History of the Peloponnesian War

Thucydides

Thucydides. Della storia di Tucidide volgarizzata libri otto. Anonymous translator. Florence: Tipografia Galileiana, 1835.

« Noi non avremmo domandato la parola , se anch' essi all' interrogazione fatta avessero brevemente risposto ; se non si fossero rivolti a noi per farci accuse ; e se non avessero accumulato di sè stessi apologie e lodi fuor di proposito senza che alcuno avesse lor mossa querela , e sopra cose onde veruno gli avea vituperati. Ora pertanto tocca a noi di ribatter le prime e confutar le seconde , perchè essi non si avvantaggino della mala opinione contro di noi, nè della loro reputazione : e perchè

voi possiate decidere udito il vero di entrambi. Le Controversie nostre mossero in principio da questo : che avendo noi fondato Platea dopo le altre città della Beozia, ed insieme più. altri castelli che ritenevamo , cacciatone l' accogliticcia gentaglia che li abitava , costoro disdegnavano di star subordinati a noi, secondo che erasi innanzi convenuto. E perchè noi volemmo aslringerveli, essi soli tra i Beozi trasgredendo ai patrii statuti, si accostarono alla parte degli Ateniesi, e congiunti con essi ci menarono molti danni, dei quali furono per noi ricambiati.

« Ma poiché il barbaro venne contro la Grecia , dicono essi soli tra i Beozi non essere stati fautori del Medo, e di ciò principalmente menano vanto, e noi svillaneggiano. Or noi confessiamo sibbene ch' e’ non furono partigiani del Medo da che nè gli Ateniesi pure lo furono: ma per egual modo, quando gli Ateniesi andavano contro i Greci, essi soli tra i Beozi li favoreggiarono. Del resta osservate lo stato di amendue quando operammo cosi. La città nostra allora per avventura non era ordinata a reggimento oligarchico bilanciato dalle leggi, nè a governo popolare ; ma, ciò che è contrario alle leggi stesse , al buon ordine e vicinissimo al dispotismo , pochi imperiosi magnati erano al timone dello stato. Costoro , perchè confidavano meglio confermare la lor privata grandezza , qualora vincesse il Medo , contenendo forzatamente la moltitudine, lo introdussero in città : ma l’universalità dei cittadini fece questo senza essere in potere di sè ; e non è giusto che ella venga incolpata di quello in che fallò nel silenzio delle leggi. Però , dappoiché partì il Medo ed ella riassunse le proprie leggi ; quando in seguito gli Ateniesi si mossero e si ingegnavano ridursi a devozione il rimanente di Grecia non che il territorio nostro, di cui, a cagione delle fazioni , già occupavano z%6 by Goodie

gftii párte, vùolsi esaminare se combattendoli e vintili á Cberonea noi liberammo la Beozia , e se ora prontamente ci uniamo a liberare gli altri, sottministràndo cavalli e fornimenti d’ ogni maniera quanti nissuu altro degli alleati. Queste sono le nostre discolpe in ciò che spetta al Medo.

« Ora poi ci sforzeremo di dimostrare che voi , O Plateesi, avete maggiormente danneggiato i Greci, e che la gravezza del vostro fallo è maggior d' ogni pena. Voi (secondo che dite) diveniste alleati e cittadini degli Ateniesi per vendicarvi di noi : dovevate dunque condurli contro noi solamente, e non unirvi con loro ad assaltar gli altri. E bene il potevate fare (ove pur fosse vero che a vostro malgrado eravate strascinati dagli Ateniesi ) , atteso che già contro il Medo era stata fatta la lega di questi Lacedemoni, della quale menate sì gran vanto. Dessá era certamente bastevole a divertir noi da voi, e (che grandissima cosa è) a procacciarvi agio di prender tranquillamente le vostre deliberazioni. Dunque a buon grado e non forzatamente continovaste a preferire la parte degli Ateniesi. Voi dite, che era vergogna tradii' dei benefattori : ma vergogna e ingiustizia maggiore era tradir bruttamente i Greci tutti insieme coi quali giuraste , piuttosto che i soli Ateniesi ; dappoiché questi mettevano in ¿schiavitù la Grecia , quelli la tornavano in libertà. Nè già avete reso ad essi in contraccambio un egual benefizio , nè scevro d’infamia : poiché , a dir vostro , invitaste gli Ateniesi quando eravate gli offesi, ed avete poi cooperato con loro quanda offendevano gli altri. Eppure il non ricàmbiar altrui di pari beuefizi è vitupero maggiore, che negar quelli i quali , tuttocchè per ogni dritto dovuti, non vanno immuni » rendendoli, da nota di malignità.

« Bene ne faceste chiari essere allora stati i soli a non favoreggiare il Medo f non già per riguardo dei

Greci, ma solo perchè non Io favoreggiavano gli A teniesi. E voi che allora voleste operare d’accordo con gli Ateniesi ed in contrario dei Greci, presumete adesso di giovarvi dei Greci, per il valore mostrato à prò degli Ateniesi ? Ma ciò non è giusto ; anri come allora sceglieste gli Ateniesi, cosi abbiateli ora a vostri difensori. Nè mettete in campo i comuni giuraulenti quasi che per essi dobbiate ora esser salvi ; conciossiachè vi rinunciaste , e , senza ribrezzo di trasgredirli, vi uniste a soggettar gli Egineti e alcuni altri che avevano giurato insieme con voi, in cambio che farvi ad impedirlo : e per giunta ciò faceste spontaneamente , vigenti pur quelle leggi che tuttora avete, e nullo astringendovi, siccome fu di noi. Nè per voi è stato accettato l' ultimo nostro invito ( prima che foste attorniati dalle fortificazioni ) col quale vi confortavamo a star tranquilli, e a non aiutare veruna delle due parti. Chi dunque l' odio di tutti i Greci merita più giustamente che voi, i quali ostentaste a danno loro il vostro egregio valore ? Voi , i quali avete ora dimostrato che quel po’ di bene che, siccome dite, allora faceste non era vostro retaggio ; che anzi per opposito quelle cose a cui mirava l' animo vostro sono state redarguite nel vero ; essendoché seguiste le orme degli Ateniesi perchè andavano per la via ingiusta. Queste sono le dimostrazioni della nostra involontaria adesione al Medo, e del vostro spontaneo attaccamento agli Ateniesi.

« Quanto poi a ciò che concerne l' ultima ingiuria che dite aver ricevuta ( d' esser noi cioè venuti fuori d' ogni legge contro la città vostra durante la tregua e nel di festivo del mese), noi facciamo stima di non aver pure in questo errato più di voi. Conciossiachè se venendo di propria volontà alla città vostra , avessimo combattuto e guastato da nemici il territorio , saremmo dalla parte del torto : ma se cittadini tra voi i più ragguardevoli

per ricchezza e nascimento ci invitarono spontaneamente , intendendo di cessarvi da una straniera alleanza , e ridurvi agli statuti comuni di tutti i Beozi, in che peccammo noi ? Peccano in vero quei che conducono più presto che quei che li seguitano. Ma per nostro arbitrare nè dessi nè noi abbiam fallito : perciocché essendo cittadini come voi, e cimentando cose maggiori, d apersero le loro mura, e ci introdussero in città con animo amichevole non già nemico. \ ole vano che i più malvagi tra voi non diventassero anche peggiori ; che i migliori avessero quel che meritavano : e cosi facendosi moderatori dei vostri pensieri e salvatori de' vostri corpi, non straniare dalla città i cittadini, ridurla anzi come ad un sol parentaggio, non render veruno nemico a cliio chessia, e tutti comprendere nei patti.

« Ed imparate da questo che non operammo inimichevolmente. Noi non violentammo veruno, ma bandimmo, che qualunque volesse governarsi secondo le patrie consuetudini di tutti i Beozi si accostasse a noi : e voi di buon grado aderiste, faceste i patti, e da primo rimaneste tranquilli. Ma poscia «piato che noi eravam pochi ( forse che vi parve che avessimo fatto cosa troppo ardita entrando in città senza il consentimento del popolo), non però ci retribuiste di pari modo coll' astenervi da alcune vie di fatto, e col persuaderci con buone parole ad uscire; ma a dispetto degli accordi ci assaltaste. Nè tanto ci duole di quelli che nel couflitto uccideste ( attesoché per una tal legge patirono ciò), ma l' aver trucidato contro ogni dritto quei che presi vivi vi sporgeano le mani, quando ci avevate promesso che non più li avreste uccisi , non fu egli cosa da inorridire? E con tutto ciò, dopo aver commessi »» un attimo tre misfatti, cioè violato P accordo, morti i nostri dopo il fatto , e mentito della promessa fattaci di non ucciderli, solo che non guastassimo le vostre campagne;

nondimeno chiamate noi prevaricatori, e presumete non pagare la pena ? No perdio ! Ove costoro drittamente deliberino ; ma di tutte queste scelleratezze sarete puniti»

« Noi pertanto, o Lacedemoni, siamo andati tali cose minutamente raccontando a riguardo vostro e nostro, acciò conosciate che voi giustamente li condannerete , e che noi ci siamo per sacrosanto diritto vendicati anche troppo mollemente. Non vogliate intenerire udendo delle antiche loro virtù, se alcuna mai ve ne ebbe: debbono elle patrocinare chi venga ingiustamente oppresso ; ma a chi falla turpemente, duplicargli la pena ; perchè contro sua natura ha peccato. Nè vagliano a loro prò i gemiti e i piagnistei con cui vi rammemorano i sepolcri dei padri vostri ed il proprio abbandonamene. Conciosaiachè noi al l’opposto di loro vi proviamo, più orribili mali aver sofferto la gioventù nostra da essi trucidata, della quale i padri, parte morirono a Cheronea mentre conducevano a voi le forze di Beozia ; parte, ed erano questi i più vecchi, lasciati alle deserte case, a miglior dritto vi supplicano a punir costoro. Meritano piuttosto compassione quelli tra gli uomini che a torto patiscono ; ma quelli cui bene sta siccome ad essi, meritano per opposito dileggiamento. Quanto al loro presente abbandono tutto procede da essi : perchè spontaneamente rigettarono i migliori alleati, trasgredirono a danno nostro i patti senza che noi gli avessimo per l' innanzi ingiuriati, ma perchè discorrevano delle cose più per odia che per giustizia : e sono ora condotti a tale che non possono ricambiarci di adeguata vendetta. Conciossiachè il loro supplizio sarà in consonanza colle leggi, non già, come essi vociferano, nell’ atto di sporgervi le spani di mezzo alla battaglia, ma dopo che per via d’accordo si sono rimessi a giuridico tribunale. Soccorrete adunque, o Lacedemoni , agli statuti dei Greci violati da costoro, e retribuite

a noi fuor d' ogni legge offesi un favore rispondente alla alacrità dei servigi nostri. Cessino gl9 Iddii che noi abbiamo a soffrire una ripulsa dinanzi a voi : ponete ad esempio pei Greci, che voi sarete per propor loro gare non di discorsi ma di azioni ; le quali se sieno buone, basta una breve dichiarazione ; se difettuose, i discorsi abbelliti col lenocinlo delle parole non sono altro che un velami! che le nascondi?. Ma se duci, quali or siete, comprendendo la somma dei discorsi darete la vostra sentenza, sarà più raro chi cerchi la venustà delle parole a inorpellare la malvagità dei fatti ».

Di tanta forza fu l' arringa de’ Tebani. Ma i giudici lacedemoni avvisavano che in quella domanda , — se durante questa guerra avessero ricevuto alcun bene dai Mitelenei — troverebbero il loro vantaggio : sì perchè avevano in altro tempo fatto loro quella si speciosa richiesta di starsene tranquilli, conforme gli accordi stabiliti amicamente con Pausania dopo la ritirata del Medo ; sì perchè anche posteriormente, prima di cingerli di mura, li avevano confortati ad esser neutrali. E siccome i Plateesi non vi aderirono, i giudici spartani, per un giusto sentimento tutto loro proprio, credendosi offesi e non più con essi in alleanza , li fecero citare ad uno ad uno, domandando loro — se avessero nel corso della guerra felto nulla di bene agli Spartani e agli alleati —: qualora dicessero di no , li menavano a morte senza averne eccettuato veruno. De’ Plateesi ne uccisero non meno di dugento ; degli Ateniesi, che vi erano insieme con loro assediati, venticinque; e fecero schiave le donne. ITebani poi concessero per circa un anno la città ad abitare a quei di Megara, che a causa della sedizione ne erano banditi ; ed a quei Plateesi loro partigiani che erano restati vivi. Ma poi demolironla ed agguagliaronla al suolo, e fabbricarono accanto al tempio di Giunone un albergo di dugento piedi per ogni lato , che aveva in giro due ordini di piani, e

v' impiegarono i tetti e le imposte de’ Plateesi, Con le altre suppellettili in bronzo e ferro, che erano dentro le mura , fabbricarono de’ letti che consacrarono a Giunone, a cui pure edificarono di pietra un tempio di cento piedi Pubblicato poscia il terreno, lo allogarono per dieci anni, ed i Tebani lo coltivavano. Forse , anzi certamente si erano i Lacedemoni così alienati dai Plateesi per amor dd Tebani, credendoli utili a sè rispetto alla guerra allora allora incominciata. Così finirono le cose de’Plateesi l’anno novantesimoterzo da che avevano stretto lega con gli Ateniesi.

Ma le quaranta navi de9 Peloponnesi andate in soccorso de’Lesbii, mentre che perseguitate dalle ateniesi fuggivano per alto mare, erano state sbalzale dalla tempesta vicino a Creta : donde giunte sparpagliate a dar fondo nelle coste del Peloponneso, incontrano a Giilene tredici navi de’ Leucadii e degli Ambracioti, con Brasida figliolo di Tellide sopravvenuto a consigliere di Alcida. Imperocché gli Spartani, dopo fallita l’impresa di Lesbo, ebbero aumentata la loro flotta , con P intenzione di navigare a Corfù agitata da sedizioni (sendochè gli Ateniesi erano con sole dodici navi intorno a Naupatto), per arrivarvi innanzi che flotta maggiore sopraggiungesse da Atene. Però Brasida ed Alcida apparecchiavansi per questa spedizione.

Trovaronsi i Corfuotti travagliati dalle sedizioni , dappoiché erano tornati loro i prigioni delle battaglie navali combattute presso Epidamno, rilasciati dai Corintii, in apparenza, per la taglia di ottocento talenti a cui eransi obbligati i loro corrispondenti, ma effettivamente , perchè avevan promesso di ridurre Corfù a devozione de’ Corintii. Costoro con segreti maneggi introduceudosi presso ciascun cittadino adopravansi a ribellare Li citta dagli Ateniesi. Arrivano intanto una nave attica ed

Una corintia con ambastintori, e tenutasi adunanza decretarono i Corfuotti di essere certamente confederati degli Ateniesi, a forma dei capitoli, ma amici come prima de’ Peloponnesi. Pitia, volontario ospite degli Ateniesi e rapo dei popolani, fu citato in giudizio da quei fautori dei Corintii , accusandolo che volesse soggettare Corfù agli Ateniesi. Ma egli uscitone assoluto, fece di rimando citare in giudizio cinque di loro i più facoltosi , dichiarando che e5 tagliavano pali da’ sacri recinti di Giove e di Alcino. Era per ogni palo imposta la multa di uno statere. Costoro adunque essendo stati condannati, se ne stavano, a cagione deUa gravezza della multa, assisi in atto di supplichevoli presso i templi, per ottenere di pagare a rate la tassa. Ma Pitia, che per avventura era Uno de’senatori, persuade questi a valersi della legge. Per lo che trovandosi i rei esclusi legalmente dal senato , ed insieme ragguagliati clic Pitia, fino a che durasse ad essere senatore , vorrebbe indurre la plebe a tenere alleanza offensiva e difensiva con gli Ateniesi, si ristrinsero insieme, e con de' pugnaletti entrati improvvisamente in senato , uccidono Pitia con altri senatori e privati, sino a sessanta. Alcuni pochi dell' opinione medesima di Pitia si rifugiarono sulla trireme attica che ancor non era partita.

Dopo questo misfatto convocarono i Corfuotti e dissero ciò essere il miglior partito e il pià valevole a saltarli dal servaggio di Atene} doversi per l’avvenire, calmate le sedizioni, non raccettare nè Ateniesi nè Corintii, salvo che con una sola nave; ed averne per nemico uri maggior numero. Ciò detto li astrinsero anche a ratificare la proposizione. Spediscono poi subito ad Atene dei legati por dar ragguaglio che le cose fatte erano secondo che richiedeva il loro vantaggio ; e per indurre quei che l?i si erano rifugiati, a non darsi briga inopportunamente a fitte di evitare cosi ogni turbamento.

Ma giuntivi appena gli Ateniesi arrestarono i legati come innovatori e quanti aveano aderito a quelli, e li depositarono in Egina. In questo, arrivata a Corfu una trireme corintia con gli ambasciatori lacedemoni, coloro che erano in Corfù restati al maneggio degli affari assalgono la fazione popolare , e rimasero superiori nel conflitto. Sopravvenendo la notte il popolo si ricovra nella rocca e nelle alture della città, ed ivi riunito si fortificò, tenendosi per lui il porto Illaico. L’altra fazione occupò la piazza, ove molti di loro abitavano, e il porto a lei vicino che guarda verso terraferma.

Il giorno appresso furonvi leggere avvisaglie, ed ambe le parti erano in sullo spedire alla campagna ad invitare i servi promettendo libertà. Venne in soccorso ai popolani una moltitudine di servi \ agli altri , ottocento ausiliari di terraferma»

Trascorso un giorno si rinfresca la battaglia colla vittoria del popolo, superiore per fortezza de' siti e per numero. Le donne stesse arditamente vi porsero mano scagliando tegole dalle case , e sostenendo il tumulto, oltre loro natura. Sul crepuscolo della sera gli oligarchici dieder volta, e perchè temevano non il popolo, nel caldo della vittoria scagliatosi contro l' arsenale, se ne facesse padrone e li trucidasse ; per torgli ogni via di assalto metton fuoco alle case che erano in giro sulla piazza e alle contigue, senza perdonarla nè alle proprie nè alle altrui ; di modo che molte robe de’ mercanti andaron bruciate: e corse pericolo di restar totalmente distrutta la città intera , se all’ incendio si fosse aggiunto vento che spirasse verso di lei. Posto fine al combattimento, volendo gli uni e gli altri ristare, tennero le scolte per tutta la notte. La nave corintia, essendo la vittoria stata del popolo , furtivamente fece vela , e la maggior parte degli ausiliari di soppiatto tragittò in terraferma.

Ma nel giorno sopravveniente Nicostrato figliolo di Diotrefe capitano degli Ateniesi, da Naupatto giunge in soccorso con dodici navi e cinquecento Messemi di grave armatura. Propose egli pratiche di accordo ; e induce le due parti a doversi contentare che fossero processati soli dieci fra i più colpevoli ( i quali non patirono di rimanere), e di lasciare il resto a casa sua ; severamente che si accordassero tra loro e con gli Ateniesi di aver comuni gli amici ed i nemici. Ciò fatto era Nicostrato in sul salpare, quando i caporani del popolo lo persuadono a lasciar loro cinque navi, affinchè quei della parte contraria si trovassero meno in istato di far movimenti ; ed essi ne spedirebbero con lui altrettante delle loro bene armate. Nicostrato vi acconsentì , ed essi destinavano per queste navi quei della parte contraria ; i quali temendo di dover esser mandati in Atene, si assidono nel tempio dei Dioscuri. Nicostrato si ingegnava di farli uscire , e ne li confortava, ma non fu obbedito ; di che il popolo colta questa occasione , come se con quella lor diffidenza di unirsi alla flotta di iNicostrato covassero qualche sinistra intenzione, prese le armi e tolse via dalle case quelle degli avversari ; e ne avrebbe trucidati alcuni ne’quali s’imbattè , se Nicostrato non lo avesse impedito. Vedendo gli altri come la cosa andava, si assidono supplicanti nel tempio di Giunone, in numero di ben quattrocento. Per lo che il popolo intimorito che e’non volessero tentare qualche novità, con buoni modi gl' induce ad alzarsi, e li trasporta nell’ isola di faccia al tempio stesso di Giunone, ove era mandato loro il bisognevole alla vita.

In questo scompiglio di cose, quattro o cinque giorni dopo il trasporto di coloro nell’ isola , arrivano da Cillene (ove dopo il ritorno dall’Ionia erano di statone) le cinquantatrè navi de’Peloponnesi, capitanate coprima da Alcida , con cui navigava Brasida destinatogli

a consigliere. Diedero queste foudo a Sibota, porto di terraferma , e sul far dell9 aurora fecero Tela coulro Corfu.

I Corfuotti, benché in grande agitazione , e intimoriti delle cose di città, e dell’avanzarsi della flotta nemica, pure ad unora stessa preparavano sessanta navi, e a mano a mano spedivano quelle armate contro a’ nemici , quantunque gli Ateniesi li confortassero che dovessero lasciar loro mettersi in mare i primi, e poi sopravvenire essi alla coda con tutte insieme le navi. Le quali non furono sì tosto giunte sparpagliate in faccia al nemico, che due immediatamente passarono dalla parte di lui, e le ciurme che erano in su l’altre contendevano fra loro in modo, che tutto faceasi alla rinfusa. Onde accortisi i Peloponnesi di cotal confusione si misero in ordinanza con venti navi contro a’ Corfuotti, e colle rimanenti contro le dodici navi degli Ateniesi, due delle quali erano la Salaminia e la Paralo.

I Corfuotti, che caricavano il nemico colle navi disordinate e spartite , erano dal lato loro in gran travaglio. Gli Ateniesi, temendo della moltitudine nemica e d’esser colti in mezzo , non investivano colla flotta serrata insieme la squadra che avevan di fronte, e si riguardavano da urtarla nel centro ; ma corsile addosso di fianco , affondano una nave : indi presa ordinanza circolare giravano attorrfo al nemico per provare di scompigliarlo. Di che accortisi quei che erano di contro a’ Corfuotti, e temendo non accadesse ciò che era accaduto a Naupatto, accorrono in soccorso; e così riunite le navi si scagliano tutti insieme su gli Ateniesi. Questi cominciavano a retrocedere , senza voltar faccia , remigando di sulla poppa ; e ritirandosi il più lentamente possibile intendevano di operar sì che le navi de’ Corfuotti fossero in tempo a sottrarsi , intanto che essi sostenevano il nemico schierato

contro di loro. Per questo modo fu combattuta questa battaglia navale che finì sul tramonto del sole.

Temettero i Corfuotti che i nemici, seguendo T impeto della vittoria, non spingesser la flotta contro la citta, per ripigliar quei eh'erano stati messi nell’isola, o fare qualche altra innovazione. Il perchè tragittarono nuovamente nel tempio di Giunone quelli dell’ isola, e tenevano guardata la città. Ma i Peloponnesi, con tutto che vincitori t non furono osi di navigare contro la città ; e colle tredici navi prese a’ Corfuotti tornarono al luogo di terraferma donde avevano fatto vela. Il dì seguente, quantunque la città di Corfù fosse in gran confusione e timore, non punto meglio però navigarono alla volta di essa, comecché Aldda ne fosse consigliato, siccome narrasi, da Brasida che non aveva autorità eguale a lui ; anzi fecero scala al promontorio di Leucimna , e devastarono Je terre.

In questo stato di cose i popolani di Corfù, entrati in gran paura del ritorno delle navi nemiche, conferirono co’supplichevoli eh’erano nel tempio di Giunone, e con gli altri oligarchici, del modo onde potrebbe salvarsi la città. Persuasero alcuni di quelli a montar le navi , attesoché nonostante le turbolenze ne avevano armate trenta « aspettandosi che ricomparirebbe l’armata nemica. Ma » Peloponnesi, dopo aver guastato la campagna fino a mezzogiorno , se n’ eran partiti ; e sul far della notte compresero per i segnali di fuoco che sessanta navi degli Ateniesi si avanzavano da Leucade contro di loro , le quali con l' ammiraglio Eurimedonte di Teucle erano state spedite da Atene, quando s’intese che Corfù era in tumulto, e che vi doveva andare la flotta di Alcida.