History of the Peloponnesian War

Thucydides

Thucydides. Della storia di Tucidide volgarizzata libri otto. Anonymous translator. Florence: Tipografia Galileiana, 1835.

« Ma se non abbiamo offuscati gli occhi dell’intelletto, dobbiamo invitare alleati ed abbracciar nuovi pericoli , piuttosto per acquistare al nostro stato quel d’altrui che danneggiare il proprio : dobbiamo persuaderci che le sette sono la peste principalissima si delle particolari repubbliche che della Sicilia intera , della quale noi abitatori quantunque tutti insidiati, andiamo città per città parteggiando. Queste considerazioni devono condurre i privati a rappacificarsi coi privati, e le città colle città, a fine di tentar concordemente di salvare tutta quanta la Sicilia. Nessuno si immagini che i soli Dorici tra noi sieno nemici agli Ateniesi, e che i Calcidesi in grazia della consanguinìtà

ionica stieno al sicuro : imperciocché non per odio alla diversità del sangue costoro invadono i popoli, ma per bramosia dei beni di Sicilia, che possediamo in co' miiue. E ciò hanno appalesalo all’ invito fatto loro da quei di stirpe calcidica , ai quali, con prontezza maggiore di quel che richiedesse una convenzione, hanno pagato un debito di giustizia come consanguinei, senza esserne stati mai soccorsi secondo l’alleanza. Pur queste soverchierie e premeditazioni degli Ateniesi sono bene da scusarsi ; nè io biasimo quelli che voglion comandare, ma quelli che sono troppo pronti ad obbedire ; avvegnaché sia propio degli uomini comandar sempre a chi cede e guardarsi da chi t’assale. E vanno errati quelli tra noi che convinti di ciò, non antiveggono drittamente , e si presentano all’assemblea senza credere della massima importanza il ben provvedere al timore comune, da cui tostissimamente saremmo liberi solo che ci accordassimo insieme ; perchè gli Ateniesi non si muovono contro noi dal loro paese } ma dal paese di chi gli ha chiamati. Allora non la guerra colla guerra, ma le dissensioni colla pace tranquillamente queteremo : e quanto fu ingiusta , sebben palliata la venuta degli Ateniesi qua invitati, altrettanto sarà ragionevole la loro partenza a man vuote.

« Ecco quanto bene rispetto agli Ateniesi ritroviamo saggiamente deliberando. Quanto poi alla pace, che a confessione di tutti è l’olUmo dei beni, come non deve farsi anche fra noi stessi ? Se uno si trovi in prosperità, un altro in avversità , non credete voi che la pace meglio che la guerra possa in quest’ultimo cessare, e nel primo conservare il suo stato ; e che ella offra onori e chiarezza permanente e tutto ciò che potrebbe dar materia a lunga orazione non meno che la guerra ? Lo che considerando dovete non spregiar mie parole, ina anzi per queste provveder ciascuno alla vostra salvezza. E se alcun tien per

fermo di ben riuscire in qualche cosa o per il dritto o per la forza , badi che la sua speranza non vada fallita , ove egli sappia che dei molti i quali volevano perseguire colla vendetta gli ingiuriatori, e degli altri i quali speravano di vantaggiarsi per via della forza, quelli non che vendicarsi , non ne uscirono a bene ; a questi invece di acquistare, avvenne di perdere del proprio. Imperciocché la vendetta non riesce meritamente a buon fine perchè è provocata dall9 ingiuria, nè la fortezza è stabile perchè ha buone speranze; ma d’ordinario la vince l’incertezza del futuro, che sebben fallacissima pure si mostra anche utilissima, avvegnaché temendo del pari usiamo maggior previdenza nell’assalirci l'un l’altro.

« Laonde abbattuti ora doppiamente , e dal timore indeterminato di questa incertezza , e dalla presenza degli Ateniesi ornai formidabili, riguardiamo questi ostacoli come sufficienti ad impedire quello che credevamo di effettuare giusta i mal concepiti disegni ; mandiamo via dal nostro paese gl’ imminenti nemici ; facciamo tra noi, come io credo il meglio , accordo sempiterno, o almeno con tregua lunghissima ; rimettiamo ad altro tempo le nostre particolari differenze. Intendiamo insomma che seguendo il mio consiglio, ciascuno avrem libera la città nostra, e tenendola independentemente potremo per generosità render la pariglia a chi ci faccia del bene o del male. Ma se , non porgendomi orecchio , ci assoggetteremo ad altri ; non più si tratterà di vendicarsi di alcuno, ma dovrem recarci a gran fortuna di esser per forza amici ai mortali nostri nemici, e discordanti da chi non dovremmo,

« Ed io per me, come da prima ho detto, tuttoché rappresenti città amplissima e tale da offendere piuttostochè difendersi, pure credo ben fatto próvidamente comporci insieme, e di non far del danno ai nemici in

modo da risentirlo noi maggiore. Nè io vo’ da stolto perfidiare di credermi arbitro , siccome del mio volere , cosi della fortuna cui non comando ; anzi mi giova darla vinta finché il decoro lo permette : ma credo giusto che voi altri facciate meco lo stesso spontaneamente , e non aspettiate che i nemici vi astringano ; perchè non è vergogna che i nazionali cedano ai nazionali, o un dorico all’altro dorico, o un calcidiese ai consanguinei ; in una parola, popoli tra sè vicini coabitanti di un medesimo paese bagnato intorno dal mare , e chiamati tutti con un sol nome Siciliani. Pur quand’occorra guerreggeremo tra noi, e fra noi nuovamente ci accorderemo mediante i comuni parlamenti : ma ora , se abbiam senno, corriamo tutti insieme a respingere gli stranieri, se pure è vero che il danno di ciascuno è pericolo comune. Non chiamiamo più d’ora innanzi nè alleati nè pacieri, essendoché per questo modo non defrauderemo al presente la Sicilia di due beni , cioè d’esser libera dagli Ateniesi e dalla guerra domestica ; ed in avvenire noi soli la riterremo libera e meno insidiata dagli altri ».

Persuasi i Siciliesi dalle parole di Ermocrate convennero tra sè doversi cessar la guerra con questo inteso che ciascuno ritenesse quel che aveva ; e che Morgantina resterebbe ai Camarinei purché sborsassero ai Siracusani certa somma di danaro. Gli alleati d' Atene chiamarono a sè i capitani ateniesi e dissero , che gradirebbero di accedere a queH’accomodamento , e che le tregue sarebbero comuni anche a loro. Avutone il consenso stipularono il concordato, e la flotta ateniese partì poi di Sicilia. Tornati i generali alla città , gli Ateniesi conGnarono Pitodoro e Sofocle, e taglieggiarono Eurimedonte , allegando che potendo essi soggettare la Sicilia , se ne eran ritornati corrotti da' donativi. Cotanto misusavano della presente loro felicità, che pretendevano ni uno ostacolo

doversi attraversare ài loro disegni, e le imprese fattibili e le più difficoltose doversi del pari effettuare, sia con grandi, sia con insufficienti apparecchi. E ciò nasceva dalla inopinata fortuna nella maggior parte delle imprese , la quale nutriva in essi animosa speranza.

Nella medesima estate quei di Megara , stretti dagli Ateniesi che costantemente due volte l’anno assaltavano con tutto l’esercito le loro terre, e dai fuoruscili che nel bollore delle fazioni essendo stati cacciati dai popolani e raccoltisi a Pega riuscivano incomodi coi ladronecci , tenevano discorso fra loro del doversi levare il bando ai fuorusciti per non rovinare da due parti la città. A tal romore i fautori dei banditi più apertamente di prima aneli’essi insistevano non esser da trascurare tal proposta : ma i demagoghi temendo che il popolo , per le córrenti calamità , non vorrebbe tenere il fermo nella loro parte , vengono a parlamento con Ippocrate di Arifrone, e Demostene di Alcistene, capitani ateniesi, con intenzione di render la città perché giudicavano ciò meno a sè pericoloso , che il rimettere in patria quelli che avevano discacciati. Convennero aduuque per primo che gli Ateniesi occupassero le mura lunghe distanti circa otto stadii dalla città inverso Nisea loro porto , acciò i Peloponnesi non potessero correre in aiuto uscendo di Nisea stessa , ove soli stavano di presidio per tenere in rispetto Megera : quindi farebbero di tutto perchè si rendesse anche la cittadella ; e quando ciò fosse avvenuto y anche gli altri Megaresi più facilmente calerebbono agli accordi.

Discorso e preparato il tutto da ambe le parti, gH Ateniesi con seicento di grave armatura comandati da Ippocrate sull' imbrunire navigarono a Minoa isola de’Megaresi, e posaronsi in un fosso scassato per ammattonare le mura, non molto lontano da Megara. Le gènti leggieri dei Plateesi, e le altre della ronda guidate dal secondo capitano

Demostene , imboscaronsi presso al sacro recinto di Marte che ne è anche men lontano. A Megara nissuno sapeva di ciò, fuorché quelli cui premeva di essere avvertiti di cotesta notte. Sul far dell' aurora quei tra’ Megaresi autori del tradimento misero in opera cotal fraude : fingendosi pirati avevano un pezzo prima co’ buoni ufizi indotto il capitano della porta ad aprirla ; e di notte solevano sopra un carro trasportare pel fosso fino al mare una barca a due remi e mettersi in corso : poi sul medesimo carro la riportavano sino al muro , e la introducevano per la porta prima del giorno , perchè non fosse veduta dalle sentinelle ateniesi di Minoa, tanto più che nel porto non si vedeva barca veruna. Allora già il carro era alla porta , che al solilo fu aperta per la barca. A tal vista gli Ateniesi, poiché la cosa era di concerto, correvano in fretta dall’aguato volendo arrivar prima che si richiudesse la porta , e mentre vi era appunto la barca che serviva d’impaccio a rabbatterla; e sostenuti da’Megaresi complici della trama, uccidono le guardie della porta. I Plateesi con Demostene e i soldati della ronda furono i primi a correre laddove ora è il trofeo ; e subito dentro la porta azzuffatisi coi Peloponnesi che essendo vicinissimi ed avvistisi del fatto vi erano accorsi, n’ebber vittoria , e resero sicura la porta pei soldati gravi ateniesi che sopravvenivano.

Dipoi ciascuno degli Ateniesi che a mano a mano passava la porta, si avviava verso le mura, ove pochi del presidio peloponnesio fecero in principio resistenza , ed alcuni rimasero morti : i più però si diedero alla fuga impauriti da quel notturno assalto de’nemici, e dal vedersi a fronte quei cittadini traditori ; onde stimavano che tutti i Megaresi si fossero accordati a tradirli. Occorse inoltre che un araldo ateniese di suo capriccio bandì che chiuni{ue de’ Megaresi volesse esser con gli Ateniesi prendesse le armi. A tal voce non ressero più , ma pensando di aver

veramente nemico tutto il popolo , si ricovrarono a Nisea. con loro gran moltitudine di popolo informati del segreto gridavano doversi aprire le porte ed uscire a battaglia. Avevano già tra loro stabilito che ungendosi per contrassegno con del grasso a fine di non essere offesi, aprirebquantunque avessero maggiori forze , nè gettare la città in manifesto pericolo ; che se alcun si opponesse , ivi s’avea a decidere coll'armi. Mostravano al tempo stesso non saper nulla di quei maneggi, ma insistevano come che consigliassero il migliore , ed intanto restavano fermi a guardia della porta ; di sorte che gli orditori della trama rimasero delusi.

Conoscendo i generali ateniesi che era nato qualche ostacolo, e che d’altronde non avevano forze sufficienti a prendere d’assalto la città , si diedero immediatamente a cingere di mura Nisea, persuasi che espugnandola prima che le venisse qualche soccorso, sarebbe stata anco più sollecita la resa di Megara. A tale oggetto arrivarono subito da Atene ferramenti, scarpe!lini ed ogni altra bisogna. Pertanto incominciando dalle mura già occupate, edificarono un muro trasversale per chiuder fuori Megara ; e dalle due estremità di esse lo condussero fino al mare di Msea. L’esercito si distribuì il lavoro del fosso e delle mura,

Sul far dell’alba erano già espugnate le mura ; e in mezzo allo scompiglio della città i parteggianti degli Ateniesi e bero le porte , ed entrerebbero a furia gli Ateniesi ; lo che potevano fare tanto più francamente, in quanto che da Eieusi, giusta il convenuto, erano arrivati marciando di »otte quattro migliaia di fanti gravi ateniesi e sei centinaia di cavalli. Ma quando i congiurati già unti erano presso alle porte uno di questi consapevole del tutto dichiara agli altri la trama : il perchè raccoltisi insieme recaronsi tutti alla porta e dicevano non doversi aprire, nè far sortita veruna , lo che non avevano osato di fare neanche innanzi

valendosi de’ sassi e dei mattoni del suburbio ; fabbricava palizzate ove abbisognasse, tagliando alberi ed altro legname ) e le case del suburbio stesso con merli onde venivano fornite servivano anch’ esse di battifolli. Vi lavoravano tutto questo giorno, e sulla sera del di seguente il muro era quasi finito. Però le genti di Nisea intimorite perchè mancavano di viveri (dovendo giorno per giorno consumar quelli che venivano mandati dalla cittadella di Megara) e perchè non speravano pronto soccorso dai Peloponnesi e credevano nemici tutti i Mega resi, si composero con gli Ateniesi per esser liberi pagando capo per capo una taglia, con questo inteso che fossero rese le armi ; ed i Lacedemoni col loro capitano, e qualunque altro vi si trovasse, lasciati a discrezione degli Ateniesi. Stipulato questi patti esciron fuori, e gli Ateniesi demolirono le mura lunghe dalla parte di Megara, ed avuta in mano Nisea si accingevano ad altre imprese.

In questo tempo Brasida lacedemone figliolo di Tellide che si trovava in vicinanza di Sicione a Corinto per allestire un esercito contro la Tracia, avendo inteso la presa delle mura lunghe di Megara, venne in timore per il presidio peloponnesio di Nisea e per l’espugnazione di Megara. Laonde spedisce ai Beozi ordinando che tostamente doves-«ero venirgli incontro con tutto l’esercito al castello chiamato Tripodisco nella Megaride alle falde della montagna Geranea, ove anch’egli si recava con duemila settecento Corintii di grave armatura, quattrocento Fliasii e seicento Sicionesi, senza contare le altre genti che aveva intorno a sè raccolte. Stimava'egli che Nisea fosse ancor salva; ma come marciando di notte alla volta di Tripodisco ebbe inteso esser presa, scelti trecento dell’esercito prima che nulla si sapesse di sua venuta, si appressava a Megara , certamente agli Ateniesi che erano presso al mare. Dava voce, ed era anche vero, di voler tentare, se fosse possibile,

l' impresa di Nisea : ma la cima de’ suoi pensieri era di pe^ netrare in Megara per assicurarsene. Onde faceva istanza ai Megaresi che dovessero ricéverlo con l’esercito, dicendo di essere nella speranza di recuperare Nisea.

Ma le fazioni de’Megaresi erano venute in sospetto ; imperciocché temevano gli uni, che Brasida fatti rientrare gli usciti, non cacciasse lor fuori; gli altri che per questa cagione appunto i popolani non gli assalissero, e cosi la città agitata da guerra cittadina non venisse a perdersi , mentre gli Ateniesi stavano d’appresso alle vedette. Però non lo ricevettero in Megara, ma piacque ad ambe le parti di star sulle sue per veder quello che succedesse, avvegnaché sperassero amendue che si verrebbe a battaglia fra Ateniesi e Lacedemoni accorsi in aiuto , e cosi miglior partito sarebbe che si mettessero dalla parte del vincitore coloro che gli fossero affezionati. Brasida intanto, non avendo potuto indurre i Megaresi a riceverlo, tornò a raggiungere il rimanente dell’esercito.

Arrivarono a giorno i Beozi che prima dell’imbasciata di Brasida avevano avuto in animo di soccorrer Megara, perché non era loro estraneo quel pericolo, e perchè erano già con tutte le loro truppe a Platea. Ma dopo l' imbasciata si inanimarono viemaggiormente e spedirono a Brasida una banda di duemila di grave armatura con seicento di cavalleria, e tornarono indietro col maggior numero; talché tutto l’esercito di Brasida riunito insieme montava a non meno di seimila soldati di grave armatura« Gli Ateniesi avevano disposte in ordinanza le genti gravi presso Nisea in sul mare, e le leggiere erano sparse per la pianura ; quando i Beozi assaltando quest' ultime inaspettatamente , perchè niun soccorso era di prima venuto ai Megaresi , le cacciarono fino alla mariua. Allora spintasi addosso al vincitore la cavalleria ateniese si venne alle mani ; c durò un pezzo questa zuffa equestre in cui ambe le parti

pretendono non avere avuta la peggio. Bene è vero che' il comandante della cavalleria beozia e pochi altri si avanzarono fin sotto Nisea, e vi furono uccisi e spogliati dagli Ateniesi, i quali impadronitisi de’ cadaveri dei Beozii li resero poi con salvocondotto, ed ersero trofeo : nondimeno però, se si riguardi la totalità di questo fatto d’arme, gli uni e gli altri si separavano con esito dubbioso. Anzi i Beozii tornarono al loro campo, e gli Ateniesi a Nisea.

Dopo questo conflitto Brasida e il suo esercito si avvicinarono al mare e alla città di Megara : e occupato un posto vantaggioso fermaronvisi in ordinanza ; perchè stimavano che gli Ateniesi verrebbero ad assalirli, e non ignoravano che i Megaresi starebbero oziosi a vedere di chi avesse ad essere la vittoria. Davansi essi a credere che questo compenso porterebbe loro due vantaggi : uno, che non sarebbero i primi a dar battaglia nè a mettersi deliberatamente all' avventura ; e che siccome si erano chiaramente mostrati disposti a resistere, così senza muover foglia verrebbe loro a ragione attribuita la vittoria : l’altro, che potevano sperare buon esito rispetto ai Megaresi ; imperciocché se non fossero comparsi colà la cosa non resterebbe tuttora indecisa, ma creduti manifestamente vinti avrebbero senz’altro perduta quella città: mentre adesso potrebbe darsi il caso che gli Ateniesi non volendo combattere , essi senza battaglia conseguano il fine per cui erano venuti ; come di fatto avvenne. Conciossiachè gli Ateniesi erano usciti di Nisea e si erano attelati dinanzi alle mura lunghe, ma non essendo assaliti dal nemico stavano ivi fermi, perchè i loro generali consideravano la sproporzione del proprio pericolo con quello dei nemici. Infatti, se dopo aver avuto prospero successo nella massima parte delle imprese, ingaggiassero la battaglia contro un esercito più numeroso, ne avverrebbe che vincendo acquisterebbero Megara, perdendo verrebbe anche a perdersi il fiore delle genti di grave armatura :

laddove il rischio di tutto l’esercito peloponnesio ivi presente era diviso in ciascuna città, e però con ragione dovevano i Lacedemoni desiderar di venire a giornata. Ma poiché trattenutisi del tempo nessuno dei due campi si moveva, ponnesi a] luogo onde erano partiti.

Allora incoraggiati maggiormente quei Megaresi peloponnesie ed a Brasida, riguardandolo come vincitore dacché gli Ateniesi s’eran tenuti di combattere. Introdotti costoro in città ove stavano costernati i partigiani degli Ateniesi , vengono a parlamento : dipoi si sciolse l’esercito della lega per tornar ciascuno alla sua patria : e Brasida recatosi a Corinto ordinava la spedizione di Tracia ove sin da principio era indirizzato. Partiti appena gli Ateniesi per alla volta di Atene, quei Megaresi rimasti in città che più degli altri si erano mescolati nelle cose di essi, vedendosi scoperti tosto partirono di soppiatto : e gli altri abboccatisi insieme con gli amici dei banditi permettono di rimpatriare ai rifuggiti in Pege, obbligandoli con giuramento di solenni promesse a dover dimenticare qualsivoglia torto, e a consigliare il meglio per la città. Ma costoro quando furono di magistrato, all’occasione di fare la rivista dell’armena spartirono in varii luoghi le compagnie dei soldati, e cappati da cento dei loro nemici fra quei ohe passavano per più affezionati agli Ateniesi, costrinsero il popolo a dare sopra di loro il voto scoperto, per cui essendo stati condannati li uccisero. Cosi ridussero la città, può dirsi, ad una assoluta oligarchia; e questo cambiamento, causato dalla sedizione che portò il governo in mano di pochissimi, durò per assai lungo tempo.

Nella medesima estate essendo i Mitilenei vicini ad effettuare il loro disegno di munire Antandro, Demodoco cd Aristide capitani degli Ateniesi, deputati esattori del trigli Ateniesi tornarono i primi a Nisea, e quindi i Pelofautori dei banditi aprono le porte ai capitani delle città

bnto, trovandosi attorno all’Ellesponto ( mentre Lamaco loro terzo collega con dieci navi era entrato nel Ponto ) quando riseppero i preparamenti di quella terra vennero in apprensione che ella potesse diventare quel che a danno diSamo era Anea, ove ridottisi i fuorusciti Samii aiutavano in sul mare i Peloponnesi mandando loro de' piloti , fomentavano turbolenze tra i Samii restati in città, e raccettavano gli usciti. Però messa insieme un’ armata di alleati, navigano ad Antandro ove, superati in battaglia quei che ne erano venuti ad opporsi, riprendono di bel nuovo la terra. Non molto dopo Lamaco che già era entrato nel Ponto approda alle rive del fiume Caleci in su quel d' Eraclea ; ma venuta dell’acqua dalle parti montane e calata un' improvvisa corrente, vi perde le navi. Nondimeno egli traversando colle sue genti il paese dei Traci Bitinii, che sono sulla spiaggia opposta in Asia, giunge per terra a Calcedonia, colonia dei Megaresi, situata in sulla bocca del Ponto.

Nella medesima estate anche Demostene capitano degli Ateniesi partito appena dalla Megaride va con quaranta navi a Naupatto, avvegnaché alcuni delle città beozie tenessero segrete pratiche con lui e con Ippocrate sugli affari della Beozia, con intenzione di mutare lo stato e voltarlo, come gli Ateniesi, alla democrazia. Pertanto guidati principalmente da Pteodoro esule tebano avevano disposto la cosa in questo modo : che alcuni renderebbero per tradimento Sifa castello marittimo del territorio tespico in sul golfo di Crisa ; ed altri d’Orcomeno consegnerebbero Cheronea che è nel medesimo distretto d’Orcomeno denominato prima Minieo ed ora Beozio. Si erano uniti in queste pratiche più che altri i banditi orcomeniesi, e soldavano genti del Peloponneso ; e siccome Cheronea è su i confini della Beozia, così vi avevano le mani ancora alcuni Focesi. Gli Ateniesi poi occuperebbero Delio consacrato ad Apollo,

che resta nel Tanagrese e guarda Eubea : e tutte queste cose dovevano farsi in un determinato giorno perchè i Beozii non potessero tutti accorrere in soccorso di Delio, ma ciascuno avesse di che darsi moto per i propri affari. Se il tentativo andasse bene e si potesse munir Delio, speravano agevolmente che, posto anche non nascesse subito qualche innovazione del governo beotico, nondimeno l’occupazione di questa terra dando abilità agli Ateniesi di corseggiar la campagna, ed essendo un vicino ricovero ai malcontenti, le cose de' Beozii non rimarrebbero tranquille ; e che gli Ateniesi unendosi ai ribelli, mentre i Beozii non potevano raccogliere insieme le loro forze, riuscirebbero col tempo a stabilirvi reggimento acconcio ai loro disegni. Queste erano le insidie che si tramavano.

Intanto Ippocrate , che quando fosse il tempo dovea marciare alla testa degli Ateniesi contro i Beozii, fece avviare Demostene a Naupatto colle quaranta navi, acciocché raccolto da quei luoghi un esercito tra di Acarnani e d’altri confederati navigasse a Sifa, che ella verrebbe resa per tradimento. Già avevano fra sè convenuto del giorno in cui dovevano tutte insieme queste cose effettuarsi. Demostene adunque al suo arrivo ricevette nell’ alleanza degli Ateniesi gli Eniadi costrettivi dall9 intero corpo degli Acarnani , e poi commosse da sè stesso tutta la lega di quelle parti ; cominciò da portar le armi contro Salintio e gli Agrei, e recato in sua mano la somma delle cose si disponeva quando che occorresse a raggiungere gli Ateniesi a Sifa.

Circa il medesimo tempo di questa estate Brasida con mille settecento di grave armatura messosi in cammino per la sua impresa di Tracia, non prima pervenne ad Eraclea della Trachiniache spedì innanzi un messaggio in Farsalo, pregando i suoi fautori a dover concedere il passaggio per la Tessaglia a lui ed alle sue genti. Vennero di igiiizetf by CiOO^Ic

falli a Melizia dellAcaia Panerò, Doro, Ippolochide, Torilao e Strofaco pubblico ospite dei Calcidesi ; e allora egli riprese il suo cammino accompagnato, tra gli altri Tessali, da Leonida larisseo che era molto innanzi con Perdicca ; avvegnaché non sia facile traversar la Tessaglia senza scorta in specie per gente armata; anzi suole generalmente presso tutti i Greci esser preso in sospetto chi passi su quel di altrui senza consenso. Siarroge di più che la moltitudine dei Tessali era mai sempre bene affetta agli Ateniesi ; di modo che se invece d’esser retti da una balìa dominante si fossero governati con uguaglianza popolare di diritto, Brasida non sarebbe potuto passare avanti. Imperciocché anche quando egli s’era messo in via essendoglisi fatti incontro sul fiume Enipeo quei della fazione contraria alle sue guide, volevano contrastargli il passaggio chiamandosi offesi perché ei passasse innanzi senza il consenso di tutto il comune. Rispondevano le scorte che non intendevano di condurlo a malgrado di essi, ma solo per titolo di ospitalità da che era comparso repentinamente. E Brasida diceva di propria hocca esser venuto amico al suolo tessalo ed ai Tessali ; portare le armi contro gli Ateniesi suoi nemici, non già contro loro ; non vedere alcuna inimicizia fra' Tessali ei Lacedemoni per cui dovessero scambievolmente impedirsi l’uso del territorio ; non volere proseguire il cammino a loro dispetto (né quando il volesse potrebbe farlo), ma solo pregarli che non dovessero impedirglielo. Costoro udito ciò partirono; e Brasida, ad istanza de’suoi conduttori prima che si adunasse più gente a contrastargli il’passo,senza punto trattenersi marciò con tanta fretta, che il giorno medesimo che s’era mosso da Melizia fece capo a Parsalo, e si pose ad oste sul fiume Apidano. Di lì passò a Facio, e quindi a Perebia, donde finalmente i suoi conduttori tessali tornarono indietro. Ed i Perebii vassalli degli stessi Tessali lo fecero passare a Dio cittadella del regio di Perdicca, posta
alle falde dell’Olimpo di Macedonia inverso la Tessaglia.

Così Brasida fu in tempo di trascorrere la Tessaglia prima che alcun fosse preparato ad opporsegli ; ed arrivò presso Perdicca e nelle terre Calcidesi, ove intimoriti della fortuna degli Ateniesi tanto i Traci che si erano loro ribellati quanto Perdicca avevano invitato questo esercito peloponnesio. I Calcidiesi, ai quali si univano segretamente le vicine città (tuttoché ancora non ribellate), avevano fatto gran calca per ottenere questo soccorso, perchè credevano che gli Ateniesi prima di tutto moverebbero le armi contro loro ; Perdicca poi, perchè sebbene non fosse aperto nemico di Atene pure temeva delle differenze avute con quella Repubblica, e soprattutto perchè voleva soggiogare Arribeo re de’Lincesti. I cattivi successi delle armi di Sparta facilitarono ad essi la via ad ottenere dal Peloponneso questo esercito.

Speravano i Lacedemoni che, siccome gli Ateniesi soprastavano al Peloponneso e principalmente al territorio di Sparta , valevolissimo mezzo a divertirli sarebbe se anche essi li inquietassero collo spedir genti ai loro alleati, che di ciò li ricercavano per ribellarsi, obbligandosi ancora al nutrimento dei soldati. Desideravano inoltre d’avere un pretesto per mandar fuori degli Iloti, perchè di presente essendo Pilo in potere degli Ateniesi f non dovessero tentare qualche novità. Avevano già i Lacedemoni usato molti compensi per tenersi sempre ben guardati dagli Iloti ; ed allora che molti erano e giovani, e però mettevan loro paura ricorsero a quest’astuzia. Bandirono che quelli tra loro che pretendessero di essere stati i più valorosi nelle cose di guerra a prò dello stato si separassero dagli altri, che verrebbero fatti liberi. Era questa una tenta per iscoprirgli , perchè i Lacedemoni facevano a dire che quelli i quali avessero presunto d’ essere i primi ad ottenere la

libertà, avrebbero anche avuta maggior baldanza degli altri ad assalirli. Cosi sceltine duemila li menarono inghirlandati attorno a’templi come costumasi coi libertini; ma poco dopo gli fecero sparire senza che nessuno sapesse con qual genere di morte, e spedirono prontamente settecento degli altri armati alla grave sotto il comando di Brasida che ardentemente lo desiderava, e che si procacciò col soldo altre milizie del Peloponneso.