History of the Peloponnesian War

Thucydides

Thucydides. Della storia di Tucidide volgarizzata libri otto. Anonymous translator. Florence: Tipografia Galileiana, 1835.

In questo medesimo inverno gli Ateniesi avevàtio In animo di navigare in Sicilia con apparecchiamento maggiore di quello di Lachete e di Eurimedonte, per tentare di soggiogarla. I più di loro ignoravano la grandezza di quell’isola, e la moltitudine de’Greci e barbari che l’abitavano; e non vedevano che cosi imprenderebbero una guerra non molto inferiore a quella contro i Pelopomiesi. Imperciocché ci vogliono poco meno che otto giorni per girar la Sicilia con una nave da carico ; e sebbene sia tanto vasta, appena venti stadii di mare vi si attraversano perchè non sia terraferma.

Ora dirò come ella fosse da primo abitata, e quanti popoli avesse in tutti« Gli abitatori più antichi di una parte di quel paese dicesi essere stati i Ciclopi e i Lestrìgoni ; dei quali non saprei dire la stirpe , nè il luogo onde vennero, nè dove andarono. Contentiamoci adunque di ciò che ne hanno detto i poeti, e di quello che ognuno in qualche modo ne sa. Primi ad abitarvi dopo di questi

paiono i Sicani, i quali piuttosto al dir loro vi erai già d' innanzi perchè nati di lì : ma il vero è che sai Iberi cacciati dai Ligii di sul Sicano, fiume in Iberia; che da essi l’isola chiamata prima Trinacria, fu allora di ta Sicania ; ed abitano anche adesso il ponente di Sicifa Preso poi Ilio alcuni Troiani scampati dagli Achei gioì gono su delle barche in Sicilia , ove acconciatisi a confi J dei Sicani furono tutti insieme chiamati Eli mi, e le cidi loro Erice ed Egesta. Si unirono di più ad abitar coi essi alcuni dei Focesi di ritorno da Troia , in quel tempo dalla tempesta primieramente sbalzati sulla Libia, e quindi di là passati in Sicilia. Ed è fama che i Siculi fug» gendo, come pare, gli Opicii, dall’ Italia ove avevano li sede passassero su dei foderi in Sicilia, colto un vento favorevole nello stretto ; e forse anche vi tragittarono in altro modo. Sonovi poi ancora dei Siculi in Italia, la quale trasse questo nome da un tale chiamato Italo re degli Arcadi. Venuti adunque costoro in Sicilia eoa molta gente, e superati i Sicani in battaglia, li cacciarono verso le parti meridionali e occidentali dell’ isola, la quale di Sicania fecero che fosse chiamata Sicilia ; ed abitarono 1? campagne più fertili, che dopo il loro tragitto riteneano per quasi trecento anni, prima che vi venissero i Greci ; ed anch’oggi ne posseggono i luoghi mediterranei e quelli verso tramontana. I Fenicii per negoziare coi Siculi abitarono tutte all’ intorno le costiere della Sicilia, occupati i promontori che sporgono in su quel mare, e le isolette adiacenti. Ma poiché vi approdarono molti Greci, quelli? abbandonata la maggior parte di quei luoghi, si riunirono insieme, e fermarono le sedie loro in Moda, in Soloente e in Palermo, vicino agli Elimi ; tra perchè confidavano nella confederazione di questi , e perchè Cartagine è di l' distante un tragitto cortissimo. Ed ecco come e quanti barbari abitarono la Sicilia.

Fra i Greci poi primi a navigarvi furono i Cai» desi di Eubea, con Teucle capo di quella colonia ; fondarono Nasso, ed eressero ad Apollo Archegeta iltare che ora è fuori di città, sul quale i Teori, ogni volta che hanno a partire di Sicilia, fanno prima sacrifizio, anno seguente Archia, uno digli Eraclidi di Corinto , tbbricò Siracusa, cacciati prima i Siculi da quell’isolett che, non più oggi cinta dal mare, forma l’interno della itlà. Quella parte di città che ne resta fuori in terraferia, dopo qualche tempo le fu aggiunta con un muro, divenne assai popolosa. Cinque anni dopo fondata Siacusa , Teucle e i Calcidesi usciti di Nasso, e scacciati olla guerra i Siculi, fondarono Leontini, e quindi Caaua: e i Catauesi presero da sè per capo della colonia ivarco.

Nel medesimo tempo anche Lamide da Megara irrìvò con una colouia in Sicilia, e fabbricò sul fiume datario un castello per nome Trotilo. Di là passò poi a contini, e per poco tempo ebbe parte nel governo coi Calcidesi, dai quali cacciato via , fondò la colonia di Taso ve mori. Da Taso furono parimente banditi i suoi comuni , i quali condotti da Iblone re dei Siculi, che avea radito quella terra, fondarono la colonia dei Megaresi , Riamati Iblei : e dopo avervi abitato quarantacinque e iugent’anni furono mandati via della città e del territorio la Gelone tiranno di Siracusa. Ma prima di questa cacala, cioè cent’anni dopo la fondazione della colonia , fabbricarono Selinuute speditovi a tal uopo Pammilo, il quale Partito di Megara, che era la città madre, insieme con alfa gente forni queir impresa. Quarantacinque anni dopo a fondazione di Siracusa, Antifemo ed Entimo fabbricalo in società Gela , conducendovi coloni l’uno da Rodi, l altro da Creta ; e la città prese nome dal fiume Gela. Il luogo però ove è ora la città, e che fu il primo ad esser

murato, si chiama Lindii; e vi furono stabilite le leggi doriche. I Geloi, a un bel circa cent’otto anui dopo che ivi abitavano, fabbricarono la città di Acragante , che cosi la chiamarono dal fiume Acragante, destinati Aristoneo e Pistilo a conduttori della colonia, e le diedero le leggi stesse dei Geloi. Zancle fu in principio fondata da’ladroni andativi da Cuma città calcidica nella campagna opica : ma in seguito dalla Calcide e dal resto dell’Eubea vi andò gran gente che ne possedette in comune il territorio ; e capi di quella colonia furono Periere e Oratemene, l’uno di Cuma , l’altro di Calcide. Da principio i Siculi la chiamavano Zancle, perchè il castello ha la figura di una falce , e i Siculi chiamano appunto tanclo la falce. Dipoi coloro furono cacciati via dai Samii e da altri Ionii che fuggendo i Medi approdarono in Sicilia.

Ma poco appresso Anassila, tiranno di Reggio, cacciati i Samii e fermatosi in quella città con della gente mescolata con la rimastevi , le mutò il nome in quello di Messene tolto dall’antica sua patria. Dopo Zancle , Euclide , Simo e Sacone fondarono Imera ; ed i più che andarono in questa colonia furono Calcidesi ; ma si unirono ad abitare con essi anche i cosi detti Miletidi esuli da Siracusa , ove erano stati vinti dalla fazione contraria. Là lingua di cui usavano era un po’ calcidese , un po’dorica ; quanto alle leggi vinsero le calcidesi. Aera e Casmene furono fondate dai Siracusani ; Aera settantanni dopo Siracusa , e Casmene quasi venti dopo Aera, o in quel torno. Parimente i Siracusani fondarono la prima volta Camarina quasi cento trentacinque anni dopo la fabbricazione di Siracusa ; e capi della colonia furono Dascone e Menecolo : se non che i Camarinesi essendo stati scacciati come ribelli dalle armi dei Siracusani, poco dopo Ippocrate, tiranno di Gela, in riscatto di alcuni prigionieri siracusani ebbe il territorio camarinese ? e fattosi capo

della colonia riacconciò Camarina , la quale resa deserta nuovamente da Gelone, fu poi da lui medesimo per la terza volta ripopolata.

'Fanti erano i popoli fra Greci e barbari che abitavano la Sicilia; contro alla quale (che pure era si vasta) gli Ateniesi con grande animo voltavano le armi, veramente perchè ardevano del desiderio di dominarla tutta : il qual desiderio volevano ad un tempo ricoprire col pretesto di soccorrere i loro consanguinei, e gli altri che si erano collegati con questi. Ma a ciò soprattutto li spinsero , e con gran calore li confortarono gli ambasciadori di Egesta venuti ad Atene ; avvegnaché gli Egestei confinanti de’Selinunti si trovavano in guerra con essi per causa di diritti nuziali, e per controversie di territorio : ed i Selinunti, essendosi aggiunti in alleanza i Siracusani, li strìngevano colla guerra per terra e per mare. Il perchè gli Egestei ricordavano agli Ateniesi la lega fatta al tempo di Lachete, e della precedente guerra de' Leontini, e li pregavano a soccorrerli collo spedir loro delle navi. E tra le molte ragioni che adducevano la principale era, che se i Siracusani dopo aver disertato i Leontini restassero impunti , e seguitando a guastare anche gli altri alleati s’impadronissero di tutte le forze di Sicilia, vi era pericolo che come Dorici volessero, attesa la parentela, soccorrere con grandi apparecchi i Dorici, ed insieme i Peloponnesi come colonia loro , e dar mano ad abbattere la potenza d’Atene. Esser dunque saggia cosa che insieme con gli alleati che vi restavano si opponessero ai Siracusani ; tonto più che e’ somministrerebbero denari a sufficienza per la guerra. Queste ragioni ripetute più volte nelle assemblee dagli Egestei e dagli oratori che patrocinavano Moro causa, mossero gli Ateniesi a decretare, che si spedissero prima dei legati ad Egesta a vedere se vi fossero ^ P^blico erario e nei templi le ricchezze ch'e' diceva.

no , ed insieme ad informarsi dello stato della guerra contro i Selinunli.

Furono infatti spediti in Sicilia i legati. Nel medesimo inverno i Lacedemoni e i confederati, tranne i Corintii, portarono guerra sul territorio argivo , ne devastarono iuta piccola porzione , e dopo aver portato via del frumento su dei carri che avevano condotti, diedero stanza in Omea a’fuorusciti d’Argo, ai quali lasciarono del resto dell’esercito poche genti. Quindi per un certo tempo fermata tregua , per la quale gli Orneati e gli Argivi non « molesterebbero, tornarono coll’esercito a casa. Ma poco dipoi venuti gli Ateniesi con trenta navi e seicento soldati di grave armatura, gli Argivi insieme con essi uscirono ad oste con tutte le milizie ; e per un intero giorno stettero assaltando quelli che erano in Ornea : e sulla notte avendo discostato l’esercito per trovare alloggiamento , quei di Ornea fuggirono. Il dì seguente gli Argivi visto ciò spianarono Oruea e si ritirarono ; e gli Ateniesi anch’essi tornarono poi eolie navi a casa. In Metona, sulle frontiere di Macedonia, furono per mare spediti dagli Ateniesi alcuni dei propri soldati a cavallo, insieme coi fuorusciti macedoni che si erano rifugiati tra loro ; e di là danneggiavano gli stati di Perdicca. E i Lacedemoni mandarono ai Calcidesi di Tracia, che aveano tregua per dieci giorni con gli Ateniesi, che unissero le loro armi con Perdicca, lo che non vollero fare. Finiva intanto l' inverno, e con esso il sedicesimo anno di questa guerra che ha descritta Tucidide.

Nella seguente estate al cominciar di primaven tornarono di Sicilia i legati degli Ateniesi, e con essi quelli degli Egestei, recando sessanta talenti d’argento non coniato, da servire per la paga di un mese alle sessanta navi di che voleano domandare la spedizione. Gli Ateniesi tennero adunanza, ove tra le molte cose persuasive , ma non vere, riferite dagli Egestei e dai propri ambasdaton,

intesero esservi io pronto molto denaro nei templi e nel pubblico erario. Laonde fermarono di spedire in Sicilia le sessanta navi capitanate con assoluto comando da Alcibiade di Clinia, Nicia di Nicerato, e Lamaco di Xenofane, i quali dovessero soccorrere gli Egestei contro i Selinunti, riunire in patria i Leontini (se pure quella guerra lasciasse loro il modo di farlo), e governare le altre cose di Sicilia in quella guisa che stimassero più profittevole ad Atene. Cinque giorni dopo fuwi di nuovo adunanza per trattare del come si potesse il più prontamente preparare il bisognevole alle navi, e per decretare quel di più che potesse occorrere ai capitani per quella spedizione. Ma Nicia, che contro sua voglia era stato scelto a quel comando, tenendo per cattiva quella risoluzione della città, la quale con piccola e colorata cagione aspirava a conquistare tutta la Sicilia, impresa veramente grande, presentatosi agli Ateniesi cercava di distorli da ciò, c gli ammoniva con tali parole :

« Quest’assemblea, che ha per oggetto i nostri apparecchiamenti, si è qui raccolta , come che bisogui navigare in Sicilia. A me però sembra doversi appunto intorno a ciò discutere ancora se sia meglio o no spedire la flotta, e guardarsi dall’imprendere con si breve consiglio una guerra che non ci appartiene , dando retta a gente estranea in cose rilevantissime. Eppure io in questa spedizione trovo il mio onore, e meno degli altri ho paura della mia vita ; quantunque io stimi cittadino egualmente buono chi provvede al suo corpo e alla sua roba, perciocché questi, anche per riguardo suo, sommamente bramerà prospera la Repubblica. Contuttociò, non avendo mai nel tempo innanzi parlato contro la mia opinione per cagione di distinti onori, neanche adesso vo’ farlo ; ma dirò quello che tengo per migliore. Bene io veggo che negli animi vostri non arebbe forza il mio discorso se vi

esortassi a salvare quel che avete, e a non arrischiare il presente per cose incerte e future. Il perché intendo mostrarvi che vi affannate fuor di tempo , e che non è facile ad ottenere quello a cui correte.

et Dico adunque che navigando in Sicilia , voi, lasciati qua molti nemici, volete attirarne degli altri. E credete voi forse che la tregua successa abbia qualche fermezza ? Ma sappiate che ella manterrà questo nome fino a che voi state quieti (che tale l’hanno resa alcuni dei nostri e degli avversari ), e che a una sconfitta di qualche parte considerevole del nostro esercito, i nemici ci saranno subito addosso ; primo perchè (attese le loro calamità) quella convenzione fu per essi forzata, e più disonorevole che per noi ; dipoi perchè in essa abbiamo molti articoli in controversia. Anzi vi sono di quelli (nè già de’più deboli ) che quest’accordo non approvarono, e che apertamente ci guerreggiano ; altri, siccome i Lacedemoni non si muovono, così anchressi sono ritenuti dalla tregua dei dieci giorni. Ma forse, e senza forse, se troveranno divise le forze nostre ( lo che noi affrettiamo ) , ci assalteranno animosamente insieme coi Siciliani, l’alleanza de9 quali avrebbero per l’innanzi avuta cara sopra molte cose. Laonde questo è ciò che dobbiamo osservare, invece di volere arrischiarci mentre la Repubblica tentenna, ed ambire nuovo impero prima d’aver fermato quello che abbiamo. I Calcidesi di Tracia , ribelli nostri da tant’anni, non sono ancora soggiogati ; alcuni altri di terraferma sono instabili nell’obbedienza : e noi ci affrettiamo a soccorrere gli Egestei come oppressi, che al più ci sono alleati , e tranquilliamo ancora a vendicarci delle ingiurie di coloro che da gran tempo ci souo ribelli ?

« Eppure abbattendo questi ultimi potremo tenerli in dovere ; dove ancorché vinciamo i Siciliani difficilmente potremo dominarli a cagione della lontananza e

moltitudine. Ora è stoltezza andar contro gente, vincendo la quale tu non possa ritenerla ; e non vincendola, tu t’abbi a trovar peggio che prima d'averla assaltata. E parmi che i Siciliani, nel loro stato presente, sieno per noi vie meno da temere, di quello che se i Siracusani gli sottomettano ; di che principalmente gli Egestei ci fanno temere. Conciossiachè, divisi come or sono, potrebbe ciascun popolo venir contro di noi per gratuirsi i Lacedemoni : ma in quell’altro modo non è presumibile che un impero vada contro un altro impero ; sendo che, siccome costoro coiPeloponnesi torrebbero a noi il nostro, cosi per l' istessa ragione i Peloponnesi probabilmente torrebbero ad essi il loro. A volere sbigottir veramente i Greci di Sicilia, o bisogna non andar colà, o almeno ritornarsene ben presto dopo aver mostrato le forze nostre ; perciocché tutti sappiamo che le cose lontane e che non hanno dato riprova dell’opinione che se ne ha , mettono di sé maraviglia. Che se avessimo una sconfitta ci piglierebbero subito in disprezzo, e co’Greci di là ci assalirebbero. E tale é appunto ora il caso vostro, o Ateniesi, rispetto ai Lacedemoni e loro alleati : perchè siccome gli avete superati contro Aspettativa in quel genere di guerra nel quale innanzi gli temevate, cosi ora gli dispregiate ed aspirate anche alla Sicilia. Badate però che non bisogna inorgoglire per le disgrazie dei nemici, ma prender fiducia quando si abbia depresso il loro animo , e stimare che i Lacedemoni mossi dalla vergogna non altro facciano che speculare in che modo possano , abbassati noi, trovare un bel compenso al proprio disdoro ; tanto più che con moltissima cura e da moltissimo tempo van facendo procaccio di opinione di valore. Per lo che , se abbiamo senno , non dobbiamo pigliar gara per genti barbare , quali sono gli Egestei di Sicilia, ma guardarci animosamente da una città che per la sua oligarchia c insidia.

c« Oltre di che vuoisi rammentare che di recente ci siamo un poco riavuti e dal fiero morbo e dalla guerra , e però siamo cresciuti in denaro e in popolazione ; le quali cose è giusto che si spendano qui per noi, e non per gente bandita chiedente soccorso, gente cui torna in vantaggio il mentir contamente, e che quand’altri è in pericolo va pascendolo sol di parole ; e se ella vince non te ne sa grado condegnamente, e se mai perde avvolge nella sua rovina anche gli amici. E se vi ha chi gongolando per essere scelto a capitano, vi conforta alla spedizione solo perchè mira al proprio vantaggio , tanto più che essendo ancor troppo giovine per il comando vuol farsi ammirare per la sua cavallerizza, e giovarsi della carica per mantenere la sua sontuosità ; non date in mano neppure a costui di che brillare in privato con pericolo della Repubblica. Siate anzi persuasi che si fatti cittadini danneggiano il pubblico, e rifiniscono il suo ; che l’affare di cui si tratta è grande, e non tale da esser consigliato da un giovincello, nè da governarsi cosi spacciatamele.

« Ed io, al veder in questo consesso gente di tal tempera che parteggiano per lui, vengo in timore, e dal canto mio esorto i più attempati che, se ad alcuno di loro seggano accanto, non si rechino a vergogna di passar per infingardi, ove non dieno il voto per la guerra, e che (siccome accade nei giovani) non sieno perdutamente innamorati delle cose lontane , sapendo che pochissimi affari si conducono a buon fine pel desiderio, moltissimi per la previdenza. Ed invece li prego che per amore di questa patria , che va a gettarsi in un pericolo grandissimo oltre ogni altro di pria , vogliano in ciò dar contrario il loro voto , e decretare che i Siciliani tengano le loro cose usando i confini di adesso (su di che non abbiam nulla da ridire), cioè il seno ionico per chi navighi radendo la spiaggia , e quello di Sicilia per chi va

in alto mare ; che quanto alle differenze l'accomodin tra loro : che agli Egestei in diviso si risponda, che siccome attaccarono la guerra co’ Selinunti, senza gli Ateniesi, così da sè la sciolgano ; e che in seguito non ci facciamo alleati (come siam soliti) di popoli, i quali ci convenga soccorrere quando si trovano male ; e bisognando noi di aiuto, non possiamo ottenerlo.

« E tu, o Pritane, se credi tuo debito aver cura della patria, e vuoi essere buon cittadino, riproponi la cosa e mandala nuovamente a partito, persuadendoti (qualora tu tema di rimetterla un’altra volta a’voti) che il trasgredire alle leggi fra tanti testimoni non ti sarà apposto a delitto, e che piuttosto tu sarai il medico della Repubblica che avea malamente deliberato, e che ottimo magistrato è quegli che più giova alla patria , e che meno la danneggia volontariamente ».

Così parlò Nicia, e la maggior parte degli Ateniesi che dopo lui si presentarono a parlare consigliavano si facesse la spedizione e non si cassasse il decreto ; alcuni poi dicevano il contrario. Tra quelli che più caldamente insistevano per la spedizione, era Alcibiade di Clinia bramoso di opporsi a Nicia , dal quale d'altronde discordava in materia di politica, e dal quale era stato punto con parole, e desideroso principalmente di condurre quell'impresa, come quegli che sperava che gli Ateniesi terrebbero da lui il conquisto di Sicilia e di Cartagine ; le quali cose riuscendo prosperamente, anch’egli in privato avanzerebbe in ricchezze e in gloria. Ed invero essendo tenuto in gran conto dai coucittadini avea voglie troppo maggiori de’suoi averi sì rispetto alla cavallerizza che all’altre spese, lo che poi tornò in grandissimo abbassamento della Repubblica d’Atene. Conciossiachè la maggior parte impauriti per la smodata lautezza di sua persona, e per la vastità de’disegni in ogni cosa che intraprendeva ,

gli divennero nemici come affettasse tirannia. Onde sebbene quanto al pubblico avesse vigorosamente disposte le cose di guèrra, nondimeno m particolare pesando a ciascuno le sue maniere, ne commisero il carico ad altri, e cosi in poco tempo rovinarono la Repubblica. Egli adunque allora fattosi innanzi disse agli Ateniesi queste parole:

« Ateniesi, a me più che ad altri spetta il comando (giacché è forza cominciar di qui perché Nicia ha toccato me), e credo ancora di meritarlo. Quelle cose infatti ond' io sono celebrato apportano onore a' miei antenati ed a me, e vantaggio alla patria. Imperciocché i Greci, che prima credevano abbattuta la città nostra, sono venuti nella opinione che ella sia più potente di quel che invero non è per la mia splendidezza ai giochi d’Olimpia, ove corsi con sette cocchi e vinsi, ed ebbi il secondo e quarto premio , e gli altri apparati ordinai condegnamente alla vittoria. Queste cose sono per legge in onore; e la magnificenza nell’eseguirle desta insieme l' idea del potere della Repubblica ; e le mie larghezze e tutto quello ond' io son chiaro in città muovono naturalmente ad invidia i cittadini, ma mostrano ai forestieri la potenza di lei. Onde siccome non é disutile questa follìa di uno che a proprie spese giova non solo a sé stesso, ma eziandio alla patria ; così non è ingiusto che chi sente altamente di se non voglia stare alla pari cogli altri, dappoiché se egli si trova in disgrazia nessuno va di pari con esso nella sventura. Anzi in quella guisa òhe quando siamo disgradati nessuno pur ci saluta , per egunl modo soffra ciascuno in pace d’esser trascurato da chi è felice, o tratti alla pan col miserabile, ed allora esiga altrettanto. Io so che le persone di questo calibro e tutti quelli che avanzano altrui di chiarezza in checchessia , sono incomodi durante la loro vita agli ugnali principalmente, e poi anche agli altri coi quali usano : ma con tutto questo lasciano ad alcuni che

vengono dopo, la gara di appropriarsene la parentela (sebbene non gii attengano per nulla), e alla patria in che nacquero danno materia di vanto, non quasi fossero gente straniera o dappoco, ma cittadini suoi propri e facitori di belle gesta. Queste sono le glorie che bramo; e quantunque io venga diffamato per questo mio privato contegno, osservate se governo gli affari pubblici peggio di verun altro : avvegnaché vi so dire che io mi son quegli che, riunite a voi senza vostra grande spesa o pericolo le città più potenti del Peloponneso, ridussi i Lacedemoni a combattere in un sol giorno per la somma delle cose a Mantinea, ove sebbene vincessero la battaglia, pure da indi innanzi non si sono più sinora rassicurati stabilmente.

« Inoltre questa mia giovanile follia che sembra ( eccedere oltre l’età fu quella che con acconcie parole trattò colla potenza de’ Peloponnesi, e che siccome col suo impeto ispirò loro fiducia, cosi persuase voi anche adesso a non temerla. Anzi mentre io sono nel vigore di essa, e Nicia sembra fortunato, valetevi pure di amendue in quello a che siamo utili, e non mutate consiglio sulla spedizione di Sicilia, quasi che dovesse farsi contro a paese potente. Vero è che le città di quei luoghi sono assai popotate , ma di un miscuglio di gente , e però facili a cambiar di governo e a ricever chiunque. Ond’è che nissuno, come si farebbe per la propria patria, è fornito delle armi per difendere il suo corpo, o degli apparati che si richieggono in quel paese ; ma quello che ciascuno spera di dover ottenere con persuasive parole, od anche di rapire dal comune erario nel bollor delle parti, e poi mutar suolo se la sua non vinca, questo è ciò che tutti si vanno procacciando. E non ci è pericolo che turba siffatta voglia udire d’un animo chi le favelli, o voltarsi di comun concordia ad operare ; ma invece ciascun di loro aderirà a quello che sia detto a suo genio ; tanto più se , come

udiamo, sono in sedizione. Nè già hanno essi tanti soldati quanti ne vantano, nè gli altri Greci compariscono tanti quanti ciascuna provincia ne novera ; anzi quella Grecia, che ha grandemente ingannato costoro, si dura fatica a credere che abbia milizie sufficienti a questa guerra. Tali pertanto, per quello ch' io ne so d’udita, sono le cose di là, e forse anche più agevoli. Infatti vi troveremo molti barbari che per odio de1 Siracusani si uniranno con noi ad assalirli, nè le cose di qua potranno impedirci, ove drittamente deliberiate. Imperciocché i padri nostri oltre i nemici, che al dir di costoro ci lascerem dietro navigando in Sicilia, avevano nemico anche il Medo ; e pure à acquistarono l’imperio non con altro che colla sovrabbondanza delle forze marittime. Ora i Peloponnesi tuttoché si trovino nel più vigoroso stato, sono disperati più di prima di poterci opprimere : e dato anche che la spedizione non si faccia, sono certo in forze da assaltar le nostre terre: ma non potranno danneggiarci colla flotta , perchè altra ce ne resta, e tale da fronteggiarli.

« Laonde quale addurremo giusta ragione del nostro inritrosire, o scusa agli alleati del non aiutarli ? Noi dobbiamo soccorrerli per via de’giuramenti, e non opporre che essi non ci soccorrono ; avvegnaché non gli abbiamo aggiunti alla nostra lega perchè dal canto loro venissero qua in nostro aiuto, ma perchè inquietassero i nemici nostri di là, e impedissero loro venir qua contro noi. E noi e qualunqu’altri abbiamo impero, lo abbiamo acquistato in questo modo; cioè col soccorrere sollecitamente chi ci chiamasse fosse greco o fosse barbaro. Imperocché se tutti stieno quieti, o facciano rigorosa scelta di quelli che per ragione debbano aiutarsi, certo quand'anche volessimo accrescere d’un poco il nostro Stato, correremmo maggior pericolo per quello stesso che abbiamo : perchè nessuno aspetta a difendersi dal più forte quando è da quello

assalito, ma tenta furargli le mosse acciò non gli venga contro. Senza di che non sta in noi di contemperare l’impero nostro alla foggia de’nostri desideri : ma poiché siamo io questo stato ci é forza tendere insidie ad alcuni, ad alcuni poi uon allentare la briglia , essendovi pericolo di soggiacer noi stessi all’altrui dominio se non sappiamo dominare sugli altri; tanto più che come gli altri non possiamo brigarci della tranquillità, ove non vogliate del pari con loro cambiar di maniere. Per lo che considerando che coll’andare colà accresceremo vie più lo stato nostro, facciamo la spedizione per abbassare la superbia de’Peloponnesi, mostrando che pieni di disprezzo per loro sappiamo preferire alla presente quiete anche la navigazione in Sicilia. Confido inoltre che coll’aggiunta delle forze di colà probabilmente ci assoggetteremo tutta la Grecia} o almeno danneggeremo i Siracusani ; nel che avvantaggeremo noi stessi e gli alleati. La sicurezza poi o di restarvi, se alcuno si aggiunga a noi, o di tornare indietro, l'avremo dalle navi : avvegnaché ne potremo più di tutti i Siciliani insieme. E però l’inazione e la discordia fra giovani e vecchi, accennate dai discorsi di Kicia, non vi smuovano : anzi con quel solito buon ordine, la cui mercè i padri nostri tutti d’accordo e giovani e vecchi avanzarono a questo grado lo stato, nell’ istesso modo ora anche voi sforzatevi di aggrandire la Repubblica. E siate persuasi che la gioventù e la vecchiezza disgiunte tra loro non posson nulla ; ma che ove sieno unite, venendo a mescolarsi insieme tutto ciò che è debole, mediocre e buonissimo, sono sufficienti a tutto ; che la città stando in ozio si consumerà da sè stessa, siccome avviene dell’altre cose, ed ogni maniera di sapere v? invecchierà ; mentre esercitandosi in guerra acquisterà sempre nuova perizia , e si avvezzerà a difendersi non colle parole ma coi fatti. Insomma io quanto a me penso che una città operosa dovrà ben presto corrompersi passando ad una vita d’ozio ; e che i più sicuri nel loro stato
sono coloro, che di comune concordia si governano colle costumanze e leggi presenti, tuttoché non perfettissime »,

Con tanto calore parlò Alcibiade : e gli Ateniesi udito lui e le domande degli Egestei e de’fuorusciti Montini, che fattisi avanti rammentavano loro le giurate convenzioni ed imploravano soccorso, molto più di prima s’invogliarono della spedizione. Di che Nicia avvistosi che con quelle sue medesime ragioni non li potrebbe più distorre, ma che forse, se ordinasse molti apparecchi, la grandiosità di questi farehbe loro mutar pensiero , di nuovo presentatosi ad essi parlò così :

« Poiché, o Ateniesi, vi vedo al tutto infiammati per la spedizione, riescano pur le cose come bramiamo ; ma io voglio al presente esporvi la mente mia. Le città contro le quali siamo per andare, a quel eh’ io ne so d’udita, sono grandi e tra loro indipendenti, né cercano mutazione onde ciascuna da violenta servitù possa volenterosa passare a più mite governo ; ed essendo molte per un’isola sola, e molte di queste greche, non vorranno probabilmente gradire il nostro impero invece della libertà. E senza parlare di Nasso e Catana ( che per la parentela de’Leontini spero saranno con noi), ve ne sono altre sette di tutto fornite colla massima conformità al nostro esercito, e tra queste non ultime sono Selinunte e Siracusa, contro le quali principalmente navighiamo. Imperocché hanno esse molti soldati gravi, ed arcieri e saettatori, e jnolte triremi, e numerose ciurme da empirle: hanno denari parte in proprio, parte nei templi di Selinunte ; e i Siracusani riscuotono tributo in generi da alcuni barbali. E quello in che di gran lunga elle ci avanzano, sono provviste di molti cavalli, ed usano frumento proprio non portato di fuori.