History of the Peloponnesian War

Thucydides

Thucydides. Della storia di Tucidide volgarizzata libri otto. Anonymous translator. Florence: Tipografia Galileiana, 1835.

Così parlò Cleone : ma dopo lui Diodoto figliolo di Eucrate, che anche nella precedente adunanza aveva con maggior calore degli altri contradetto al decreto di uccidere i Mitilenei, fattosi pure allora avanti tenne questo discorso.

« Non io qua vengo per accusar quelli che hanno proposto di nuovamente deliberare intorno ai Mitilenei, nè per lodar quelli i quali biasimano che più volte si discuta intorno ad oggetti rilevantissimi : ma stimo che due cose sieno contrarissime ad un retto giudizio, la prestezza e la collera. Quella suol andar di pari colla stoltezza ; questa con immoderata loquacità e pochezza di riflessione : e chiunque contende non essere i discorsi gli insegnatori degli affari, o delira o vi ha qualche suo privato interesse. Delira, se crede esser possibile in altro modo che colle parole diciferare l’avvenire e ciò che è oscuro : vi ha interesse , se volendo persuadere qualche cosa di turpe , crede di non poter parlare bellamente su ciò che onesto non è, ma bensì di atterrire con bei rabbuffi chi sia per contrariarlo , e l’udienza intera. Coloro poi che per ostentare la propria eloquenza accusano anche di vii guadagno chi

monta la ringhiera, sono i più perniciosi ed i più tristi i essendoché, se accusassero solo di incapacità, l’accusato, non prevalendo, partirebbe notato di poca accortezza, piuttosto che di malignità : ma aggiungendòvisi la taccia di nequitoso, se riesce a persuadere, resta sempre sospetto; se non riesce, se ne va colla nota di dappocaggine e di malvagità. La Repubblica intanto nulla profitta in mezzo ai maneggi di costoro, per timore dei quali resta elisi priva di utili consiglieri \ dove se avesse tali cittadini sforniti di eloquenza, dirizzerebbe a buon fine la maggior parte degli affari, avvegnaché il popolo ben di rado sarebbe indotto in errore. Or siccome deve un buon cittadino, non coll’ intimorire chi sia per contradirlo, ma col tenersi entro ai termini della perfetta egualità, mostrare la miglioranza de’suoi ragionamenti ; cosi è richiesto ad una saggia repubblica non aggiugnere nuovi onori a chi generalmente la consigli bene, ma neanche diminuirglieli : e non che punire l’oratore la cui sentenza non prevalga , non deve pure abbassarne la reputazione. Cosi l'oratore che vince non parlerà, per verun modo, cose che egli stesso non approva , col fine di crescere il suo stato e cattar benevolenza ; e colui che non ottiene il vanto, non si studierà di conciliarsi anch’ esso l’animo della moltitudine, col compiacerla di qualche cosa.

« Ma noi adoperiamo tutto all’opposto : anzi, di più, se v’è alcuno che, quantunque avuto in sospetto di venale, dia ottimi consigli alla Repubblica, noi non pertanto per quel mal fondato sospetto lo prendiamo in avversione , e defraudiamo la Repubblica dei più evidenti vantaggi. E però s'é ridotto in usanza che i buoni consigli non artatamente proposti sono avuti a sospetto non meno dei perniciosi : di che è costretto ad adoprar la frode chi voglia per cattivarsi il popolo persuadere le più funeste stranezze # non meno che di ricorrere all’ artifizio , per

acquistar credenza , chi fa le più utili proposizioni. Frattanto con tali circonspezioui questa è la sola città ove sia impossibile far del bene alla scoperta, senza premettere T iuganno. Se vi lia chi oifra palesemente uu bene, ne e ricambiato col sospetto, quasi che egli abbia qualche segreto vantaggio. Nonostante però tale opinione che si ha di noi oratori, trattandosi di altari del più gran rilievo , conviene che noi ve ne parliamo , prevedendo più lontano di voi che a breve distanza risguardate ; tanto più che i nostri consigli vanno soggetti a rendimento di conti, mentre voi non temete sindacato del modo onde ci ascoltate. Che se il consigliatore e quello che gli va dietro fossero sottoposti alla medesima pena -, voi andreste più ritenuti nei vostri giudizi : laddove ora, se per capriccioso talento vi venga fatto di commettere qualche sbaglio, dannate sola la mente di chi vi consigliò, non le vostre, sebbene in gran numero concorse nell’errore.

ce Ma io non son qua per contradire o accusar chicchessia riguardo ai Mitilenei : non si contende adesso, se abbiam senno, della gravezza del loro delitto ; ma del come sia prudente la nostra determinazione. In fatti, pognamo che io li dimostrassi al tutto rei, non ù per conseguente che io vi consigli ad ucciderli, se ciò non toma a nostro vantaggio : nè, s’ ei meritino perdonanza , che l’ottengano da voi, ove ciò non si mostri di utilità alla patria. Credo poi che la nostra deliberazione riguardi più all’avvenire che al presente: e sul punto ove principalmente insiste Cleone, che a troncar le ribellioni avvenire sarà utile annestarvi la pena di morte , valendomi aneli’ io in opposizione a lui, di quello che pel tempo futuro può tornarci bene, sento contrariamente. E vi farei torto a credere che, per l’apparente forza del suo discorso, vogliate rigettare l’utilità del mio ; essendo che il suo ragionare, che a’termini di severa giustizia più si accomoda co]

vostro risentimento contro i Mitilenei, potrebbe forse sedurvi. Ma non siamo adesso in tribunale con loro, da aver bisogno dei principi ài rigoroso diritto ; anzi discutiamo riguardo a noi in qual modo essi possano in segnilo esserci utili.

« Pertanto, è nelle diverse repubbliche statuita la pena di morte per assai delitti, non solo di eguale ma anche di minor gravezza che questo : nondimeno gli uomini , incitati dalla speranza , vi si attentano j e niuno mai si condusse al misfatto disperando di dover sopravvivere al suo conato. Conciossiachè, qual città io ribellandosi si è mai mossa a ciò fare giudicando insufficienti gli apparecchiamenti o suoi o degli alleati ? Ed è proprio naturalmente di tutti, e privati e repubbliche, il fallire : nè v è legge che valga a ritenerli : avvegnaché abbiano gli uomini trascorso per tutti i gradi di pene sempre aumentando, se pur modo vi fosse d esser meno offesi dai malfattori. E pare che iu antico le pene fossero più miti anche pei più enormi delitti : ma col tempo, venendo trasgredite, si sono estese sino a quella di morte ; e pur questa ancora si trasgredisce. O bisogna dunque inventar supplizio più terribile di questa, o convenire che neppur essa è di verun freno ; dappoiché, la povertà, che colle sue strettezze inspira ardimento, la potenza che coll’ insolenza e coll’orgoglio mena alla soverchieria, e gli altri stati mezzani , giusta le cupidità degli uomini , secondo che ciascuno è da qualche più forte e incurabil passione dominato , strascinano nei pericoli. Soprattutto poi la speranza e il desiderio , questo precede , quella conseguita ; questo immagina il modo di fare il colpo , quella suggerisce la facilità di felice riusci mento : ond’è che sono la causa potissima dei mali nostri ; e benché sieno invisibili prevalgono sopra le pene che sono visibili. Oltre a ciò la fortuna stessa non meno concorre a dar la pinta : perciocché venendoci

talvolta inaspettata al fiauco , ella spinge al cimento chicchessia, anche con minori forze, e principalmente le città, in quanto sono più importanti le cose che ambiscono , libertà, voglio dire ; ed impero su gli altri j e in quanto che ciascun cittadino riunito col rimanente , più di sè stesso inconsideratamente presume. E brevemente , egli è cosa impossibile e argomento di grosso ingegno il credere, che quando la umana natura è trasportata con impeto a commetter qualche cosa, il vigor delle leggi od altro spauracchio valga a distornela.

« Non dobbiamo adunque, fidandoci alla pena di morte come a sicuro mallevadore , prendere una cattiva risoluzione ; nè mettere ili disperanza i ribelli, come se non vi sia per esser luogo a pentimento che quasi in sulT istante cancelli il loro fallo. Perocché osservate che, nel caso mio, una città anche ribellata, se conosca di non poter prevalere, verrà a’ patti in istato tuttora da rifarci le spese, e da pagare il tributo all’avvenire : ma nell’altro caso, qual città pensate voi che non volesse rinforzare i suoi presenti apparecchi, e durar sino all’ultimo nell’assedio , ove importi lo stesso il presto o tardi comporsi ? E come non sarebbe egli allora nostro danno (attesa l’impossibilità d’accordarsi ) lo spendere rimanendo all9 assedio, conseguire deserta quella città che espugnassimo , e cosi rimaner privi della rendita che in seguito ci sarebbe pervenuta , e dove consiste il nerbo delle nostre forze contro i nemici ? Cosicché non dobbiamo esser giudici esatti dei delinquenti a danno nostro , più presto che vedere come, castigandoli moderatamente, possiamo in avvenire servirci di quelle città potenti per copia di denaro ; e però brigarci di tenerle guardate non colla severità delle leggi, ma colla soprawegghianza delle loro azioni. Noi però adopriamo tutto il contrario ; avvegnaché , se soggioghiamo un popolo libero e dominato per forza, il quale siasi

ribellato per ricuperare (come è naturale) la propria independenza, reputiamo che convenga punirlo atrocemente : mentre vuoisi non severamente punire gente libera quando siasi già ribellata , ma severamente guardarla innanzi che si ribelli, ^prevenirla, in modo che ciò non per le venga in pensiero ; e ridotta ohe l’abbiamo in poter nostro, imputarglielo a colpa il men possibile.

« Ma anche per quest’altro riguardo, osservato qual grave errore commettereste aderendo a Cleone. Ora in tutte le città il popolo ò a voi benevolo, e, o non si unisce cogli oligarchici alla ribellione, o se vi è astretto, alla prima occasione divien nemico di quelli che ve lo abbiano indotto ; di sorte che, se vi si ribelli una città, voi le andate contro avendo amica la plebe : all’opposto, se truciderete il popolo dei Mitilenei ohe non participó della ribellione , e che avute appena le armi vi rese spontaneamente la città , primieramente oprerete ingiustamente uccidendo i vostri stessi benefattori, quindi procaccerete ai nobili ciò a cui principalmente mirano. Imperciocché, io ribellando essi le città, avranno seoo legato il popolo, appunto per aver voi premostrato esser destinata una mede« sima pena pe’rei egualmente e pe’non rei. Il perché, poniamo i Mitilenei ci avessero offeso, conviene dissimulare , perchè que’ soli che ora ci restano amici non ci si facciano nemici. Credo poi molto più conducevole al ritenimento dell’impero, soffrire in pace qualche ingiuria, di quello che, stando ai termini di rigoroso diritto , uccider quelli che il nostro vantaggio non consente : nè si trova possibile, come pretende Cleone , che giustizia e utilità della vendetta, in questo medesimo caso , vadano insieme,

« Voi dunque conoscendo esser questo il miglior partito, senza accordar più del giusto alla compassione od alla lenità (dalle quali cose nè io pure consento che vi lasciate

trasportare) seguite il mio consigliò, per le propostevi considerazioni, di far maturamente il processo di quei Mitilenei spediti qua da Pachete come rei, e di lasciare stare gli altri alle proprie case. Queste sono le maniere che formeranno in avvenire , e già formano anche adesso , lo spavento dei nemici i conciossiachè chiunque segue ottimi consigli è più potente dirimpetto a' nemici , di chi inconsideratamente gli assalga colla prepotenza dei fatti ».

Cosi parlò Diodoto. Queste due opinioni contrarie una l’altra essendo state esposte col massimo contrappeso di ragioni , entrarono gli Ateniesi a discutere quale fosse da preferire ; e venuti al rendimento dei voti furono presso che alla pari, ma vinse il parer di Diodoto. Spedirono immantinente con gran premura ttn9 altra trireme a Mitilene, per non trovar distrutta la città, se questa seconda non vi arrivasse innanzi alla prima che l’avea preceduta d un giorno intero e di una notte ; ed avendola i mandatari di Mitilene provvista di vino e di biscotto, con grandi promesse a’ marinari se arrivassero prima dell’ altra , fu sì accelerata la voga, che senza abbandonare il remo, mangiavano il biscotto inzuppato nel vino e net l’olio, ed alcuni spartitamele prendevano sonno, altri remigavano« E per fortuna, non avendo avuto alcun vento contrario, e la prima trireme destinata ad uno strano aflare navigando lentamente , mentre questa si avacciava così ; arrivò in tempo che appunto Pachete aveva letto il decreto, ed era in procinto di eseguir la sentenza. Ma questa seconda approda immediatamente dopo quella, e lo ritenne dal fare la strage. A tanto di pericolo vennero i Mitilenei.

Agli altri però mandati da Pachete in Atene come colpevolissimi della ribellione diedero gli Ateniesi la morte secondo il parere di Cleone : ed erano poco più di

mille. Demolirouo altresì le mura di Mitileue, e ricevettero la consegnazione delle navi : quindi, invece di imporre tributo ai Lesbii, ne divisero in tremila parti il territorio (eccetto quello dei Metimnei ) , e ne scelsero trecento da consacrarsi agli Dei : al possedimento delle altre mandarono quei de9 loro cittadini a’ quali erano toccate in sorte. Ma gli abitanti di Lesbo si tassarono di pagare ad essi ogni anno per ciascuna parte due mine , e coltivarono da sè il terreno. Ebbero gli Ateniesi per dedizione anche i castelli sulla terraferma de’quali eran padroni i Mitilenei, che di poi furono obbedienti ad Atene. Così passarono le cose di Lesbò.

Nella medesima estate , dopo la presa di Lesbo, gli Ateniesi condotti da Nicia figliolo di Nicerato portaron la guerra a Minoa , isola situata di faccia a Megara , ove i Megaresi avevano fabbricata una torre che serviva loro di fortezza. Intendeva Nicia che gli Ateniesi avessero quivi un presidio in osservazione meno lontano che da Budoro e da Salamina ; che i Peloponnesi non potessero da quel luogo correre , come prima, furtivamente il mare collo spedir fuori triremi e corsari ; e che nulla si potesse introdurre a’ Megaresi dalla parte di mare. Adunque prima di tutto espugnò con macchine due torri in sul mare che sporgeano in fuori da Nisea , e rese libero alle sue navi il corso tra Nisea e l’isola. Intanto edificava un riparo di mura dalla parte di terraferma , per dove mediante un ponte attraverso il pantano recavasi soccorso all’ isola stessa che ne è poco distante. Ultimato in pochi giorni questo lavoro , fabbricò anche poi nell’ interno dell’isola un forte per lasciarvi presidio , e parti con l' armata.

Circa il tempo stesso di questa estate i Plateesi, che non avevano più vettovaglia nè forze da sostenere l’assedio , capitolarono co’ Peloponnesi. La cosa andò iu

questo modo. Avevano i Peloponnesi dato l' assalto alle mura , e quei di dentro non erano in istato di far fronte. Ma il generale spartano, tuttoché informato della loro debolezza , non voleva espugnar la città a viva forza , che tale era l’ordine di Sparta; perchè se mai restasse conclusa la tregua con gli Ateniesi , ed ambe le parti convenissero di restituire tutti i luoghi acquistati con l' armi, Platea non fosse di quelle da restituirsi, essendosi resa spontaneamente. Spedisce dunque un araldo a proporre loro, se volessero spontaneamente consegnare la città agli Spartani ed accettarli per giudici ; protestando che punirebbero i rei, ma nissuno però senza giuridico processo. Tale fu la proposizione dell’ambasciatore : ed essi, perocché erano all’estremo , consegnarono la città. I Peloponnesi somministrarono vettovaglia a’ Plateesi per alcuni giorni, finché arrivarono da Sparta cinque giudici, alla venuta dei quali non fu proposto alcun capo di accusa ; ma citati i Plateesi fecero loro soltanto questa domanda : « Se da che era incominciata la guerra avesser reso qualche servigio ai Lacedemoni e loro alleati ». Rispondevano essi, domandando licenza di poter parlare alquanto lungamente , e produssero a loro nome Astimaco figliolo di Asopolao, e Lacone di Aimnesto pubblico ospite di Sparta ; i quali presentatisi parlarono cosi :

« Noi certamente , o Lacedemoni, facemmo la dedizione della città confidando di non dover sostenere cotal giudizio , ma uno più consono alle leggi , ed accettando di non esser sotto ad altri giudici che a voi (siccome lo siamo) , perchè ciò credevamo il modo più sicuro ad ottenere equità. Se non che temiamo non sia ora fallito questo nostro doppio intendimento ; perocché drittamente sospettiamo che si discuta per noi la causa dell’estremo supplizio, e che voi non siate per riuscire giudici imparziali. Ce ne dà argomento non solo il non ci

esser proposta querela alla quale dobbiamo coatradire (mentre noi stessi abbiamo domandato la parola), ma ancora quella breve vostra interrogazione, alla quale risponder vero è nostro danno, risponder falso porta convincimento di menzogna. Laonde, ridotti in dubbiezza per ogni lato, siamo astretti, e ci par più sicuro, il non abbandonare al silenzio il nostro pericolo : avvegnaché , per chi è venuto a tale, una sola parola non detta potrebbe produrre il rammarico ; che se fosse stata detta , sarebbe stata di sua salvezza. Ma per noi v’ è anche di più la difficolti di procacciarsi credenza ; essendo che, se non ci conoscessimo scambievolmente , accumulando testimonianze di cui foste all’oscuro , potremmo cavarne vantaggio : ora però dobbiam parlare dinanzi a gente di tutto informata. Nè temiamo che voi mal prevenuti contro il nostro valore, perchè minore del vostro, ci imputiate ciò a delitto ; ma che f mentre volete gratificare ad altrui, noi ci imbarchiamo in una causa già decisa.

« Nondimeno esponendo i nostri giusti titoli di difesa riguardo alle differenze coi Tebani, come ancora rispetto a voi ed agli altri Greci, faremo menzione dei servigi nostri per tentar di persuadervi. Quanto alla breve domanda « se in questa guerra abbiamo fatto alcun bene ai Lacedemoni ed agli alleati » se ci interrogate come nemici , rispondiamo, non aver noi oprato ingiustamente contro di voi, se non vi abbiamo giovato ; se come amici, aver voi più presto il torto , che ci portaste contro le armi. Quanto poi alla pace ed alla guerra col Medo abbiamo fatto il debito nostro ; perchè quella non violammo i primi, a questa soli noi tra' Beozi allora concorremmo con voi per la libertà di Grecia : e benché gente di terraferma venimmo a naval combattimento con lui presso Artemisio ; e nell’altra battaglia avvenuta sul nostro suolo ci unimmo a voi ed a Pausania : e se altro pericolo in qnei

tempi sovrastò ai Greci, di tutti partecipammo oltre le forze nostre. Ma per voi stessi, o Lacedemoni, noi spedimmo in aiuto la terza parte di nostre genti, quando dopo il terremoto, ritiratisi gli Iloti ad Itome , trovossi Sparta nel massimo sbigottimento : or questi fatti non sono da porre in dimenticanza.

« Tali cr gloriammo d’essere nei tempi andati e nei più grandi bisogui : e se poi vi divenimmo nemici la colpa è tutta vostra« Conciossiachè urtati dai Tebani vi richiedemmo di alleanza , ma ci rifiutaste e ci confortaste a volgerci agli Ateniesi perchè vicini , mentre voi abitar vate lontano : pure in questa guerra non avete per noi sofferto nulla di strano , e non eravate per soffrirlo. Se poi ai vostri inviti non volemmo staccarci dagli Ateniesi, non però vi abbiamo ingiuriato ; dappoiché essi ci soccor-«ero contro i Tebani, mentre voi ve ne svogliaste. Il perchè non era più onesta cosa tradir quelli che aveano meritato di noi, e che per le nostre preghiere ci avevano ricevuto nella lega , ed ascritti alla loro cittadinanza : anzi richiedeva il decoro che seguissimo prontamente i loro comandamenti. Ora nelle imprese alle quali entrambi conducete gli alleati, non sono colpevoli quei che vi seguono, se qualche cosa men che onesta facciate ; ma bensì voi f che gli scorgete ad opere non buone.

« Tra le moltiplici ingiurie fatteci dai Tebani la non menoma è quest’ultima che voi ben sapete , e per cui patiamo questi mali. Avendo essi occupato la città nostra durante la tregua f e (che maggior cosa è) nel di festivo del mese , noi meritamente ci vendicammo per quella fogge universalmente ricevuta, esser dritto respinger chi t assalga. Nè ora, in grazia loro, noi saremmo giustamente offesi : perocché se misurerete il diritto colla norma dei vantaggi presenti e del loro mal animo verso noi, voi sembrerete non leali estimatori del giusto, ma più

presto solleciti del prò vostro. Che se adesso credete costoro esservi utili, bene assai più noi e gli altri Greci lo vi fummo, allorquando eravate in pericolo maggiore. Infatti voi ora siete il terrore di quelli che assaltate : all’ opposto allora il barbaro voleva imporre a tutti il giogo della schiavitù, e questi Tebani erano con lui. Ragion dunque vuole che al fallo d’adesso (se pur l' è ombra di fallo) contrapponiate la prontezza d’allora, e troverete questa maggiore al paragone di quello, ed usata in tempi quando era ben raro dii dei Greci opponesse alcun valore alla potenza di Serse. Erano allora lodati principalmente non quelli che, per schermirsi dalle invasioni del barbaro, miravano a procacciarsi la propria sicurezza , ma quelli che affrontavano il perìcolo per le più magnanime imprese. Noi intanto, stati di questi ed avuti nel primo grado di onoranza , temiamo adesso di andar perduti per quei medesimi alti sensi ; noi che scegliemmo ài seguire gli Ateniesi per giustizia, invece che voi per interesse. Eppure fa di mestieri mostrare di séntir lo stesso sopra gli stessi oggetti, e null’altro credere nostro vantaggio se non quello che ci è comune coi bravi alleati, solo che essi sempre ci sappiano grado del nostro valore, e resti consolidata per noi l’utilità presente.

« Osservate inoltre che dinanzi al maggior numero dei Greci siete reputati l' esemplare della probità. Cìie se ingiustamente giudicherete di noi (nè questo giudizio rimarrà ignoto , perchè voi che avete nomea dovrete sentenziar noi che non siamo vituperevoli) badate non disapprovino che intorno a gente dabbene, voi (sebbene anche migliori) abbiate deliberato qualche cosa che denigri la fama vostra, e che ai pubblici templi si veggano appese le spoglie tolte a noi che meritammo di Grecia. Farà raccapriccio che i Lacedemoni abbiano devastato Platea, e che, laddove i padri vostri pel valore di lei ne

scolpirono il nome sul tripode di Delfo, voi, per compiacere ai Tebani , l’abbiate con tutti i suoi cittadini cassata dal corpo intero dei Greci. A tanto di sciagura , per» dio ! siam venuti, che allora, vincendo i Medi, saremmo periti ; ed ora dinanzi a voi un di nostri amicissimi, siamo messi al di sotto dei Tebani : cosicché due grandissimi cimenti abbiam sostenuto , uno dianzi di morir di fame se non avessimo reso la citta , l’altro ora d' esser processati di morte. E noi Plateesi, solleciti sopra le forze nostre per il vantaggio dei Greci, siamo turpemente da tutti ribattati deserti e tapini : nissuno ci soccorre degli alleati dallora ; anzi di voi stessi, o Lacedemoni, unica nostra speranza , temiamo che non stiate saldi per noi.

« Ciò non pertanto confidiamo, nè fuori di ragione , che in rispetto degli Dei testimoni allora dell’ alleanza, e in rispetto del valor nostro a pro dei Greci, voi vi piegherete e muterete pensiero, tuttoché prevenuti alcun poco per i Tebani : che in cambio chiederete loro il favore, di non dover voi stessi uccidere quelli cui uccidere si disdice, acciocché riscuotiate cosi un’ onesta compiacenza invece che turpe j ed acciocché, col gratificare altrui, non siate in contraccambio notati di perversa viltà. Conciossiachè è cosa leggera il trucidare i nostri corpi, ma eccede ogni fatica il cancellarne l’infamia ; perchè in noi non punirete drittamente dei nemici, ma dei benevoli che di necessita vi guerreggiarono. Riflettete prima di tutto che siam venuti in poter vostro resici spontaneamente e sporgendo a voi le mani (rito per cui è interdetto ai Greci trucidar chi lo pratichi ) ; e che inoltre abbiam costantemente meritato di voi : per lo che, francheggiando le nostre persone, oprerete da giudici religiosi. Volgetevi a mirare le tombe dei padri vostri, che uccisi dai Medi e sepolti nel nostro suolo noi pubblicamente cinscun anno onoravamo di vestimenta e d'ogni maniera di esequie. Per

noi le primizie di tutto ciò che le nostre campagne producono nelle stagioni alterne erano loro offerte, non solo di buon grado come tratte da terra ad essi cara, ma ancora come alleati ai già nostri commilitoni. Del che voi fareste il contrario non drittamente deliberando. Vedete! Pausania diede lor sepoltura giudicando depositarli in terra amica e appresso genti medesimamente amiche : ma se voi ci ucciderete, e di plateese ridurrete tebano il suolo, che altro farete se non lasciare in terra nemica e presso i loro uccisori i vostri padri e congiunti privi delle onoranze che or godono? Senza di che, vi basterà egli il cuore di assoggettar quella terra ove i Greci conseguirono la li' berta ? Disertare i templi di quei Numi, cui invocando, disfecero i Medi ? Aholire i patrii sacrifici di coloro che questi templi stessi fondarono ed inalzarono ?

« Egli non sarebbe, o Spartani, della gloria vostra l’adoprar cosi, nè il deviare dall’osservanza comune tra i Greci e dal rispetto ai maggiori ; nè per soddisfare a straniera nimistà uccider noi che non vi abbiamo offeso, e che vi abbiamo beneficati. Anzi è richiesto al decoro di voi perdonare e piegar l' animo ai pensieri di discreta commiserazione, ponderando non solo l’atrocità dei mali che aremmo a soffrire, ma di più chi siamo noi che li soffriremmo ; e quanto stia in bilico la sciagura , su chi ■mai piombar possa, anche immeritamente. E noi, come conviene allo stato nostro e come necessità ci spinge, alzando le nostre voci agli Iddii che su i medesimi altari si onorano dal comune dei Greci, li preghiamo a persuadervi di queste cose , intanto che vi richiamiamo alla memoria i giuramenti giurati dai padri vostri. Vi supplichiamo pei sepolcri dei padri, invochiamo i trapassati per non esser consegnati ai Tehani nostri capitali nemici, amorevolissimi come siamo verso quei valorosi. Rammentiamo quella famosa giornata in cui con essi facemmo le più

chiare prove, mentre in questa d’oggi corriamo rischio di soffrire gli estremi mali. Ma sul finire del nostro discorso (momento indispensabile ed il più doloroso a chi è in simil frangente , perchè conseguita dappresso il pericolo della vita) protestiamo che non rendemmo la città ai Tebani , perocché aremmo innanzi tolto di morir della morte più turpe, della morte di fame, ma bene a voi la rendemmo , abbandonandoci alla fede vostra. Se dunque non vi muovono le nostre ragioni, egli è giusto che ci rimettiate ael pristino stato, e ci lasciate sceglier quel pericolo che ci incontrerà. Sieno, O Lacedemoni, le ultime nostre parole queste ; che non siamo dati in balia dei Tebani, nostri capitalissimi nemici , noi Plateesi già del bene di Grecia sollecitissimi, noi vostri supplichevoli strappati dalle mani vostre e dalla vostra fede ; ma anzi siateci salvatori : nè sia vero che mentre tornate in liberta gli altri Greci, vogliate ora perder noi interamente ».

Così parlarono i Plateesi. E i Tebani, temendo che i Lacedemoni si ammollissero alcun poco per le parole di quelli, si fecero avanti e dichiararono, che siccome ai Plateesi , fuori della loro opinióne , era stato accordato parlare più a lungo di quel che si richiedesse per rispondere alla domanda , così essi pure intendevano di essere ascoltati. Avutane la permissione parlarono così.