History of the Peloponnesian War

Thucydides

Thucydides. Della storia di Tucidide volgarizzata libri otto. Anonymous translator. Florence: Tipografia Galileiana, 1835.

Avevano già anche i Calcidesi bramato di aver Brasida che in Sparta era tenuto in concetto d’uomo attivo e sufficiente a qualunque impresa, e che per quella spedinone venne in grandissima reputazione appresso i Lacedemoni. Conciossiachè mostrandosi innanzi tratto giusto e moderato verso le città, molti luoghi indusse a ribellarsi, ed alcuni ne ebbe per via di trattati ; talché avvenne che volendo i Lacedemoni accomodarsi con gli Ateniesi (siccome fecero), potessero rendersi a vicenda e scambiarsi le terre, e respirar nella guerra allontanata dal Peloponneso. Ed iu seguito quando si venne all9 armi dopo gli affari di Sicilia, la virtù e la prudenza di Brasida, conosciute da alcuni per prova da altri credute per udita , indussero principalmente nei confederati Ateniesi il desiderio dei Lacedemoni; perché uscito egli il primo di Sparta e procacciatosi grido di uomo probo per ogni conto, lasciò in essi ferma speranza che gli altri dovessero essere simili a lui.

Ma gli Ateniesi, quando intesero che egli era giunto in Tracia, teimero per loro nemico Perdicca incaricandolo della venuta di Brasida, e rinforzarono i presidii presso i confederati di quei luoghi.

Intanto Perdicca unite subito le sue genti con quelle di Brasida marcia contro Arribeo figliolo di Bromero, re dei Lincesti Macedoni, suo confinante, non tanto per delle differenze che seco aveva , quanto perchè voleva soggiogarlo. Ma quando egli e Brasida con l' esercito erano

per metter piede sul territorio di Lineo, Brasida disse che prima di venire all’anni voleva abboccarsi con Arribeo per tirarlo, se gli riuscisse, nella lega de’Lacedemoni ; tanto più che Arribeo avea mandato un trombetta dichiarandosi pronto a rimettersi in Brasida ove volesse esser mezzano tra loro. Similmente i legati calcidesi che si trovavano nei campo significavano a Brasida, per averlo più pronto ai loro bisogni, di non volere entrar nel pericolo per cavarne fuori Perdicca, i cui ambasciatori avevano a un dipresso spacciato lo stesso a Sparta, quando dissero che riuscirebbe a lui di render molte terre sue confinanti alleate dei Lacedemoni. Laonde Brasida giudicava di dover trattare come comuni gl’ interessi d’Arribeo : ma Perdicca rispondeva non averlo condotto colà perchè si facesse l' arbitro delle loro differenze, ma bensì perchè esterminasse quelli che da lui gli venissero indicati come suoi nemici, e che gli farebbe un torto mettendosi dalla parte di Arribeo. mentre e’sostentava la metà dell’esercito. Nondimeno Brasida repugnando e dissentendo Perdicca va a trovare Arribeo , dal quale persuaso ritirò l’esercito prima di metter piede nelle sue terre. Perdicca dopo questo fatto tenendosi ingiuriato, invece della metà dava il terzo del foraggio.

Immediatamente nella medesima estate poco prima della vendemmia Brasida conducendo seco anche i Calcidesi portò la guerra ad Acanto colonia degli Andrii, ove i fautori dei Calcidesi che lo avevano invitato ed i popolani contendevano insieme se dovesse o no riceversi. Tuttavia temendo il popolo pei frutti della campagna che tuttora eran fuori, Brasida lo induce a dover ricever lui solo, ed ascoltarlo prima di risolvere. Onde presentatosi al popolo con un bel porgere per ispartano , parlò in questo tenore.

« Cittadini d’Acanto, la spedizione di me e del mio esercito fatta dai Lacedemoni viene a verificare il motivo di questa guerra da noi divolgalo in priucipio, cioè che noi

guerreggeremmo per liberare la Grecia. E nessun ci apponga a colpa se falliti nella nostra credenza quanto alla guerra fatta colà, per cui speravamo di presto abbattere gli Ateniesi senza vostro pericolo , venimmo qua un poco lardi ; perchè arrivati adesso , quando ci fu possibile , daremo opera insieme con voi a debellarli. Stupisco però di vedermi chiuse le porte e di non giungervi grato. Imperciocché laddove noi Lacedemoni stimando anche prima del nostro arrivo di dover venire presso un popolo alleato almeno per volontà, ed a cui saremmo accetti, ci siamo gettati in tanto pericolo facendo viaggio per molte giornate in terra straniera, e mostrando ogni sollecitudine , sarebbe un’ indegnità se voi aveste in mente altri pensieri, e contrariaste la libertà vostra e quella degli altri Greci. Essendoché non solo voi mi vi opponete , ma farete anche sì che ovunque mi presenti men prontamente si uniscano a me gli altri, i quali si adombreranno, perchè essendo primieramente venuto presso voi che avete città considerevolissima e nomea di prudenza, non mi abbiate ricevuto. Nè io potrò giustiGcare il motivo di mia venuta, ma sarò creduto o di volere imporre una iniqua libertà , o di trovarmi qui debole e inabile a protegger quelli che vengano assaliti dagli Ateniesi. Eppur questi Ateniesi, essendo io andato a soccorrer Nisea , tuttoché fossero in maggior numero non vollero azzuffarsi con quelle medesime genti che adesso ho meco. Ora non è presumibile che essi sieno per mandare contro di voi un esercito cosi grosso come l’armata di Nisea.

celo però son qua venuto non per danneggiare, ma per liberare i Greci ; ed ho astretto i magistrati di Sparta a giurarmi solennemente che sarebbono independenti coloro che io tirassi nella mia lega. E nemmeno mi trovo qua perchè voglia aggiugnervi alla nostra confederazione o per forza o per inganno, ma all’ opposto perchè vi

uniate con noi a guerreggiare gli Ateniesi che vi tengono schiavi. Per lo che raeutre vi do pegni grandissimi, credo che io non debba esser tenuto uomo sospetto o vendicatore insufficiente, e che voi vi accosterete a me pieni di confidenza. Se poi vi ha chi temendo in particolare di chicchessia sta perplesso perchè forse io voglia metter la città in balìa di alcuni, costui si rassicuri sommamente ; imperocché non vengo a fomentar sette, e credo che non apporterei manifesta libertà se trascurando i vostri statuti assoggettassi o la plebe ai nobili, o i nobili alla plebe. Sarebbe questa una libertà più grave d’un dominio straniero , e a noi Lacedemoni non frutterebbe riconoscenza delle nostre fatiche , ma piuttosto colpa invece d’onore e di gloria. Così mostreremmo di tirarci addosso quelle accuse stesse per cui guerreggiamo contro gli Ateniesi in modo anche più odioso di chi non professò mai alcuna virtù. Concio»-siachè per chi è in credito è più vergogna sopraffare altrui con speziosa frode che con aperta violenza ; perchè in questo caso assale col dritto del più forte datogli dalla fortuna ; in quello , coll’ insidia propria di un animo iniquo. Il perchè usiamo molta circospezione nelle controversie che sono per noi rilevantissime.

« Nè , oltre ai giuramenti dei Lacedemoni, maggior sicurezza potreste avere di quelli argomenti i quali, confrontando esattamente i fatti colle promesse , vi conducono necessariamente a credere che torna anche in vostro vantaggio quello che ho detto. Se poi a queste mie profferte risponderete non poterle accettare, e la qualità di nostri amici darvi il dritto di rigettarci impunemcute, e la libertà sembrarvi pericolosa , ed esser giusto portarla a quei popoli che hanno la possibilità d’accettarla, e non astringervi alcuno suo malgrado ; io prenderò in testimoni gli Dei e gli Eroi del paese che venuto qua con buon fine non riesco a persuadervi, e che mi sforzerò di

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violentarvi col guasto delle vostre terre. E non crederò di procedere ingiustamente, ma d’avere la ragione dal canto mio per due pressantissimi motivi : primo, affinchè i Lacedemoni con tutta la vostra cordialità non abbiano ad esser danneggiati dalle vostre ricchezze che colerebbero ad Atene quando ricusiate d’unirvi con loro ; secondo , affinchè i Greci non sieno impediti da voi a trarsi di servaggio. Questa nostra condotta non sarebbe onesta. Non dobbiamo noi Lacedemoni dar libertà a chi non la voglia , salvo che per cagione d’un qualche pubblico bene. E nemmeno agognamo il dominio , ma ci studiamo di tenere in freno quei che lo agognano : e però faremmo ingiuria alla maggior parte de' Greci se mentre vogliamo apportare libertà a tutti, trascurassimo che voi vi opponeste. Laonde deliberate bene, e gareggiate di esser fra i Greci il primo esempio a libertà , e di acquistarvi gloria sempiterna, e di non leder punto i vostri interessi, e di procacciare alla città vostra il più bello dei nomi ».

Così parlò Brasida : e gli Acantii dopo molti discorsi prò c contro, indotti parte dalle persuasioni di esso, parte dal timore pei frutti della campagna , con maggioranza di voti segreti risolvettero di staccarsi dagli Ateniesi, e vollero ch’ei si obbligasse coi giuramenti medesimi giurati già dai magistrati di Sparta quando lo spedirono , cioè : che sarebbero confederati, ma independenti, tutti quelli che ei tirasse alla sua lega ; e allora finalmente ricevono l’esercito. Non molto dopo si uni a questa ribellione anche Stagiro colonia degli Andrii. Tali cose successero in questa estate.

Al primo cominciare del seguente inverno la Beozia era sul punto di rendersi ai generali ateniesi Ippocrate e Demostene , i quali dovevano incontrarsi insieme, andando questi colle navi a Sifa, e l’altro a Delio. Ma esseudo occorso sbaglio nel computo de’ giorni in che eiascuno

doveva movere la sua gente, Demostene fu il primo a navigare a Sifa ; e Contuttoché avesse seco sulle navi gli Acarnani e molti alleati di quei luoghi, pure la cosa andò a voto, perchè Nicomaco focese di Fanotco aveva scoperto la trama ai Lacedemoni, e questi ai Beozii. Onde i Beozii accorsi colà a stormo , giacché Ippocrate ancora non gli inquietava sulle loro terre, preoccupano Sifa e Cheronea ; ed i cospiratori, accortisi dello sbaglio , non fecero movimento veruno in quelle città.

Intanto Ippocrate , che aveva sollecitato gli Ateniesi tutti, cittadini, inquilini e quanto vi era di forestieri, arriva a Delio , ma troppo tardi, quando già i Beozii eransi ritirati da Si£a. Ivi postosi ad oste prese a fortificare Delio , luogo sacro ad Apollo, nel seguente modo. Scavavano intorno al sagrato ed al tempio una fossa circolare, e dallo scasso gettavano su il cavaticcio per formare un argine, e rasente ad esso ficcarono su' due lati dei pali tolti da una vigna attorno al sacro recinto, la quale tagliarono ; e gettavano nel mezzo i tritumi di essa insieme con sassi e mattoni, levandoli dai pavimenti delle vicine case cui demolivano; e in ogni maniera si ingegnavano di alzare quel riparo. Collocavano ancora, ove fosse opportuno, delle torri di legno , di modo che nel sacro recinto non restava punto di fabbricato, imperocché anche dove sorgeva il portico era già andato in rovina ogni cosa. Avevano cominciato questo lavoro il terzo giorno da che sì erano partiti da casa , e vi si occuparono questo giorno medesimo e il quarto e il quinto fino all’ora del pranzo. Dipoi essendo quasi tutto fornito il lavoro, primieramente l’esercito si scostò da Delio circa dieci stadii, con animo di tornarsene a casa. La milizia leggera, che formava il maggior numero, seguitò immediatamente il suo capimiiio ; ma quella di grave armatura fermato il campo, si teneva quieta. Ippocrate continuò a trattenersi

a Delio per mettervi guàrdie e dar l' ultima mano , secondo il bisogno, a quanto mancava ai ripari di quella terra.

I Beozii che in questi giorni si riunivano a Tanagra, essendo ivi concorsi da tutte le città alla nuova che gli Ateniesi si avviavano a casa , gli altri Beotarchi, i quali sono undici, disconfortavanli dal combattere, dappoiché i nemici non erano più nella Beozia : infatti gli Ateniesi quando piantarono il campo erano precisamente sui conGni delPOropia. Ma Pagonda di Eolade beotarco di Tebe , a cui toccava il comando dell’esercito insieme con Ariantide di Lisimaco , desiderando venire a battaglia , e credendo miglior partito l’arrischiarvisi, chiamatine a sé tanti per compagnia acciocché non tutti abbandonassero il campo , con queste parole persuadeva i Beozii ad andar contro gli Ateniesi e far giornata.

« Valorosi Beozii , egli iacea di mestieri che a nissuno noi magistrati non venisse pure in pensiero , che non voleasi venire a battaglia con gli Ateniesi, eccetto che se li trovassimo tuttora nella Beozia. Imperciocché con quel riparo da essi piantato ai conGni della Beozia vogliono avere un luogo onde muoversi a rovinarla : ond’é che ci sono certamente nemici ove che si trovino e dovunque partano per commettere ostilità. Che se ancora vi è cui sembri più sicuro il non combatterli, costui muti pensiero : attesoché la prudenza in chi è assalito da altri con perìcolo di perdere il proprio non ammette una ponderazione così esatta , come in chi ritenendo le proprie cose, ma bramandone delle maggiori, invade altrui per mero capriccio. Inoltre è vostra patria costumanza far fronte agli assalti di straniero esercito nelle vostre terre del pari che nelle altrui : ciò che dovete fare con assai maggior sollecitudine contro gli Ateniesi che vi confinano. Conciossiaché se, trattandosi di confinanti, la libertà consiste nella parità

delle forze ; come non dovrassi venire fino all'ultimo Ar\ cimento contro costoro che non solo i vicini ma anche i lontani si brigano di fare schiavi ? Ci sia d’ esempio Io stato a che son da loro ridotti gli Eubeesi dell’ opposto lido , e la maggior parte degli altri Greci. Dobbiamo altresì persuaderci che laddove gli altri battagliano coi loro vicini per i termini del territorio, noi all’opposto , se restiam vinti, non potremo piantare in tuuo il nostro dominio un sol termine incontrastabile : perocché entrati costoro nelle nostre terre vorranno a fora insignorirsi di tutto ; cotanto la vicinanza di costoro più che degli altri, è per noi pericolosa. Considerate poi che quelli i quali (siccome ora gli Ateniesi ) baldanzosi di loro forze assaltano altrui, sogliono portar con più audacia le armi contro chi stia a sè , e solo si difenda nel proprio paese ; ma insistono con meno ardore contro chi si faccia innanzi ad incontrarli fuori dei confini, e ad attaccarli se l’occasione si presenti. Ne abbiamo contro di loro l’esperienza ; allorché per sedizione insorta avendo essi occupato il nostro suolo, noi li vincemmo a Cheronea e ristabilimmo in Beozia quella sicurezza che dura anche adesso. Le quali cose rammemorando noi più vecchi sforziamoci di imitare i fatti d’allora, e voi giovanetti figli di padri già valorosi procurate di non profanare quelle virtù che per retaggio vi appartengono. Pertauto affidati al Nume che sarà per noi, il cui santuario ritengono sacrilegamente afforzato , ed alle vittime che nei nostri sacrifizi ci si mostrano propizie , corriamo tutti ad affrontarli, e mostriamo loro che assalendo gente che non sappiano respingerli, potranno appagare le proprie voglie ; ma trattandosi di un popolo che per innata generosità vuole combattendo mantener sempre libera la sua patria, e non assoggettare ingiustamente l’altrui, e’ non torneranno indietro senza venire al paragone dell'armi ».

Con questa esortazione Pagonda persuase i Beozii ad andar contro gli Ateniesi ; e poiché era già sul tardi del giorno, mosso subito il campo si mise alla testa dell’esercito. Quando fu vicino all’accampamento degli Ateniesi fece alto ove una collina trapposta impediva ai due eserciti di vedersi scambievolmente ; schierò le sue genti e si disponeva alla battaglia. Ippocrate che era a Delio, avuto contezza che i Beozii gli venivano addosso, spedisce al suo esercito imponendo di mettersi in ordinanza : e poco dopo parti anch’ egli, lasciati circa quattrocento cavalli ne’contorni di Delio per guardarlo, se mai qualche corpo nemico volesse assalirlo, e per cogliere insiemi l'opportunità di sorprendere i Beozii nelFatto della battaglia. E i Beozii destinarono alcune squadre per far fronte a costoro ; e quando ebbero tutto in ordine si fecero vedere di sulla collina; e si misero sulle armi in quella ordinanza colla quale dovevano combattere. Erano in tutti forse settemila di milizia grave , e di leggera sopra diecimila , con mille cavalli e cinquecento palvesari. I Tebani con quelli del loro comune tenevano l’ala destra ; il centro gli Aliarti, i Coronei, i Copeesi, e gli altri abitanti sul lago di Copa ; la sinistra i Tespiesi, i Tanagresi e gli Orcomenii. L’una e l’altra ala era coperta dalla cavalleria e dalle genti leggere. I Tebani erano schierati con venticinque di fronte ; egli altri senza verun ordine stabilito. Tale era l’apparecchio e l’ordinanza de’ Beozii.

Dalla parte degli Ateniesi i soldati gravi, che era • no pari di numero ai nemici, si schieravano con otto di fronte, e sulle due ali era la cavalleria. Non si trovavano presenti nell’esercito milizie leggere , e nemmeno ve n’erano in Atene ; e quelle che con Ippocrate erano entrate nella Beozia, sebbene in molto maggior numero dei nemici, lo avevano però seguito senz’armi, perchè crasi fatta in Atene una leva generale sì di forestieri che di cittadini ; e perchè

dopoché da prima elle si furono mosse per tornarsene a casa, non erano più comparse salvo che poche. Ma quando i due erauo ordinati a battaglia e vicini ad azzuffarsi, lppocrate generale scorrendo le file delPesercito degli Atepiesi gli incoraggiava con queste parole.

« Ateniesi, breve é la mia esortazione , ma importa lo stesso per uomini valorosi. Non è dessa eccitamento ma ricordanza di prodezza. A niuno di voi cada in mente che sulle terre altrui noi senza prò ci gettiamo in tanto pericolo, perchè la battaglia nel suolo di questi sarà per salvezza del nostro. E se vinceremo , i Peloponoeà privati della cavalleria beozia non assalteranno più il vostro territorio : talché con una sola battaglia voi conquistate queste terre, e viemaggiormente affrancate le vostre. Marciate adunque contro di essi in modo da fare onore a quella città che ciascuno di voi si gloria di avere per patria, e che è la prima fra i Greci; non meno che ai padri vostri che guidati da Mironida vinsero costoro ad Enofite, ed allora conquistarono la Beozia ».

Mentre Ippocrate animava così le sue genti, era pervenuto a mezzo dell’ esercito senza poter percorrere alla maggior parte ; perchè i Beozii incitati anch’essi brevemente da Peonida ed intonato il Peana , si avanzavano dalla collina. Onde gli Ateniesi si mossero loro incontro, e correndo si azzuffarono. Le ultime file di ambedue gli eserciti non poterono venire alle mani perchè impedite egualmente dai torrenti ; ma le altre si affrontarono eoo aspra battaglia e con incioccamento di scudi. L’ala sinistra dei Beozii fino al mezzo era vinta dagli Ateniesi, i quali incalzarono in questa parte anche gli altri ; e singolarmente i Tespiesi. Imperciocché avendo ceduto quei che erano schierati dirimpetto agli Ateniesi, i Tespiesi s» trovarono circondati in angusto spazio : onde quelli che vi morirono furono tagliati a pezzi nel difendersi petto a

petto. Alcuni poi degli Ateniesi che nel circondarli eransi disordinati, non riconoscendosi più tra loro, si ammazzarono scambievolmente. Pertanto i Beozii perdevano su questo lato é si ritiravano presso quelli che reggevano alla battaglia. All’opposto l’ala destra, ove erano i Tebani, superava gli Ateniesi : e dopo averli in breve respinti cominciava ad inseguirli. E accadde che Pagonda sentendo che pativa l’ala sinistra de’suoi, aveva spedito in giro alla collina per occulta via due squadroni di cavalleria ; all’improvviso comparir dei quali, quell’ala degli Ateniesi, che era vincitrice, credendo che un nuovo esercito sopravvenisse , entrò in gran paura. Cosicché l’esercito ateniese parte costernato per questo stratagemma } parte inseguito e sbaragliato dai Tebani, si diede tutto a fuggire. Correvano alcuni verso Delio e verso il mare ; altri ad Oropo, altri al monte Pamete ; ed altri ovunque ciascuno avesse qualche speranza di salvezza. I Beozii, e specialmente i loro cavalli , insieme coi Locresi accorsi in rinforzo appena seguita la rotta li incalzavano e li uccidevano. Ma la notte sopravvenuta a questo conflitto facilitò lo scampo ai fuggitivi ; e il giorno appresso quei che s’erano ricovrati ad Oropo e a Delio (il quale noudimeno tuttora ritenevano), lasciatovi un presidio ritornarono colle navi a casa.

I Beozii ersero il trofeo, ripresero i cadaveri dei loro , spogliarono quelli de’ nimici, e lasciate ivi delle genti tornarono a Tanara coll’ intenzione di assaltar Delio. In questo mezzo l’araldo degli Ateniesi spedito per riavere i cadaveri incontra quello dei Beozii, che lo fa tornare indietro col dirgli : che prima del suo ritorno non otterrebbe nulla. Quindi venuto alla presenza degli Ateniesi, disse da parte dei Beozii : aver essi oprato nefandamente, violando gl’ istituti dei Greci, perciocché era presso tutti stabilito che entrando sulle terre gli uni degli altri, si risparmiassero i luoghi sacri del paese. Nondimeno (sogli

Dopo che l’araldo ehbe parlato così, gli Ateniesi spedirono ai Beozii il loro , rispondendo ; che essi non avevano in nulla violato il sacro luogo, e nemmeno volontàriamente lo violerebbero in avvenire ; che neanche da principio vi erano entrati con questa intenzione, ma solo per aver un ridotto onde meglio difendersi dalle lqro ingiustizie; che gl' instituti dei Greci portavano, che chiunque fosse padrone di un territorio più o meno esteso , di lui fossero sempre ancora i luoghi sacri , per doverli onorare colle ceremonie ch’ei potesse, oltre le consuete ; che i Beozii stessi, e gli altri non pochi che posseggono un paese dal quale, abbiano colla forza cacciati gli abitanti , per quanto da prima invadessero luoghi sacri appartonenti ad altrui, li ritengono ora in proprio ; che se essi medesimi potessero acquistar qualche altra terra di più nella Beozia , la riterrebbero ; e che ora, per quanto in loro stesse, nQti partirebbero da quella ove si trovavano , perche la credevano sua. Quanto all’acqua poi rispondevano ; che l'avevano toccata per necessità, la quale necessità non si erano procurata colla propria insolenza : ma erano stati astretti ad usarne , uel caso di dover respingere i Beozii che i primi avevano invaso il loro territorio ; che iq ogni modo volevasi credere che ciò a cui costringe la guerra o altro grave pericolo, sarebbe pur perdonato anche dal nume ; che però gli altari sono il refugio dei falli inyolontarii ; e trasgressione si chiacqa quella commessa

da chicchessia senza alcuna necessità, non quell a che i disastri ti spingano. Ond’è che essi, pretendendo fendere i morti per riscatto de' luoghi sacri, adoprano assai più empiamente degli Ateniesi i quali non Vogliono riacquistare collo scambio di luoghi sacri ciò che loro si conviene. Ili ultimo ordinavano all’aràldo di dir chiaramente che essi non uscirebbero da unii terrà de’ Beozii che non più apparteneva ai Beozii, dappoiché èra stàta acquistata con Tarmi, ma che intendevano di riavere i cadaveri mediante la tregua , secondo il patrio costume.

I Beozii, credendo che Oropia (su’ confini della quale giacevano per avventura i cadaveri, essendo ivi accaduta la pugna) fosse per titolo di vassallàggio degli Ateniesi , i quali però non potrebbero riprendere i morti, s’e’ non lo permettessero , risposero : che se gli Ateniesi erànó in Beozia se ne andassero da un paese beozio portando seco le robe loro ; se poi erano in paese loro proprio, dovevano essi ben sapere quello che era da fare : che a loro non toccava certo a dare salvocondotto in terra altrui ; ma che ove si trattasse di uscire da una terra dei Beozii il decoro esigeva si rispondesse, che partissero , e riprendessero le cose richiedevano. A questa risposta l’araldo degli Ateniesi parti senza nulla concludere.

Ma i Beozii, essendo venuti in loro aiuto dopo la battaglia duemila Corintii di grave armatura, e quei soldati peloponnesi che erano di presidio a Nisea ed anche i Megaresi, spedirono subito per dei laudatori e frombolieri dal seno Meliaco, marciarono contro Delio , e diedero l’assalto alla fortificazione. Tra gli altri tentativi fatti , accostarono al muro una macchina che lo espugnò, fatta in questa foggia. Segarono unà grande antenna in due parti, le quali vuotate quanto erano lunghe le ricommessero esattamente a guisa d’una tromba. AlPestremila vi attaccarono con catene una caldaia , e dall’autcniia scendeva voltato verso la

caldaia lo sfiatatoio di ferro, e di ferro era pur foderata non poca parte del resto dell antenna. Portata questa per non piccolo spazio in su de’carri l’accostarono al muro in quel punto che era fatto, più che d’altro , di sarmenti e di legni : e quando fu vicina vi applicarono grandi mantici alla estremità dalla parte loro , e gonfiavano. Il fiato scorrendo ben serrato nella caldaia fornita di carboni accesi, di zolfo e di pece , suscitò fiamma grande che appiccò fuoco al muro tanto che, non potendo più alcuno rimanervi, lo abbandonarono, e si misero in fuga ; e fu in questa maniera espugnata quella munizione. Alcuni del presidio morirono, dugento furono presi, e l' altra moltitudine montata sulle navi si ricondusse a casa.