrino cavalli da opporre al nemico. Sarebbe certo vergogna l’essere astretti a tornarcene, o chiedere dipoi nuove truppe per aver deliberato inconsideratamente da primo: ond’è che Conviene partir di qua con sufficienté apparecchio, sapendo che dobbiamo navigare molto dilungi dal paese nostro. Voi non uscite ora alla guerrà siccome quando portate le armi Contro alcuno fra genti a voi soggette t e però cavate facilmente i viveri da paesé amico: ma andate a gettarvi lontani ih terra straniera, donde non è facile aver qua nuove neppure in quattro mesi d' inverno.

et II perchè pare che dobbiamo traghettarvi molté milizie gravi delle nostre, degli alleati, dei Vassalli (é potendo, cavarne alcune dal Peloponneso o colle persuasioni o col soldo ) e molti arcieri e frombolici per fai4 testa alla loro cavalleria , e molto maggior numero di navi per trasportare più facilmente i viveri, e condurre di qua sulle barche da carico grano e orzo tostato , e panattieri salariati tolti ripartitamente dai mulini, acciocché, ovunque ci troviamo sorpresi dà qualche fortuna di mare , il bisognevole non manchi all’armata, alla quale essendo si grande non potrà ogni città dar ricovero. Insomma bisogna non fidarsi agli altri, e provvedersi per quanto si può d’ogni altra cosa, e soprattutto portar di qua moltissimo denaro; perchè quel degli Egestei che si dice esser colà pronto, siate certi che è pronto piii che altro in parole.

« Che se noi di qua vi anderenio con apparecchio non solo equivalente ma anche superiore in ogni cosà (io eccettuo i loro soldati gravi che son bene Agguerriti)

difficilmente anche così potremo vincere i nemici e salvare gli amici. Vuoisi poi far ragione che coloro che vanno ad impadronirsi di città posta in mezzo a gente straniera e contraria, bisogna nel primo giorno in die approdano si rechino in poter loro il territorio , o si aspettino al primo fallo di trovar nemici da per tutto. Lo che temendo e sapendo aver noi spesse volte bisogno di reuo consiglio, e più anche di buona ventura (che agli uomini tocca difficilmente), voglio, nel mettermi in mare, darmi 'n balìa della fortuna il men possibile, e navigar con apparecchio che ragionevolmente mi offra sicurezza. Queste, a mio avviso, sono le cose che più fanno sperare fermezza alla Repubblica intera, e salute a noi che dobbiamo militare: e se pur v’ha cui sembri altramente, io gli cedo il comando ».

Tutte queste cose disse Ni eia sperando o di rimuovere gli Ateniesi dall’ impresa colla moltiplicità degli ostacoli, o se fosse costretto alla spedizione di potere in quel modo navigare più sicuramente. Essi però con tutta quella farragine di apparecchiamenti uon scemarono U brama della spedizione, ma s’infiammarono viemaggior' mente ; cosicché la cosa gli andò al contrario : perocché fu creduto che egli consigliasse bene , e che l' impresa nel modo detto da lui riuscirebbe prosperamente. E il desiderio di navigare entrò in tutti egualmente ; nei vecchi perchè speravano di soggiogare i luoghi contro i quali andavano, o almeno di non dovere esser battuti con à grossa armala ; in quei di fresca età per la brama di vedere cd osservare un paese lontano, e per la fiducia di avere a tornar sani e salvi ; e la numerosa moltitudine e i soldati ripromettevansene denaro al presente, e nuovo acquisto di potenza, onde otterrebbero gli stipendi a vita. Tantoché per quella viva generai bramosia, se alcuno vera cui ciò non piacesse, se ne stava tranquillo, temendo dì

passare per malaffetto alla Repubblica ove col suo voto si opponesse.

Finalmente un Ateniese fattosi avanti e confortato Nicia, disse che non bisognava tergiversare nè indugiare, ma dire in faccia a tutti quali preparamenti dovessero gli Ateniesi decretarli. E Nicia, benché malvolentieri, rispose che ne terrebbe posatamente più serio consiglio coi suoi colleghi : nondimeno parergli fin d’allora non doversi navigare con meno di cento triremi; che quelle destinate al trasporto delle truppe dovevano esser propio degli Ateniesi in quel numero che e’ credessero, le altre si facessero venire dagli alleati : che i soldati gravi tra degli Ateniesi e degli alleati dovevano essere in tutti non meno di cinque migliaia , e più se si potesse ; e che bisognava allestire e condurvi tutti gli altri fornimenti in proporzione dell’esercito, e arcieri d’Atene e di Creta, e frombolieri e ogni cosa che giudicassero opportuna.

Gli Ateniesi udito ciò, subito decretarono che i capitani avessero illimitato comando , e che quanto al numero delle soldatesche ed a tutta la navigazione facessero iu quel modo che credessero il meglio per Atene. Dopo di che cominciarono gli apparecchi, e mandarono per le truppe degli alleati, e facevano il ruolo di quelle di li : e siccome la città si era da qualche tempo riavuta dalla pestilenza e dalla continua guerra, cosi vi era molta fresca gioventù, e copia di denaro stante la tregua ; onde tutto somministravasi più agevolmente.

Ma frattanto che davano opera agli apparecchiamenti , quanti Mercuri di pietra erano in Atene ebbero la maggior parte smozzicata la faccia in una sola notte. Sono essi un lavoro di figura quadrangolare, e secondo l’usanza del paese trovansene dimoiti negli atrii delle case e nei luoghi sacri. Nissuno sapeva i rei di tal misfatto, ma erano essi inquisiti, proposti pubblicamente grandi premii a

chi li scoprisse; e di più fu fatto un decreto col quale davasi l’impunità a chiunque cittadino, forestiero oservo, manifestasse qualsivoglia altro sacrilegio che sapesse essere stato commesso. E davano maggior peso a questa cosa perchè pareva un malagurio per la spedizione, ed insieme fatta per congiura di tentar cose nuove ed abolire lo stato popolare.

Pertanto alcuni inquilini e servi diedero degli indizi non già riguardo a’Mercuri ma ad alcuni guasti di altre statue fatti per ischerzo da dei giovani avvinazzati, ed insieme riguardo a de’ misteri che per disprezzo si facevano nelle case ; di che accusavano ancora Alcibiade. E quei principalmente che non lo potean patire, perchè sé lo vedevano d’impaccio a primeggiar sicuramente nel popolo, e che stimavano che cacciato lui rimarrebbono essi i primi, raccoglievano tali accuse, e le ingrandivano, e vociferavano che le mistiche cerimonie e il guasto de’ Mercuri avean per iscopo il disfacimento della democrazia, e che nessuna di quelle cose erasi fatta senza di lui ; adducendo in prova la sregolatezza nel resto di sua condotta non punto popolare.

Egli di presente si difendeva di tali indizi, e se nulla di ciò avesse commesso mostravasi pronto a soste« nere il giudizio e pagar la pena prima di partir colla flotta (e già gli apparecchi erano stati fatti), ed a prendere il comando se venisse prosciolto. Li scongiurava a rigettar le accuse quando fosse assente, e se lo credessero reo ad ucciderlo subito ; e diceva esser miglior consiglio il non mandarlo alla testa di sì grande armata con quelle imputazioni prima del giudizio. Ma i suoi nemici temendo che forse combattendo egli la propria causa arebbe benevolo l’esercito, e il popolo a suo riguardo sì ammollirebbe, perchè aveva operato che gli Argivi ed i Mantineesi » unissero a questa spedizione , dissuadevano e «consigliava-

do i cittadini da quelle sue dimande, mettendo innanzi altri oratori, che dicevano dovere imbarcarsi allora e non prolungare la mossa delParmata ; che poi ritornato se ne farebbe giudizio in certi giorni. Volevano essi che richiamato tornasse a dire la sua causa contro imputazioni maggiori, che, lui assente, avrebber trovate più agevolmente ; e fu risoluto che allora partisse.

Dopo queste cose, essendo già a mezzo la state, facevano partenza per Sicilia. Prima però era stato intimato che il più degli alleati, e le navi annonarie e le barche e tutto il fornimento che seguiva la flotta dovessero ridursi a Cor fu, a fine di tragittare di là tutti insieme pel seno ionico al promontorio Iapigio. E gli Ateniesi, e se alcuni degli alleati si trovavano ad Atene, nel giorno stabilito scesero sull’aurora nel Pireo, e montarono sulle navi per far vela, e con essi scese tutta, per cosi dire, l’altra moltitudine della città, cittadini e forestieri, e quelli del paese, per accompagnare ciascuno chi gli amici, chi ì parenti , chi i figlioli : e in andando erano in preda alla speranza ed al pianto; quella per le conquiste che essi potrebbero fare, questo perchè forse non gli avrebbono a rivedere mai più, considerando il lungo viaggio a che erano spediti lontano dalla patria.

E fu allora appunto che dovendo darsi lo scambievole addio, col pensiero dei pericoli provarono raccapriccio maggiore che quando decretarono la spedizione. Contuttociò osservando particolarmente la grandezza degli apparati, ripigliavano cuore alla vista delle presenti forze.

I forestieri poi e l’altra turba vi andò per godere di uno spettacolo quanto sublime , altrettanto maggiore d’ogni pensiero. Infatti quest’armata di soldatesca greca la prima a mettersi in mare da una città sola, fu sontuosissima e magnificentissima oltre ogni altra fino a quel tempo. Bene è vero che per il numero delle navi e delle milizie greche

non fu ad essa inferiore quella che con Pericle andò ad Epidauro, e poi con Agnone a Potidea : poiché vi sì unirono quattromila soldati gravi, e trecento cavalli, e cento triremi degli Ateniesi, e cinquanta di quelle de’ Lesbii e Chii, cou più molti confederati. Ma quelli si mossero a breve navigazione e con piccolo equipaggio : dove questo stuolo che dovea durare del tempo, e servire per terra e per mare (qual che si fosse il bisogno) era completamente fornito di navi e di truppe da sbarco. La flotta fu messa all’ordine con grandi spese de’trierarchi e della Repubblica. Il Comune dava una dramma il giorno per marinaro, e somministrava le navi vuote, sessanta leggere, quaranta per il trasporto de' soldati gravi, ed ottime barche a servigio di questi. I trierarchi oltre al soldo del Comuue davano un aumento di paga ai marinari traniti, o vogliaci dire remiganti da poppa, ed a quelli delle barche ; ed usavano anche nel resto di assise ed acconciamenti di gran pregio , e ciascuno studiavasi sommamente che la sua nave primeggiasse di gran lunga o per qualche bella fregiatura o per velocità. I soldati poi da sbarco erano stati scelti con ottime leve, e gareggiavano tra loro con gran cura della bellezza delle armi e delle altre cose che riguardavano la persona. A ciò aggiuguevasi ancora gran competerai scambievolmente negli uffici assegnati a ciascuno, di qualità che pareva quella piuttosto una mostra di potenza e di forza a petto agli altri Greci, che un apparecchio contro a' nemici. Ed in vero se alcuno vorrà computare la pubbliche spese della città e quelle private dei soldati ; cioè quanto alla città le spese già fatte di prima e l’equipaggio con che spediva i generali \ quanto ai particolari. quel che ognuno aveva speso per la sua persona , e i trierarchi per la propria nave, e quel che erano ancora per ispendere ; e di più ciò che oltre al soldo del Comime ciascuno naturalmente si procurava pel viatico, trattandosi
dì lunga spedizione, e ciò che ogni soldato o altro navigante portava seco per farue commercio ; troverà molti talenti in tutti essersi portati fuori di patria. Cosi questa armata più che per la maggioranza dell’esercito, a confronto de’ nemici contro i quali audava, fu famigerata per lo stupendo ardimento e per la splendida comparsa , ed eziaudio perchè quello era il tragitto più lontano dal proprio paese, ed intrapreso con speranza troppo grande delle cose avvenire, avuto riguardo alle forze presenti.

E poiché le navi furono piene di soldati con entro tutto ciò che partendo doveano portar seco, fu dalla tromba intimato il silenzio ; e le consuete preghiere prima di salpare non si facevano da ciascuna nave in particolare, ma da tutta insieme la flotta all’ intonazione dell’araldo. Poi con tazze d’oro e d’argento i soprassaglienti e i capitani libavano il vino mesciuto in grandi vasi per tutta l’armata, e di sul lido 6Ì univa alle loro preci l’altra mol~ titudine di cittadini, e di quanti erano loro benevoli. Cantato quindi il Peana diedero le vele ai venti ; e da prima movendo le navi in fila presero subito a gareggiar nel corso sino ad Egina, e si affrettavano di giungere a Corfu ove doveano far capo le altre truppe alleate. Intanto a Siracusa venivano nuove da molte parti della mossa della flotta, e con tutto questo per un pezzo non ne credevano nulla. Ma tenutasi adunanza , varii parlarono secondo il loro avviso, stimando alcuni vera la spedizione degli Ateniesi , altri contradicendo : ed Ermocrate di Ermone persuaso di esser bene informato di tali cose , orò facendo queste esortazioni.

« Parrà forse che io , siccome alcuni altri, dica cose incredibili, se vi do per vera la mossa della flotta nemica. So che chi dice ed annunzia ciò che non ha faccia di credibile, non solo non persuade v ma passa ancora per dissennato : nientedimeno , pericolando la Repubblica,

non vo’ per questo timore rimanermi, essendo io convinto di parlare con più chiare notizie degli altri. Si, gli Ateniesi (di che voi grandemente maravigliate) vengono contro noi con grosso esercito marittimo e terrestre, sotto colore di soccorrer come alleati gli Egestei, e di far rimpatriare i Leontini; ma nel vero perchè bramano la Sicilia, e principalmente la città nostra, presa la quale credon facile occupare il rimanente. Per lo che aspettateveli qui ben presto, e vedete qual sia il modo più decoroso per resister loro, e non vogliate, dispregiandoli, lasciarvi cogliere alla sprovvista ; o non credendo a me trascurare l' universale. Se poi vi ha chi mi creda, costui non si sgo» menti dell audacia e potenza loro ; perchè e' non potranno più danneggiar noi che toccarne. La loro stessa venuta con numerosa flotta non è senza nostro vantaggio; anzi tanto meglio rispetto agli altri Siciliani, che impauriti di quella vorranno con più prontezza collegarsi con noi. E se noi potremo o disfarli o respingerli colle mani vuote di ciò che bramano (nè io temo perdio che abbiano a conseguire quel che si aspettano) ci verrà fatta la più bella delle imprese, che quanto a me non dispero. Poche sono le armate o di Greci o di barbari che andate molto diluogì dal proprio paese abbiano avuto buon successo : perché esse non vanno colà in maggior numero degli abitanti e de’vicini, che tutti per la paura si riuniscono. E se per mancanza di viveri rovinano in paese straniero, tutto che per lo più cadano per propria colpa, pure lasciano rinomanza ai popoli insidiati. Così questi stessi Ateniesi nei molli e non presumibili tracolli del Medo, crebbero per la fama che egli andasse sol contro Atene : e noi non dobbiam disperare che possa accaderci altrettanto.

« Laonde faccia m cuore e prepariamo qui le cose nostre; mandiamo ai Siculi per confermar meglio alcuni e per procurarci l'amicizia e la lega di altri ; inviamo le«

gfet! al resto di Sicilia mostrando che il pericolo è comune, ed io Italia acciò facciano alleanza con noi, o almeno non ricevano gli Ateniesi. Credo anche ben fatto spedire a Cartagine, perchè anche là pur troppo si aspettano e sono sempre in timore che gli Ateniesi o prima o poi non assaltino la loro città : talché forse , al riflettere che non dandosi ctìra di queste cose potrebber trovarsi anch’essi in travaglio, vorranno soccorrerci o di furto o alla scoperta, o in qualunque altro modo. E certo, volendo, possono farlo più di tutti i popoli d’ora, perchè hanno molto oro ed argento, che come sono l’anima delle altre cose , così lo sono della guerra. Mandiamo eziandio a Sparta e a Corinto pregandoli di pronto soccorso per qua, e di mover la guerra nell’Attica. Ma non voglio tacervi qual io mi tenga miglior partito, benché voi non l’approverete tostamente per la vostra solita infingardia ; cioè che noi Siciliani tutti insieme , se vorremo, o almeno moltissimi con esso noi, messo in mare quel che abbiamo di flotte andiamo col foraggio per due mesi ad incontrar gli Ateniesi a Taranto ed al capò Iapigio, ed a far loro chiaro che non avranno prima a combattere per la Sicilia, ma per aprirsi il passaggio dell’Ionico. In questo modo gli sbigottiremo sommamente, e li ridurremo a pensare che noi difensori della patria avremo un ridotto, onde muoverci, in terra amica quale è Taranto ove saremo ricevuti ; che essi dovranno valicar molto mare con tutti gli apparecchi; che difficilmente la loro flotta potrà mantener l’ordine per la lunghezza del tragitto, e che movendosi lentamente ed assaltandoci alla spartita, noi potremo con vantaggio assalirla. Nel caso poi che votate le navi leggere vengano con queste più serrate ad assalirci, allora, se useranno dei remi, gl’ investirérao già stanchi ; e dove non ci piaccia, potremo ritirarci a Taranto. Ed essi intanto che avranno fatto quel tragitto con iscarse provvisioni, quasi si trattasse di una battagli»
navale, saranno sorpresi dalla carestia in luoghi deserti, ovi rimanendo saranno assediati; tentando di proseguire il corso dovranno abbandonare gli altri apparecchi e perdersi d’animo, non avendo la sicurezza che le città vogliano riceverli. Laonde io stimo che ristretti da questi pensieri, neanche sciorranno da Corfù ; ma mentre deliberano e vanno spiando quanti e dove siamo , si troveranno dalla stagione spinti nell’inverno ; o attoniti del nostro inaspettato ardimento porranno fine alla navigazione. E ciò tanto pia quanto che (come sento) il più esperto de’ loro generali li conduce a mal grado , e volentieri piglerebbe il pretesto di veder per parte nostra che noi abbiamo di che stargli a petto. Io son certo che di noi avranno nuove maggiori di nostre forze : or le opiuioni degli uomini vanno dietro alla fama, e più si teme chi primo assale, che chi per tempo mostrasi pronto a ributtar l’assalitore; perchè lo crediamo pari a noi nel cimento. E tal sarà ora degli Ateniesi : conciossiachè dispregiandoci giustamente perchè noo ci siamo uniti co’ Lacedemoni a distruggerli, ci vengono contro come a gente che non sappia difendersi. Ma se vedranno 1J inaspettato nostro ardire, saranno più atterriti da questo impensato coraggio, che dal vero ragguaglio di nostre forze. Seguite adunque il mio consiglio soprattutto di mostrar questo ardire , o almeno di apparecchiar prontamente le altre cose per la guerra ; richiamatevi tutti alla mente che il disprezzo per l’assalitore si mostra dal vigore dei fatti, e che sarà nostro grandissimo bene se per quanto stimiamo sicurissimi i preparamenti fatti per paura, nondimeno opereremo come se fossero mal sicuri. Ma già i nemici ci muovono incontro, già, lo so bene, sono in corso, già già son presenti ».

Con tanta forza parlò Ermocrate , e nel popolo siràcusano fuvvi gran repetio , dicendo alcuni che gli Ateniesi non verrebbero in nessun modo, e che false erano

le cose recitate da Ermocrate ; altri che quand’anche venissero sarebbe più il danno che riceverebbero di quello che farebbero ; altri poi dispregiavano adatto e volgevano in riso la cosa, Pochi vi erano che credessero ad Ermocrate, e temessero del futuro. Ma Atenagora, capo del popolo ed allora per la sua facondia accettissimo alla moltitudine , fattosi fra loro innanzi disse queste parole :

« Chi non desidera che gli Ateniesi sieno giunti a tanto di stoltezza da venir qua per mettersi nelle nostre mani, o è un vile, o non vuol bene alla patria. Di quelli poi che vi annunziano tali cose e vi sbigottiscono, io ammiro non l’audacia ma la dabbenaggine, se credono non manifestarsi quali sono. Imperciocché quei che temono di qualche cosa in particolare, vogliono mettere in costernazione la città, per abbuiare la propria colla paura comune. Ed or tali nuove vanno a parare a questo ; esse non si spargono da per sé, ma son composte da gente che siffatti movimenti di continuo rimugina. Voi però, se avrete senno, farete ragione di quel che può avvenire, considerandolo non dalle novelle che costoro vi arrecano , ma da ciò che dovran fare uomini sottili e di molte cose esperti, quali io tengo gli Ateniesi. E vinca il vero, non è credibile che vogliano lasciarsi dietro i Peloponnesi, e senza aver per anche acconciata stabilmente la guerra di là, venire spontaneamente ad un’altra non minore; e si contenteranno , a mio avviso, che noi con tante e sì grandi città non andiamo contro di loro.

« Se poi, siccome è fama, ci verranno, credo che la Sicilia tanto più del Peloponneso sia sufficiente a debellarli, in quanto é meglio fornita di tutto ; e che la città nostra da sé sia molto più potente dell’armata che ora, siccome dicono, c’ invade, foss’ella due cotanti. Io so infatti che non avranno seco cavalli (fc non potranno procacciarli d' qui tranne pochi dagli Egestei), nè soldatesca grave numerosa

al par della nostra, dovendo essi venire sulle navi« Imperciocché è di per sé stesso gran cosa il condursi qua per sì lungo tragitto colle sole navi leggere, e trasportare tutti gli altri apparati che abbisognano contro sì fatta città, i quali certo non denno esser pochi. Laonde tanto discorda dagli altri colla mia opinione, da pensare anzi, che qualora pure venissero qua possedendo città di egual potenza eoa Siracusa, e ci facessero guerra abitando a confine, appena potrebbero non esser totalmente disfatti. Quanto più poi lo saranno trovando nemica tutta Sicilia che si unirà contro loro , i quali dovranno usare solo di accampamenti piantati colle navi e di meschine trabacche e del solo necessario apparecchio, donde non potranno molto scostarsi perché impediti dai nostri cavalli. Insomma io stimo che non potranno nemmeno pigliar terra, tanta è a mio credere , la superiorità di nostre forze.

« Ma gli Ateniesi che pensano su di ciò come io dico, son certo che vogliono conservare il loro stato ; e tali cose che non hanno nè aver possono consistenza vengono spacciate da alcuni di qui, i quali non ora per la prima volta ma sempre li ho veduti desiderosi di occupare il dominio della Repubblica collo spaventarvi o mediante tali ciance e di più maligne ancora, o col terrore dei fatti ; e, perdio, temo non abbia una volta a seguir l’effetto dei loro replicati sforzi. E noi non siamo da tanto per guardarci innanzi di patir ciò, nè per punirli quando scuopriamo le loro trame. Però poco riposa la città nostra, ed è soggetta a molte sedizioni e contrasti più contro sé medesima che contro i nemici , e talora contro a tirannidi e ingiuste signorie. Delle quali malvagità, ove vogliate assecondarmi , mi sforzerò che neppur una intervenga a’ tempi nostri ; userò con voi popolo le persuasioni, e coi macchinatori di tali scelleratezze il castigo , non solo quando sien colti in sul fatta (che è difficile coglierveli ) ma eziandio quando meditino qualche

cosa, e non possano eseguirlo. Conciossiackè non si vuol punire il nemico solo di quel che commette» ma ancora preoccuparne i pensieri, ove pur con tutta la precauzione ti riesca non essere offeso. Scuoprirò poi all’occorrenza i fautori dell’oligarchia, veglierò sopra loro, li istruirò ; parendomi queste le inaniere più profittevoli al rimuoverli dal misfare. Ed in fè vostra o giovani (cosa che spesso ho tra me considerato) dite che mai volete ? forse aver subito parte al governo ? Ma il vieta la legge, e tal legge è stabilita piuttosto in riguardo alla vostra insufficienza che per farvi disonore. O volete forse non stare alla pari col popolo ? Ma come è egli giusto che uomini tra sè eguali non abbiano eguali diritti?

« Dirà taluno che la democrazia manca di accorgimento e di giustezza , e che i denarosi sono i più idonei a comandare ottimamente : ed io rispondo, primo che il nome popolo comprende tutto Io stato, quello d’oligarchia una parte : di poi che i migliori custodi del denaro sonoi ricchi, consiglieri ottimi i saggi, ed ottimo giudice il popolo, inteso che abbia le cose. E tutte queste classi di cittadini, sì in diviso sì in comune, trovano eguaglianza nella democrazia ; laddove l’oligarchia fa parte de’pericoli al popolo; quanto però ai vantaggi, non solo la maggior parte, ma anche tutti glieli toglie e gli usurpa per sè. Ecco quello di che si brigano tra voi i potenti ed i giovani , ma che è impossibile ad ottenere in città grande. Anzi, o gente dissennata sopra tutte, voi fin d’ora vi mostrate o i più imbecilli di quanti Greci conosco, se non vi accorgete che così correte alla rovina ; o i più ingiusti se sapendolo, nondimeno Tosate.

« Laonde istruiti dalle mie parole, ovvero mulando proponimento, aumenterete il bene della Repubblica comune a tutti, se andrete convinti che i buoni tra voi ne avranno eguale anzi maggior frutto che non la molti«

tudine ; dove pensando altramente risicherete di restar privi di tutto« E cessate da tali nuove, persuasi che noi preseti' tiamo la mente vostra, e che non lasceremo che ne segua l’effetto. Imperciocché ove pur vengano gli Ateniesi, questa citta saprà respingerli in modo degno di lei, ed a noi sono capitani chea ciò provvederanno. Che se nessuna di tali cose è vera (com’ io non dubito), la città non vorrà mica sbigottire delle vostre novelle, né scegliendo voi a capitani imporsi spontanea schiavitù. Che anzi consultando da per sé « punirà i discorsi vostri come equivalenti ai fatti, nè si lascerà torre la libertà presente coll’udir voi, ma guardandosi di fatto coll’impedire i disegni vostri, procaccerà di conservarla ».