History of the Peloponnesian War

Thucydides

Thucydides. Della storia di Tucidide volgarizzata libri otto. Anonymous translator. Florence: Tipografia Galileiana, 1835.

Adunque i Peloponnesi appena notte si affrettavano di tornare a casa radendo la costa; e trasportate le wi sopra T istmo di Leucade , per non essere osservati

nel farne il giro, si riconducono in patria. I Corfuotti udito che le navi attiche si avvicinavano, e che quelle de:nemici se n’ erano andate , accolsero ed introdussero in città i Messenii restati prima di fuori. Ordinarono alle navi che avevano armate di volteggiare dinanzi al porto Ulaico ; ed intanto che queste giravanlo intorno , essi uccidevano qualunque della parte contraria capitasse loro nelle mani ; e cavando per forza dalle navi coloro cui avevano indotti a montarle , li uccidevano. Entrarono medesimamente nel tempio di Giunone, e persuasero da cinquanta di quelli che vi erano rifuggiti a sottomettersi a giuridico processo , e li condannarono tutti a morte. La maggior parte però di quei supplichevoli che non si erano lasciati svolgere, vedendo come le cose procedevano, si uccidevano l' un l' altro ivi nel tempio stesso : alcuni appiccarono sè medesimi agli alberi ; altri poi si toglieano di vita in quel modo che ciascuno poteva. E ne’sette giorni che Eurimedonte dopo il suo arrivo vi si fermò con sessanta navi, i Corfuotti uccidevano quei ch' e’ credevano di parte contraria, dando loro la colpa di sovvertitori dello stato popolare. Alcuni poi furono uccisi per private nimicizie, altri dai debitori che avevan preso denaro in prestanza. Fuvvi insomma ogni genere di morte; nessuna reità fu pretermessa come in simili perturbazioni suole accadere , ed anche delle più inusitate. Imperciocché il padre uccideva il figliolo, e la gente divelta dai templi era li dappresso ammazzata ; ed alcuni furono persino murati dentro al tempio di Bacco , e così morti. Cotanto progredì quella sedizione crudele, che tale parve anche più , perchè nel corso di queste cose ella era stata la prima.

Conciossiachè nel tempo appresso Grecia tutta fu, a così dire, in sollevazione, regnando dovunque le sette fra i caporani del popolo ed i fautori dell'oligarchia,

stante che quelli gli Ateniesi , questi i Lacedemoni volevano chiamare. E perocché in tempo di pace non aviebbono avuta onesta cagione nè bramosia di invitarli a sè, cosi, rotta ornai la guerra, ben di leggeri in ambe le parti occorrevano alla mente dei novatori adescamenti valevoli a procacciarsi alleanza per nuocere alla fazione avversa, e con ciò stesso avanzare ad un’ora il proprio potere. Duranti le sedizioni piombarono su le città molte e gravi calamita, che di continuo accadono e sempre accaderanno sino a che sia la medesima la natura degli nomini ; tuttoché più violente o più miti e diverse ilella spezie, secondochè caderanno le particolari mutazioni dei fortuiti evènti. Imperocché quando è pace e gli affari prosperano, le repubbliche ed i privati hanno più sano giudizio, perchè non s’imbattono in imperiose necessità : ma la guerra diminuendo a poco a poco l’affluenza di ciò che giornalmente bisogna alla vita, è un maestro violento, e conforma l’indole della moltitudine secondo il presente stato delle cose. Ardeva adunque la sedizione nelle città ; e quelle che più tardi tumultuavano, appunto per l’udita delle cose già avvenute, studiavansi di sorpassare le prime coll’immaginar nuovi pensieri, o ritrovare artificiosi modi del l’assai tare gli altri, ed inusitati supplizi. il consueto significato dei vocaboli a dinotare le cose lo càmbiavano giusta il loro arbitrare : sendochè l’inconsiderata audacia, amichevole coraggio; il cauto indugio, travisata timidità ; la moderazione , immascherata viltà ; la prudenza in checchefosse, assoluta ignavia nominaronsi. All’incontro poi la forsennata precipitauza si annestava all’ essere di valoroso ; la circospezione nel deliberare, bel pretesto a trarsi d’impaccio reputavasi. Ciascun malcontento sempre creduto; chilo contraddicesse, sospetto ; accorto, chi riuscisse nelle sue trame ; più astuto, chi sottomano una ne ordisse per accalappiare il primo ; chi provvedesse in modo da non fargli bisogno di ricorrere

«i tali cose, era detto un distruttore d’ogni società, uu trasecolato dai nemici. E brevemente, qualunque prevenisse chi mulinava alcun dannp q sobillasse chi ne anche vi pensava, erane commendato. I parenti inoltre erano reputati più stranieri che i compagni, stante che questi erano più prontamente audaci, messo a parte ogni pretesto. Infatti le combriccole di costoro non erano per giovarsi delle vegliauti leggi, ma per sopraffare altri, mandando in un fascio quelle che vigevano. La fiducia da aversi scambievolmente non veniva confermata pel rito religioso, ma per la complicità dei misfatti: le oneste profferte della fazione contraria non per generosità approvavano, ma quando scorgessero che coll5addarvisi resterebbero superiori: il ricambiar di vendetta era avuto in maggior pregio che il non esser di prima offeso. I giuramenti di riconciliazione, se alcuni ve ne furono, valevano per il momento, per l’impossibilità di quei che li facevano, i quali d'altronde noo avevano forze : ma alToccasiope, chi primo fosse ad usare ardire, qualor vedesse il nemico inerme più volentieri a’ vendicava durante la fiducia di lui, che alla scoperta j sì perchè calcolava così la propria sicurezza, sì perchè, sgaratolo artatamente, riportava il vanto di accortezza. Conciossiachè si chiamano più facilmente scaltri molli scellerati insieme, che semplici i buoni ; anzi di questo nome gli uomini si vergognano, di quello si gloriano. Di tutte queste sregolatezze era cagione la sete del comando che da ambizione e da orgoglio procede ; dalle quali due pesti trae origine l ’ ardimento di quelli che nelle sette à mettono in contrasto. Essendoché nelle città i capi delle fazioni, gli uni collo specioso pretesto di preferire la politica uguaglianza popolare, gli altri un discreto reggimento di pochi, aiutavano in nome la cosa pubblica, ma in fatto facevano mercato di essa. U perchè contrastando al postutto di sgarare l' uno l' altro , osavano e

Compivano le più orribili cose, aggravando le pene noil secondo la regola della giustizia o il vantaggio della Repubblica , ma secondo che le determinava il capriccio che entrambi ne avevano. Non esitavano di empier le loro presenti cupidità, sia col condannare altrui con ingiusto suffragio, sia col procacciarsi, armata mano, superiorità; di sorte che ambe le fazioni nissun riguardo avevano alla religione ; ma quelli cui accadesse coti ispcziosità di parole di fare un bel colpo erano i più reputati ; dove i cittadini che tenevano la via mezzana tra ambe le parti venivano nondimeno trucidati , o per non aver dato mano ad una, o per invidia di vederli fuori del tafferuglio.

Cosi a cagione delle sedizioni prese piede iit Grecia ogni maniera dì scelleratezza. La ingenuità ( dote principale di un animo nobile) derisa spari ; all’opposto il ridurre la mente in reciproca gara di diffidenza di gran lunga prevalse : non più sicuranza di parole , non più timore di giuramento a terminar queste rùggini : cosicché trovando universalmente più forti ragioni a disperare di ritrovar fiducia , premeditavano piuttosto il modo di non essere offesi, di quello che potessero indursi a fidarsi di chicchessia. I più imbecilli d! ingegno d’ordinario scampavano; stante che temendo della propria insufficienza e dello scaltnmento dei nemici, per non esser sopraffatti dalla loro facondia, e per non essere i primi condotti nella rete dagli agguindoli del loro ingegno, mettevansi ad operare alla sventata. Gli altri poi che reputavano viltà anche il solo farsi a subodorare le trame altrui, e credevano non esser bisogno di afferrar con mano ciò che potevano raggiunger °on P accortezza, privi di difesa più di leggeri venivano oppressi.

In Corfù adunque prima che altrove furono commesse la maggior parte di queste malvagità non solo, toa quante mai un popolo comandato con orgoglio piuttosto

che con moderanza da quei che lo hanno afflitto, ne può commettere per contraccambio di vendetta; e quante altre mai contro ogni giustizia sono pronti ad approvare qon solo quelli che bramano distrigarsi dalla consueta miseria , massime se desiosi delle cose altrui per le calamità in cui trovansi, ma quelli ancora che, non tanto per cupidigia di soverchiare, quanto specialmente per principio di uguaglianza, dieno addosso al nemico ; e trasportati più del giusto da trasmodata ira, v’ insistano con crudeltà inesorabile. Perturbato in questo tempo nella città ogni ordine della vita, la natura dell’uomo inchinevole a delinquere contro le leggi, fatto di esse tutte un fascio, fu ben paga di mostrarsi inabile a frenar le passioni, superiore a tutto ciò che sapesse di giustizia, e nemica di chi fosse da più. Conciofossechè in una situazione politica ove la gelosia di parte non avesse avuto forze da nuocere, non avrebbono preferito a quanto v' ha di più sacro la vendetta, nè al rispetto degli altrui dritti il guadagno. Tanto è vero che le comuni leggi risguardanti questi punti per le quali a chicchessia , trovandosi oppresso, resterebbe speranza di salvezza, gli uomini nel bollor della vendetta non guardano a distruggerle ed abolirle tutte, poniamo anche che alcun di loro venir possa in tal pericolo da aver bisogno di esse.

Tali pertanto furono i rancori con cui prima degli altri si afflissero scambievolmente i Corfuotti di città. Eurimedonte e gli Ateniesi partirono con la flotta. Appresso , i fuorusciti di Corfù, dei quali erano scampati intorno cinquecento, occuparono le fortezze di terra ferma, ri" maser padroni delle loro terre di là dal mare, donde uscivano per depredare quei dell’ isola, e vi facevano danni considerabili ; talché nacque nella città forte carestia. Spedivano altresì de’ legati a Sparta e a Corinto circa il rimpatriare: ma come non ottenevano nulla, qualche

tempo dopo allestito delle navi e soldati ausiliari, presso seicento in tutti, tragittarono nell’ isola. Arsero quindi le navi acciò non restasse altra speranza che nell’ impadronirsi del luogo ; e saliti sul monte Istone vi si fabbricarono dei forti ; e così padroni della campagna molestavano grandemente quei di città.

Sul finire della medesima estate, venuti a guerra i Siracusani e i Leontini in Sicilia, gli Ateniesi vi spedirono venti navi, capitanate da Lachete di Melanopo , e da Carcadè di Cufileto. Erano in lega co’ Siracusani, se si eccettuino i Camarinei, tutte le altre città doriche le quali sin dal primo incominciamento delle ostilità si erano collegate con gli Spartani, ma non erano concorse alla guerra con essi. Stavano per i Leontini le città calcidiche e Camarina. In Italia i Locresi erano co’ Siracusani ; coi Leonlim quei di Reggio , perchè del medesimo sangue. Gli alleati adunque de’ Leontini spedirono ad Atene , e tra per l’antica alleanza e perchè discendevano dagli Ioni, inducono gli Ateniesi a dovere inviar loro navi, giacché erano bloccati da’ Siracusani per mare e per terra. Gli Ateniesi poi spedirono le navi col pretesto della parentela ; ma in effetto intendevano d’impedire che di là si conducessero i frumenti nel Peloponneso, e di fare il primo tentativo se fosse possibile di sottomettersi la Sicilia. Fermatisi dunque a Reggio d’Italia facevano la guerra insieme co’ loro alleati, e finiva l' estate.

Sopravvenendo P inverno la pestilenza, che sebbene avesse fatto qualche tregua non era però mai cessata affatto , assalì di nuovo gli Ateniesi. Questa seconda volta ella duro bene un anno , dove la prima non meno di due ; talché non vi è disastro che abbia più di questo oppresso gli Ateniesi e infievolitane la potenza ; perocché nei loro eserciti mancarono meglio di quattromilaquattrocento soldati di grave armatura, e trecento di cavallena.

Il numero poi dell' altra moltitudine non si può rinvenire. Furonvi inoltre frequentissimi i terremoti sì in Atene che nella Eubea e tra' Beozi, specialmente ad Orcomeno.

Questo medesimo inverno gli Ateniesi in Sicilia uniti co' Reggini andarono con trenta navi contro le cosi dette Isole di Eolo , attesa l' impossibilità di andarvi ad oste d’ estate , per la mancanza delle acque. Le posseggono i Liparesi che sono coloni degli Gnidi , ma ne abitano una sola, non grande, chiamata Lipari, dalla quale escono per coltivare le altre, Didinla, StrOngila e Iera. La gente di quei luoghi crede che in Iera eserciti Vulcano l’arte del fabbro , perchè ella si vede di notte mandar fuori gran fuoco, e di giorno fumo. Giacciono queste isole in faccia alla costa de’ Siculi e de’ Messinesi, ed erano nella lega de’ Siracusani. Gli Ateniesi ne corsero la Campagna, ma poiché elle non facevano vista di rendersi, rinavigarono ai Reggio ; e finiva l’inverno e l’anno quinto di questa gilerra descritta da Tucidide.

Al venire dell’estate i Peloponnesi, e i loro alleati, sotto la condotta di Agide figliolo di Archidamo re degli Spartani, arrivarono fino all’ istmo , risoluti di assaltar l’Attica ; ma essendo accaduti molti terremoti, voltarono indietro, e fu frastornato l’assalto. Quasi ni tempo stesso, a causa dei terremoti che persistevano tra gli Orobii dell’Eubea, il mare ritirossi da quel punto che allora era terra, e gonfiatosi con gran fiotto rivenne sopra ufi quartiere della città, e parte sommerse, parte lasciò asciutto ; che però è adesso mare quel che prima era terra : talché morirono tutti quelli che non furono in tempo a correr su le alture. Medesimamente ad Atalanta , isola appartenente a’ Locri Opunzii, avvenne altrettale inondazione che rovinò parte del forte degli Ateniesi, e scassinò una delle due navi che vi erano tirate a secco.

Fuwi altresì a Pepareto una forte marea ma non fece allagamento- Parte delle mura ed il Pritaneo con altre poche case furono sprofondate dal terremoto ; il quale è a mio credere di tali fenomeni la causa ; e dove è più violento, ivi rimuove furiosamente il mare, che in un attimo risospinto indietro produce più violenta inondazione : caso che senza terremoto credo impossibile che si dia.

Nella estate medesima diversi popoli guerreggiavansi in Sicilia, come a ciascuno occorreva ; e principalmente combattevano i Siciliani tra loro propio, e gli Ateniesi uniti co9 loro alleati : ma io non rammenterò che quelle cose le quali soprattutto meritano d’ essere menzionate, e le quali adoperarono gli Ateniesi con gli alleati, o furono dagli avversari operate contro gli Ateniesi. Dico adunque, che poiché dai Siracusani fu morto in guerra Careade generale degli Ateniesi, Lachete, avendo il comando dell’ intera flotta, portò con gli alleati le armi contro Mila de’ Messinesi. Erano di guarnigione in Mila due insegne di Messinesi, ed avevano teso agguati alle truppe sbarcate dalle navi ateniesi. Ma questi con gli alleati fugano la gente dell’imboscata, molti tagliano a pezzi ; investono il forte, ed obbligano quei che eran dentro a rendere per trattato la rocca, e ad unirsi con loro per andar contro Messina. Dopo di che i Messinesi medesimi, al presentarsi degli Ateniesi co’loro alleati, si arresero col patto di consegnare ostaggi, ed offrire ogni altra guarentigia.

Nella medesima estate gli Ateniesi spedirono attorno al Peloponneso trenta navi sotto la condotta di Demostene figliolo di Alcistene e di Prode di Teodoro ; ed altre sessanta a Melo con duemila soldati di grave armatura capitanate da Nicia di Nicerato. Volevano essi soggettarsi i Melii che sono isolani, i quali non intendevano

nè di obbedire nè di entrare nella loro lega. Ma visto poi che con tutlo il guasto dato alla loro campagna e’uon si arrendevano, fatta vela da Melo navigarono per alla volta di Oropo situato sulla costa di faccia a Melo. vi diedero fondo sul far della notte , e subito le milizie gravi scese dalle navi marciarono per terra a Tanagra della Beozia. Fu dato il segnale , e il popolo di Atene a stormo andò per terra ad incontrarle al medesimo luogo, guidato da Ipponico di Callia , e da Euriinedonte di Teucle. Accampatisi nel territorio taaagrese il giorno stesso vi diedero il guasto e vi pernottarono. il giorno dipoi superarono in battaglia i Tanagresi, che avevano fatto una sortita insieme con alcuni Tebani venuti loro in rinforzo, a’quali tolsero pur le armi: alzato poscia il trofeo, la gente di Atene ritornò a casa e i soldati alle navi. Nicia procedendo marina marina con le sessanta navi depredò le costiere della Locride, e tomossene a casa.

Circa il medesimo tempo gli Spartani fondarono la colonia di Eraclea nella Trachinia con quest’intenzione. Tutti i Meliesi sono divisi in tre parti , Paralii, Jerei e Trachinii. Or tra questi gli ultimi, afflitti dalla guerra degli Etei loro confinanti, erano stati da principio sul punto di unirsi agli Ateniesi ; se non che poi temendo che non sarebbero fedeli eleggono Tisameno ambasciatore per a Sparta. Unironsi a questa ambasceria i Doriesi, che sono la città madre degli Spartani, per richiederli delle medesime cose, perocché si trovavano aneli’essi travagliati dalla guerra degli Etei. Gli Spartani udito dò presero il partito di spedirvi colonia, intendendo di soccorrere i Trachinii e i Dori, ed insieme giudicando' che la città sarebbe opportunamente situata per la guerra contro gli Ateniesi ; perchè vi si potrebbe allestire una flotta quasi addosso all’Eubea, sicché breve ne fosse il tragitto; e potrebbe esser vantaggiosa per passar nella

Tracia. Insomma erano tutti intesi a fabbricare questa città. Però prima di tutto consultarono l’oracolo di Delfo, il quale avendo acconsentito, vi mandarono ad abitarla gente di loro stessi e de’ circonvicini : ed invitavano qualunque degli altri Greci cui piacesse seguirli, fuori che gli Achei , gli Ionii e qualche altra gente. Furono capi di quella colonia tre dei Lacedemoni, Leone , Alrida e Damagone, i quali giunti colà fabbricarono sino dalle fondamenta la città che ora ha nome Eradea, distante dalle Termopile circa quaranta stadi, e venti dal mare; e prepararono arsenali cominciandone l’edifizio alle Termopile, propio in su lo stretto, acciò fossero meglio difende voli.

L’esser concorsi tanti coloni a fabbricar questa città diede sul bel principio sospetto agli Ateniesi che la credevano innalzata a minacciar l' Eubea, essendo breve il tragitto a Ceneo di Eubea stessa. Nondimeno la cosa riuscì contro la loro credenza \ perchè non fu per essi di verun pregiudizio, a cagione che i Tessali padroni dei castelli di quelle vicinanze , e nel suolo de quali si fabbricava la città, temendo avrebbero vicini prepotenti , li tribolavano, e di continuo facevan guerra a quella gente stanziata di fresco , finché non gli ebbero rifiniti, sebbene in principio fossero in grandissimo numero. Imperocché riflettendo che fondatori ne erano gli Spartani, ognuno vi concorreva con fiducia, persuaso che la città avrebbe stabilità. Se non che quei Lacedemoni stessi i quali andavano al governo di essa la perderono e scemaronne la popolazione, spaventando il popolo col loro severo e talvolta non onesto reggimento ; onde i circonvicini meglio poterono superarla.

Nella medesima estate e quasi al tempo stesso m cui gli Ateniesi si trattenevano a Melo, gli altri Ateniesi delle trenta navi che stavano in crociata intorno al

Peloponneso primieramente sorpresero con aguati presso Ellomeno della Leucadia, ed uccisero alcune guarnigioni ; e dipoi con armata più numerosa andarono contro Leucade, unitamente a tutti gli Acarnani che, eccettuati gli Eniadi, li seguivano a pieno popolo, con gli Zacintii e i Cefalleni, più quindici navi di Corfuotti. Sopraffatti i Leucadii da tanta moltitudine non si movevano , benché vedessero darsi il guasto alla campagna si fuori che dentro l' istmo, ove è Leucade stessa ed il tempio di Apollo. Gli Acarnani pregavano Demostene generale degli Ateniesi a riserrarli con un muro, sperando che facilmente li espugnerebbero , e si disbrigherebbero dì una città sempre loro nemica. Ma nel medesimo tempo i Messenii persuadono Demostene, che avendo riunito si numeroso esercito, sarebbe per lui onorevole impresa assalire gli Etoli perchè nemici di Naupatto : vincendo i quali ridurrebbe agevolmente in potere degli Ateniesi anche il rimanente di quel tratto dell9 Epiro ; essere sì bene gli Etoli popolo grande e guerresco , ma abitando a borgate molto tra loro distanti e senza mura, ed usando solo di armatura leggera, non sarebbe difficile soggiogarli prima che potessero riunirsi a oomune soccorso a invadesse ( lo confortavano ) prima gli Apodoti, quindi gli Ofionesi, dopo loro gli Euritani ( che sono la parte più grande degli Etoli, e come è fama, hanno linguaggio ignotissimo, e si cibano di carni crude) ; perchè soggiogati costoro fa« cilmente anche gli altri calerebbero agli accordi.

Condiscese Demostene alle voglie dei Messemi, tra perchè erano essi bene di lui, e soprattutto perchè avvisava che senza nuove genti di Atene, ma solo con gli alleati dell’ Epiro e con gli Etoli, traversando le terre dei Loori Ozolii fino a Citinio della Doria che ha sulla destra il Parnaso , sarebbe venuto a capo di entrare in Beozia , che confina coi Focesi ; per poi scendere tra i

Focesi stessi : i quali pensava che a cagione della perpetua amicizia in che erano stati sempre con gli Ateniesi unirebbero cón lui di buona voglia le loro armi, o si sarebbero potuti costringere per forza« Per lo che fatto vela da Leucade con tutta l' armata , a malgrado degli Acarnani scorreva la costa fino a Sollio. Ivi comunicò il suo disegno con gli Acarnani che, per noti avere egli cinto di mura Leucade, non lo approvarono ; ond’ ei col resto dell' esercito , composto di Cefalleni, Messemi e Zacintii , e con trecento Ateniesi che militavano sulle sue navi (essendo già partite le quindici de' Corfuotti ) portò le armi contro gli Etoli, mosso il campo da Enone della Locride. I Locri Ozolii di questi luoghi erano alleati , e dovevano con tutte le loro forze riunirsi con gli Ateniesi nei luoghi mediterranei. Imperocché essendo confinanti degli Etoli ed usando la medesima armatura , pareva che col concorrere al]’ impresa sarebbero di gran vantaggio, attesa la pratica che avevano del guerreggiare di quelli e del paese.

Egli adunque coll' esercito pernottò nel recinto sacro a Giove ttemeo (ove si dice che dalla gente del paese fu morto il poeta Esiodo , secondo l’oracolo che gli avea predetto arebbe sofferto ciò in Nemea) , e sili far dell’aurora mosse il campo per alla volta di Etolia. Nel primo dì prende Potidania , nel secondo Crocilio, nel terzo Tichio, ove fece alto, e mandò il bottino ad Eupolio della Locride ; avendo egli intenzione di conquistar prima gli altri luoghi, e ricondursi a Naupatto, per quindi combattere gli Ofionesi qualora e’ non volessero arrendersi. Queste mene però non erano ignote agli Etoli neanche quando ei dapprima le macchinava ; e non sì tosto si presentò con l’esercito , che accorsero tutti contro lui con numerose soldatesche ; e fino i Bomiesi e i Calliesi i che sono gli ultimi tra gli Ofionesi e si stendono fino al golfo Meliaco, non istettero a vedere.

Ma i Messemi davano a Demostene lo stesso consiglio di prima : ripetevano la presa degli Etoli sarebbe facile : lo confortavano assalisse subitamente le borgate: non aspettasse che tutti riuniti insieme potessero largii fronte ; e cercasse di prender quella che a mano a mano gli si parasse innanzi. Egli vi acconsenti, e fidato alla fortuna che non gli era nulla contraria, senza aspettare i Locri che doveano venire in rinforzo, perocché il suo principal bisogno era di saettatori armati alla leggera, marcia sopra Egitio, e al primo assalto lo espugna ; essendoché gli abitanti si sottraevano colla fuga, e si eran fermati sulle colline che soprastano la città , situata essa pure io luoghi alti, e distante dal mare intorno di ottanta stadi. Ma gli Etoli accorsi già alla difesa di Egitio si avventano sugli Ateniesi e su’ loro alleati, precipitando chi di qua chi di là dalle alture, e scagliando dardi sovra loro : e se gli Ateniesi si avanzavano , essi davano indietro ; se cedevano , gli caricavano. Durò un pezzo questa zuffa di incalzare e ritirarsi, e nell’ uno e nell’ altro modo pativano gli Ateniesi.

Nondimeno finché i loro arcieri ebbero saette e lena da servirsene, erano essi che reggevano la battaglia; poiché gli Etoli armati leggermente venivano rintuzzati dalle frecce : ma quando gli arcieri, morto il comandante, si sbandarono , allora, spossati gli Ateniesi e da gran tempo oppressi da quel medesimo travaglio, e dall’ altra parte saettati ed incalzati dagli Etoli, voltate finalmente le spalle fuggivano ; ed incappando in de’ borri senza nascita , ed in luoghi de’ quali non eran pratici ( essendo morto Cromone messenio che insegnava loro le strade)» erano sperperati. all' opposto gli Etoli essendo spediti al corso ed armati alla leggera li dardeggiavano ; e giùgnendoli dappresso in quella che davano le spalle, molti ne uccidevano : mentre i più che smarrite le strade a

erano ingolfati in un bosco senza uscita, appiccatovi il fuoco rimasero tutti arsi. Co si fuvvi nel campo ateniese ogni maniera di fuga e di morte : quel che la scamparono penarono molto a ricovrirsi al mare , e ad Enone della Locride, donde eran part:ti. Mancarono in questo fatto molti alleati, e circa centoventi Ateniesi di grave armatura ; perdita grandissima perchè erano tutti sul fiore dell’età e di valore non ordinario ; e morì anche Procle uno de’ due generali. Gli altri, riavuti dagli Etoli i cadaveri con saivocondotto , tornarono a Naupatto, e poi si ricondussero colla flotta ad Atene. Ma Demostene che per queste cose temeva degli Ateniesi, restò nelle vicinanze di Naupatto e di quei luoghi.

Al tempo medesimo gli Ateniesi che erano intorno alla Sicilia navigarono contro la Locride, e sbarcando a terra vinsero i Locri venuti a rispingerli, e prendono Peri polio città situata sul fiume Alece.

Parimente in questa estate gli Etoli che trovandosi assaliti dagli Ateniesi avevano già spedito ambasciatori a Corinto e a Sparta Tolofo osionese , Boriade euritane e Tisandro apodoto, persuadono coteste città a mandare iti grazia loro delle truppe contro Naupatto. Laonde i Lacedemoni spedirono verso l’autunno tremila di grave armatura presi dagli alleati, cinquecento de’ quali erano di Eraclea nella Trachinia , città fabbricata d’allora. Guidava queste genti Euriloco nobile di Sparta , cui seguivano Macario e Menedeo nobili spartani anch’ essi.