History of the Peloponnesian War

Thucydides

Thucydides. Della storia di Tucidide volgarizzata libri otto. Anonymous translator. Florence: Tipografia Galileiana, 1835.

All’arrivo di coloro in Atene , gli Ateniesi determinarono di tenerli guardati in prigione finche non si venisse a qualche accordo ; e di levarli per ucciderli se prima di questo i Peloponnesi entrassero nell’Attica. A Pilo poi avevano messo presidio ; ed i Messemi di Naupatto, riguardando

Pilo come patria loro, perchè apparteneva una volta al territorio messenio, vi spedirono gente di loro la più idonea, che depredando la campagna laconica la danneggiarono moltissimo, perchè hanno un medesimo linguaggio con gli Spartani. I quali fino allora non pratichi del corseggiare e di si fatta maniera di guerra , la sopporta, vano a malincuore, tanto più che gl9 Iloti disertavano, e però vi era sospetto di qualche più importante innovazione nel loro dominio. Anzi quantunque non volessero che i loro sospetti penetrassero in Atene, pure vi mandavano ambascerie per tentare di riaver Pilo e quei prigionieri : ma gli Ateniesi che intendevano a cose maggiori, contuttoché costoro molte volte vi andassero li rimandavano a mani vuote. Tali sono le cose avvenute a Pilo.

Appresso nella medesima estate gli Ateniesi capitanati da Kicia di INicerato e due altri aggiunti, e seguiti dai confederati di Mileto, di Andro e di Caristo portavano la guerra nel territorio corintio con ottanta navi e duemila soldati propri di grave armatura, più due centinaia di cavalli su barche a ciò destinate. Fecero vela coll’aurora, e andarono a porre fra il Chersoneso e Reto presso il litorale di un luogo dominato dal colle Soligio, sulla cui cima anticamente fermatisi i Doriesi guerreggiavano i Corintii di città discendenti degli Eolii. Onde il villaggio che risiede su quel colle chiamasi ancora Soligia ; ed è distante dal littorale ove stavano le navi sedici stadii, Corinto sessanta, e l’istmo venti. Ma i Corintii, presentito da Argo l’arrivo dell’armata ateuiese, erano un pezzo innanzi corsi tutti sull’ istmo , eccetto quei che abitano fuori delFistmo stesso ; e cinquecento di loro erano partiti per presidiare l’Ambracia e la Leucadia, mentre gli altri stavano in massa osservando ove gli Ateniesi approderebbero. Questi presero terra inosservati, onde furono alzati i segnali ai Corintii, che lasciata la metà di loro a Cencrea , se mai

gli Ateniesi marciassero sopra Crommione, vi accorsero frettolosamente.

Batto, uno de'due capitani Corintii (perchè due u erano in quella guerra), presa seco una compagnia di soldati andò al borgo Soligia , che era senza mura, per guardarlo ; e Licofrone e gli altri arrufiaronsi col nemico. I Coriutii caricarono primieramente Pala destra degli Ateniesi, appena sbarcata dinanzi al Chersoneso; e quindi anco il resto dell9 esercito. La battaglia era per tutto aspra e petto a petto. L’ ala destra composta di Ateniesi e Caristii ( essendo questi schierati gli ultimi ) , sostenne ed a gran pena rispinse i Corintii, che ritiraronsi presso una macìa ; ed essendo quel luogo tutto declivo, scagliavano dall’ alto sassi sul nemico , cui nuovamente assalirono cantato il Peana. Gli Ateniesi resistevano, e rinnuovossi la zuffa petto a petto : se non che una compagnia di Corintii sopraccorsa in aiuto dell’ala sinistra de9suoi, fece piegare la destra degli Ateniesi , e gl7 inseguì fino al mare. Pure gli Ateniesi ed i Caristii tornarono di nuovo indietro dalle navi. il rimanente poi dell’ esercito sì dell’ una che dell’ altra parte non cessò dal combattere ; ma specialmente l' ala diritta de’ Corintii sulla quale era Licofroue, faceva resistenza contro la sinistra degli Ateniesi, sospettando che e’ volessero tentare l' impresa del villaggio Soligia.

Ressero adunque un pezzo ambi gli eserciti senza cedere : ma poi, siccome gli Ateniesi avevano il vantaggio della cavalleria che mancava ai nemici, i Corintii furono messi in rotta, e si ritirarono sulla collina ove fermato il campo stavano quieti senza scendere al basso. In questa sconfitta perirono sull’ ala destra i più con Licofrone capitano : ma il resto dell’esercito, dopo essere stato sbaragliato non venendo gagliardamente inseguito ; e però non datosi a precipitosa fuga, potette in questo

modo ritirarsi sulle alture , e piantarvi il campo. Gli Ateniesi poi vedendo che i Corintii non venivano più contro di loro a battaglia , spogliarono i cadaveri nemici e ripresero i propri ; e subito inalzarono il trofeo. Quella metà de’ Corintii che stavano di guardia in Cencrea perchè gli Ateniesi non navigassero contro Crommione, non avean potato veder la battaglia a cagione del monte Ondo: però quando ebbero veduta la polvere, accortisi del fatto, corsero immediatamente al soccorso insieme coi più attempati dei Corintii restati in città, che avean avuto contezza dell’accaduto. Gli Ateniesi pertanto quando se li videro venir contro tutti riuniti, credendo esser quello il sopravveniente rinforzo de; Peloponnesi delle vicine città, si ritiravano senza indugio presso le navi, portando seco il bottino ed i morti loro, ad eccezione di due che vi lasciarono , non avendoli potati trovare : ed imbarcatisi tragittavano nelle isole adiacenti, e di lì spedivano araldo, e riebbero con salvocondotto i cadaveri che vi avevano lasciati. Mancarono in questa battaglia dugento dodici dei Corintii, e degli Ateniesi poco meno di cinquanta.

Gli Ateniesi poi sciolsero dall’ isole, e navigarono il giorno stesso a Crommione del territorio di Corinto , distante da questa città centoventi stadii. Ivi preso porto e dato il guasto alla campagna, si accamparono per passarvi la notte. Il giorno dipoi costeggiarono primieramente (ino all’ Epidauria : poi fattavi scala passarono a Metona fra Epidauro e Trezzene ; e tagliato fuori l’istmo della penisola nel quale risiede Metona, vi tirarono un muro, vi lasciarono guarnigione , ed in seguito guastarono la campagna di Trezzene, di Alia e di Epidauro. Ma finita che ebbero la fortificazione del posto, colle navi tornarono a casa.

Al tempo stesso di questi fatti Eurimedonte e Sofocle partili colla flotta ateniese da Pilo per Sicilia,

quando furono a Corfù si unirono con quelli di città, per andar contro quei Corfuotti che dopo la sedizione eran passati a fortificarsi sul monte Istone ; e che padroni della campagna vi facevano grandi guasti. Assalirono il forte, e lo espugnarono; le genti di esso scamparono sopra un altura, e capitolarono a patti di rendere gli ausiliari; e quanto a sè, consegnate le armi, si rimettevano all’ arbitno del popolo ateniese. I capitani li fecer passare con salvocondotto nell’ isola Ptichia, per tenerli sottoguardia finché non venissero spediti ad Atene ; colla condizione che se alcuno fosse colto fuggendo s’intendesse sciolta per tutti la convenzione. Ma i primari tra i popolani di Corfu sospettando che, quando coloro fossero arrivati ad Atene, forse gli Ateniesi non vorrebbero ucciderli, macchinano questo. Spediscono a Ptichia pochi loro aderenti, e li ammoniscono che fingendo benevoglienza dicessero a quelle genti « che per loro miglior cosa sarebbe il trafugarsi prontissimamente , e che essi appresterebbero loro una barca a tal uopo ; perchè i capitani ateniesi vorranno darli in balla della setta popolare di Corfu ».

Li trassero all’ inganno ; e mentre navigavano nella barca a bella posta preparata, furono arrestati : e così rimase sciolta la convenzione ; e coloro furono dati tutti in mano del popolo di Coriu. Ed in questa trama , acciò ella fosse un argomento irrefragabile pei ritenuti nell’isola , e più francamente la usassero gli orditori di essa, ebbero parte principalmente i capitani ateniesi col mostrar chiaro che, dovendo essi navigare in Sicilia, non volevano che coloro fossero menati in Atene da altri, essendoché chi ve li conducesse riscuoterebbe l'onore di ^uelFimpresa. Avutili adunque i Corfuotti nelle mani li rinchiusero in una gran prigione ; donde poi cavandone fenti per volta li facevano passare legati insieme fra due file di soldati quinci e quindi schierati, da’ quali venivano

feriti di taglio e di punta, tostochè uno vi scorgesse qualche suo nemico. E gli sgherri seguendoli d' appresso sollecitavano colla sferza chi si avanzasse più lentamente.

Per questo modo ne trassero di prigione e ne uccisero fino a sessanta celatamente agli altri che vi restavano , i quali davansi a credere che li levassero di prigione per tradurli altrove. Ma non prima se ne avvidero e furonne avvertiti da qualcuno, che cominciarono a invocare e scongiurare gli Ateniesi che se volevan cosi li uccidessero essi stessi : e non più volevano uscire ^lal carcere, e protestavano che per quanto in loro stesse nissuno v’entrerebbe. Dall' altro canto i Corfuotti non pensavano di sforzare le porte, ma saliti sul tetto della prigione e scassinato il soffitto percuotevano i rinchiùsi con embrici c con dardi scagliati al basso. Schermivansi quelli come potevano , e molti davansi la morte colle proprie mani, o ficcandosi nella gola le lanciate quadrella, o strangolandosi con funicelle cavate dagli strapunti che casualmente i\i erano, e con gli stracci dei vestiti ; cosicché per gran parte della notte che sopravvenne a tanta sciagura, o strozzandosi da per sè, o colpiti dalle frecce scagliate da quei di sopra, in ogni maniera perirono. Poiché venne il giornoi Corfuotti li gettarono confusamente su dei carri , e li trasportarono fuori di citta, e fecero schiave tutte le donne prese nel forte. Cosi i Corfuotti del monte furono distrutti dalla setta popolare , e così finì quell’ atroce sedizione almeno per quello che concerne la guerra che descriviamo; imperciocché della fazione opposta nulla rimane che valp» la pena d’esser riferito. Ma già la (lotta ateniese giunta in Sicilia, ove prima era indirizzata, vi faceva la guerra insieme con gli alleati di quei luoghi.

Sul terminar dell’estate gli Ateniesi di jNauptto con gli Acarnani si misero in campagna, ed ebbero a tradimento

Anactorio citta de’ Corintii, che giace sulla bocca del seno ambracico. Cacciati da essa i Corintii, gli Acarnani accorsero da ogni parte ad abitarla, e in tal modo ritennero quella terra ; e finiva l' estate.

Nel seguente inverno Aristide figliolo di Archippo, uno dei capitani delle navi ateniesi spedite per radunar denari dagli alleati, arresta, presso Eiona situata in riva allo Strimone, Artaferne personaggio persiano che per ordine del re andava a Sparta, Condotto ad Atene , gli Ateniesi tradussero dal linguaggio assirio e lessero le lettere che portava ; nelle quali fra le altre molte cose scritte ai Lacedemoni la somma era questa: non sapere egli quel che volessero, imperocché de’ molti messaggi venuti niuno diceva il medesimo; se pertanto volessero parlargli apertamente gli spedissero gente insieme con quel persiano. Gli Ateniesi in seguito rimandano ad Efeso sopra una trireme Artaferne insieme co’ loro ambasciatori i quali, uditovi esser morto recentemente il re Artaserse figliolo di Serse che avea finito di vivere circa codesto tempo, ritornarono a casa.

Nel medesimo inverno iChii per comandamento degli Ateniesi, che temevano di qualche innovazione a proprio scapito, demolirono la fortificazione testé fatta ; ma vollero prima da essi promessa e cauzione, in quanto potevasi che e' non farebbero novità di sorta veruna riguardo a Chio. Finiva intanto l’inverno e l’anno settimo di questa guerra di cui Tucidide scrisse l' istoria.

All'entrante estate subito il sole in parte ecclissò circa il novilunio , e fuvvi terremoto ai primi dello stesso mese. E i fuorusciti di Miti lene e del restante di Lesbo, la maggior parte dei quali venivano dalla terraferma dell’Asia, soldate delle genti ausiliarie del Peloponneso , oltre a quelle che avevano colà raccolte, espugnano Rezio, che poi restituirono intatto per la sommai di duernila

stateri focaici : quindi marciano sopra Antandro, é Io prendono per via di tradimento. Era loro intenzione di mettere in libertà tutte le altre città nominate actee, o vogliam dire littorali ( possedute prima da’ Mitilenei ed allora in mano degli Ateniesi), ma principalmente Antandro. Discorrevano essi che , siccome quel luogo offre comodità di fabbricar navi stante il legname di cui abbonda , perchè il monte Ida gli sta a cavaliere, cosi quando avessero munito Antandro f partendo di li con l’apparecchio necessario y riuscirebbe facile infestar Lesbo vicina, e sottomettere le cittadelle eoliche di terraferma. Tal» erano le imprese alle quali volevano prepararsi.

Nella medesima estate gli Ateniesi condotti da Nicia di Nicerato, da Nicostrato diDiotrefe e da Autocle diTolmeo, tolte seco sessanta navi, due mila soldati gravi e pochi cavalli, e fra gli altri alleati i Milesii, andarono ad oste contro Citerà , la quale è un' isola poco di lungi dalla Laconia verso Malea, fronteggiata dai Lacedemoni , i quali ogni anno vi mandavano da Sparta un magistrato detto Citerodice , e di mano in mano un presidio di milizie gravi. Facevano i Lacedemoni molto conto di quell’ isola , avvegnaché ella presentasse un ricovero alle navi mercantili che venivano d' Egitto e di Libia , e rendesse insieme più difficile ai corsali l’offender la Laconia dalla parte di mare per dove solo poteva esser danneggiata; perché Citerà sporge tutta verso il mar siciliano e cretese.

Pertanto gli Ateniesi giunti colà sulla flotta, eoa dieci navi e due mila Milesi di grave armatura, s’impadroniscono di una città marittima nominata Scandea ; e col rimanente dell’ esercito sbarcati nella parte dell’ isola che guarda Malea marciavano sopra la città de’ Citerii. situata sul mare ; ove trovarono gli abitanti già tutti sotto l’armi. Attaccatasi la zuffa i Citerii ressero picciol tempo; poi voltato faccia si rifugiarono nella cittadella ; e finalmente

convennero con Nicia e suoi colleghi di reudersi agli Ateniesi; salvo la vita. Già anche di prima aveva Nicia tenuto discorso con alcuni di Citerà ; e però le condizioni dell’accomodamento , tanto prima che poi, furono trattate più presto e più all' amichevole. In fatti gli Ateniesi cacciarono di Citerà solo la gente spartana , considerando che l’isola era cosi prossima alla spiaggia laconica. Dopo la capitolazione , gli Ateniesi padroni di Scandea, città situata presso il porto, misero guarnigione a Citerà e navigarono ad Asine, adEloed a moltissime altre terre marittime, sbarcando ed accampandosi ovunque l’opportunità il richiedesse: e cosi per circa sette giorni davano il guasto alla campagna.

I Lacedemoni, sebbene vedessero gli Ateniesi padroni di Citerà, e si aspettassero che anche sulle loro terre e'farebbero simili sbarchi, pure non si opponevano in nissun luogo col grosso delle loro forze, e si contentavano di spedire pel loro dominio presidii di soldati gravi dove che abbisognasse. Del rimanente stavano molto guardinghi perchè dopo l’insperata e grande sconfitta dell’isola Sfatteria , e dopo la presa di Pilo e di Citerà trovandosi alla sprovvista attorniati per ogni banda da una guerra repentina , temevano di qualche gran rivoltura nello stato loro politico ; onde, cosa non prima usata da essi, misero in piedi un corpo di quattrocento cavalli ed arcieri. Allor veramente divennero più che mai irresoluti in materia di guerra per questo perchè, incompatibilmente con gli apparecchi che avevano, trovavansi a lottare in sul mare, ed in specie contro gli Ateniesi, pei quali ogni intentata impresa era un mancare alla propria riputazione di riuscire in tutto. Senza di che i molti fortunevoli casi, in che'si erano in breve abbattuti contro ogni espettativa , li mettevano in costernazione grandissima; cosicché temevano di aver forse a trovarsi da capo involti in sciagura simile a quella della Sfatteria. E siccome il loro animo avea perduta la fiducia

di sé perchè non avvezzo di prima alle disgrazie, così andavano più a rilente nelle battaglie, e si auguravano infelice esito in ogni mossa che facessero.

E tuttoché gli Ateniesi dessero allora il guasto alle costiere, pure i Lacedemoni stavano per lo più fermi all’occasione degli sbarchi che essi facessero vicino alle particolari guarnigioni, sì perchè ciascuna di queste credevasi inferiore di numero, sì ancora per lo sbigottimento che vi regnava. Una sola guarnigione che presso Cortita e Afrodisia fece resistenza, atterrì coll’ incursione una bandi vagante di soldati leggeri : ma quando le furon di fronte le milizie di grave armatura cedè ; e vi restarono morti pochi soldati, e le loro armi prese. Gli Ateniesi erser trofeo e rinavigarono a Citerà. Di là circuirono colla flotta fino ad Epidauro Limero, saccheggiarono porzione della campi' gna, ed arrivarono a Ti rea la quale , quantunque sia nel luogo chiamato Cinuria, è però conterminale del territorio argivo e laconico. I Lacedemoni a cui apparteneva l’avevan data ad abitare agli Egineti cacciati dalla patria, per ristorargli de’benefizi ricevuti al tempo del terremoto e della rivolta degli Iloti , tanto più che sebbene vassalli degli Ateniesi avevan sempre tenuto da Sparta.

Questi Egineti adunque, all’appressarsi dell« flotta ateniese, abbandonarono la cittadella che stavano fabbricando sul mare , e si ritirarono nella città dentro terra distante circa dieci stadii dal mare dove avevano le case. Una delle guarnigioni de’Lacedemoni, distribuite per la campagna che li aiutava alla costruzione della cittadella , tuttoché pregata dagli Egineti non volle entrar con loro nelle mura della città , stimando cosa pericolosa il rinchiudersi dentro; ma si ritirò sulle alture ove non credendosi in stato da battagliare stava in sulle sue. Intanto gli Ateniesi approdano , e tosto si avviano con tutto l’esercito a Ti rea ; la espugnano, la saccheggiano e la mettono a fuoco

e fiamma. Quindi tornarono ad Atene conducendo gli Egineti sopravvissuti al conflitto, e Tantalo di Patroclo destinato loro a comandante da’ Lacedemoni, che fu preso vivo coperto di ferite. Parimente menaron via pochi cittadini di Citerà parendo lor bene di tramutargli altrove per sicurezza. Quanto a questi, deliberarono gli Ateniesi di depositarli nelle isole, e lasciar gli altri Citerii abitare nelle loro terre purché pagassero un tributo di quattro talenti ; quanto poi agli Egineti, di ammazzare tutti i prigionieri, per l' odio antico che sempre avevano ; e di incarcerar Tantalo con gli altri Lacedemoni presi in Sfatteria.

Nella medesima estate in Sicilia i Camcrinesi e i Geloi furono i primi a fare armistizio fra loro: dipoi anche gli altri Siciliani tennero congresso a Gela ove intervennero gli ambasciatori di tutte le città per negoziare un aggiustamento generale. Tra le varie e molte opinioni proposte prò e contra in quei dispareri, secondo che ciascuno credeva di essere in qualche cosa messo al di sotto , Ermocrate siracusano figlio d’Ermone, che più di tutti li persuase, tenne nell’ assemblea questo discorso.

« Non perchè io sia di piccolissima città, o Siciliani , e più delle altre sbattuta da questa guerra, farò parola; ma per manifestare nell’assemblea quello che parmi miglior consiglio per tutta la Sicilia. E che mai approderebbe rallungarsi a dichiarare tutti i disastri che la guerra in sé comprende, dinanzi a voi che li sapete ? Certo niuno viene astretto alla guerra per l' ignoranza degl’ incomodi che ella trae seco ; nè per timore se ne rimuove , ove stimi di guadagnarvi. Ma pur troppo accade che ad alcuni sembra il lucro maggiore del danno , altri amano meglio sottoporsi ai pericoli che andar presentemente un nonnulla al di sotto : e in tal caso quando gli uni e gli altri adoperino così inopportunamente , allora tornano in vantaggio le esortazioni agli accomodamenti. Questo è ciò di che sopra tutto

voi dovrete adesso persuadervi ; imperciocché alior da prima ci guerreggiammo a fine di acconciare ciascuno le cose proprie ; ed or ventilando le pretensioni nostre tentiamo riamicarci insieme : e qualor non succeda che ciascun n’esca alla pari cogli altri , di nuovo ci guerreggeremo.

« Eppure se abbiami senno dobbiamo intendere che questo congresso non tanto ha per oggetto le nostre particolari bisogne , quanto il vedere se potremo ancora mantener salva la Sicilia insidiata tutta dagli Ateniesi, cui conviene stimare, circa le nostre coutroversie, pacificatori più. obbliganti di quel che non sono i miei discorsi, perchè fra i Greci sono essi i più forti : e sebbene stieno qua con poche navi, pur vanno spiando il nostro debole , e sotto la coperta della legalità d’alleanza mettono speziosamente a profitto quell’ inimicizia che per natura ci portano. Che se noi ci appigliamo alla guerra , e qualcuno inviti costoro che anche dove non sono invitati muovono le armi, bene è da credere che peggiorando lo stato nostro colle domestiche spese , e facendo loro strada all’ impero, essi al vederci logori verranno , quando che sia , con più numeroso stuolo, per tentare di sottomettersi tutta intera quest’isola.