History of the Peloponnesian War

Thucydides

Thucydides. Della storia di Tucidide volgarizzata libri otto. Anonymous translator. Florence: Tipografia Galileiana, 1835.

Ed ecco la struttura della fortificazione fatta dai Peloponnesi. Essa aveva due cerchi di muro : l’uno guardava i Plateesi, l’altro era per opporsi al di fuori se mai alcuno da Atene venisse ad attaccarli : questi due cerchi poi erano distanti fra loro circa sedici piedi. Neirintervallò dei sedici piedi erano ripartitamentc costruite per le sentinelle delle casematte , contigue l'una alPaltra in modo da parere un muro tutto sodo avente merli sulle due facce. Ad ogni dieci merli eranvi grandi torri , eguali di larghezza alla muraglia, ed arrivavano ognuna alla faccia sì internai che esterna di lei ; talché lungo le torri non rimaneva davanzale, ma si traversava passando pel mezzo di esse. Le notti, se faceva temporale umido, abbandonavano i merli, e facevano guardia dalle torri fra loro a piccola distanza, e coperte di sopra. Tale era la fortificazione onde erano cinti attorno i Plateesi.

I quali ordinato che ebbero il tutto, colta l’opportunità d una notte burrascosa per pioggia e vento, ed anche senza luna , uscirono condotti da quei medesimi che avevano proposto l’impresa. E primieramente valicarono la fossa interna che li circondava ; poi vennero sotto il muro de’ nemici di soppiatto alle sentinelle , le quali attesa l’oscurità non gli avevano scorti, nè sentiti al rumore che mettevano nell’avanzarsi, tra perchè soffiava di rintoppo il vento, e perchè camminavano molto discosto l’uno dall’altro, affinchè le armi urtandosi insieme non ne dessero sentore. Erano inoltre spediti e leggeri di armatura , e per assicurarsi contro il fango calzati solo del piè sinistro. A riscontro adunque degli spazi ond’erano tra loro distanti le torri, si accostarono sotto a5 merli (che e’ sapevano essere senza guardie) primieramente i portatori delle scale e ve le appoggiarono : indi salivano dodici soldati leggeri, armati solo di lorica e pugnale , preceduti da Ammea figliolo di Corebo, che primo sali : quei che venivano dopo lui montavano sei ad una, sei all’altra delle due torri. Appresso questi seguivano altri di leggera armatura con lancluole; ai quali, acciocché potessero più agevolmente salire, altri dietro portavano gli scudi che dovevano dar loro quando e’ fossero a fronte co’ nemici. Saliti che furono la maggior parte , le sentinelle delle torri se ne accorsero, perchè uno de' Plateesi nelFattenersi ad una tegola la buttò giù dai merli, la quale caduta fece del rumore. Furono tosto alzate le grida dalle sentinelle, ed i nemici corsero alla volta del muro, non sapendo che inai ciò fosse, stante la notte buia ed il temporale. Nel tempo stesso i Plateesi ch’eran rimasti in città fecero una sortita, ed investirono il muro de’ Peloponnesi dal lato contrario a quello ove le loro genti davano la scalata , affine! i è i nemici avessero mente ad esse il meu possibile. Grande era il trambusto de’ nemici, ina stavano tutti al

suo posto, nissuno avendo coraggio di lasciare la sua guardia ; nè sapevano conghietturare chè ciò si fosse. La loro truppa di trecento, destinata ad accorrere ove facesse bisogno, marciava dalla parte esterna del muro al luogo ove udivansi le grida. Intanto si alzavano inverso Tebe le fiaccole nuuziatrici del nemico, e dal canto loro i Plateesi di citth ne alzavano di sulle mura molte preparate innanzi appunto con questo intendimento, chè i segnali de’fuochi fossero incerti per i nemici; sicché stimando essere la cosa tutt’altro da quellò che ella era, non venissero in soccorso prima che la loro gente uscita di città scampasse, e si conducesse a qualche luogo di salvezza.

In questo mezzo i Plateesi che erano neiratto di scalare il muro, quando i primi di loro vi furono già saliti , e trucidate le guardie si furono fatti padroni delle due torri, di piè fermo guardavano i passi delle torri stesse, acciò niuno potesse, traversandole, recar soccorso. E di sul muro avendo appoggiate scale alle torri, e fattavi salire molta gente, alcuni dall’alto e dal basso delle torri occupate tenevano coi colpi di frecce indietro chi venisse in aiuto : altri (e questi erano i più) appoggiate ad un tempo molte scale atterravano i merli, e passando di mezzo alle torri traversavano il muro : e di mano in mano chi trapassava ferma vasi sull’orlo della fossa, e di lì lanciavano saette e strali contro chiunque lungo il muro accorresse per impedire il tragitto. Quando poi furono tutti passati, quelli che eran montati sulle due torri rimasti essendo gli ultimi a gran pena scendevano, e si avviavano alla fossa. In questo , la truppa de' trecento si scaglia con torce accese sovr'essi : ciò non pertanto i Plateesi che stavano fermi sull’orlo della fossa, trovandosi nell’oscurità meglio vedevano, e sbagliavano strali e frecce contro le parti inermi dei nemici, dai quali, a cagione delle fiaccole, con più difficoltà potevano essere osservati, appunto perché

stavano dalla parte del buio : cosicché anche gli ultimi de' Plateesi furono in tempo a varcare la fossa ma con gran pena e fatica; avvegnaché in essa si fosse rappreso un glriaccio non sodo da passarvi sopra, ma più presto acquidoso come suol essere a vento sussolano e non tramontana. Inoltre la notte al soffiar di quel vento essendo caduto un nevischio, vi aveva resa l'acqua copiosa, talché appena colla testa fuori poterono passare. Nondimeno, la grandezza di quel temporale facilitò loro lo scampo.

I Plateesi ristretti insieme mossero dalla fossa, marciando per la via che mena a Tebe , avendo a destra il tempietto di Androcrate ; sì perchè reputavano che a nessuno sarebbe caduto nell’animo che e’ si voltassero per questa strada che menava a’ nemici, si ancora perchè vedevano che i Peloponnesi gl' inseguivano con fiaccole verso il Gterone ed i CapidiQuercia, per la via che mena ad Atene. Proseguirono i Plateesi per sei o sette stadii il cammino verso Tebe: ma poi voltatisi andarono ad Eritrea e Isia per la strada che porta al monte : e guadagnati i monti si condussero a salvamento in Atene dugento dodici soli del gran numero ; imperocché alcuni di loro tornarono in città prima di scalare il muro, ed un arciere fu preso nella fossa esterna. I Peloponnesi poi si tennero dall’ inseguirli e si rimisero al loro posto ; ed i Plateesi restati in città, che nulla sapevano dell’accaduto, ebbero dai tornati indietro la nuova che non era sopravvissuto nissuno : però appena giorno spedirono un araldo a far tregua per riavere i cadaveri ; ma informati poi del vero non si mossero. Così trovaron salvezza quei prodi Plateesi che superarono le fortificazioni.

Sul cader dello stesso inverno Saleto lacedemone è spedito da Sparta a Mitilene con una trireme. Approdato egli a Pirra , di là a piedi, per un borro che menava dentro alle fortificazioni nemiche, entra inosservato

in Mitilene; dichiara ai magistrati si assalterebbe TAttica, ed arriverebbero ad un' ora le quaranta navi destinate a loro soccorso : essere egli spedito innanzi a questo fine, ed insieme per provvedere a tutto il resto. Il perchè inanimiti i Mitilenei meno inchinavano ad accordare con gli Ateniesi, Cosi finiva questo inverno, e il quarto anno della guerra descritta da Tucidide.

Nella seguente estate i Peloponnesi quando ebbero spedito a Mitilene, sotto il comando del loro ammiraglio Alcida, le quarantadue navi imposte agli alleati, entrarono da sè co1 confederati nell’Attica, acciocché gli Ateuiesi, inquietati da ambe le parti, avesser meno possibilità di tener dietro alle navi che andavano a Mitilene. Guidava questa spedizione (a nome di Pausania figlio di Plistoanatte, che era il re, ma ancora nella minore eia) Cleomene suo zio. Devastarono nell’Attica non solo quel che era stato prima mal concio, ma anche i germogli della campagna, e tutto ciò che era stato tralasciato nelle precedenti invasioni: laonde questa fu per gli Ateniesi, dopo la seconda, la più perniciosa invasione. Imperoochè i Peloponnesi ohe vi si trattenevano , aspettandosi sempre di udire da Lesbo qualche impresa della flotta ohe già vi credevano arrivata, faoevano scorrerie guastando buona parte delle loro terre, Ma non avvenendo nulla di quel che credevano , e fallita la vettovaglia, si ritirarono e tornarono separatamente ognuno alla propria città.

Frattanto i Mitilenei vedendo che non giungevano a loro le navi dal Peloponneso, le quali anzi indugiavano , e mancando di vettovaglia, si trovan costretti a comporsi con gli Ateniesi per le seguenti ragioni. Saleto, che nè anchVsso aspettava più le navi, fornisoe di armi il popolo per lo innanzi inerme, coll’ intendimento di fare una sortita contro gli Ateniesi. Ma i popolani ricevute appena le armi non più obbedivano ai comandanti, e riutiendosi

ili brigate ordinavano a’ magnati, o producessero il frumento e distribuisserlo a tutti, od essi converrebbero con gli Ateniesi di render la città.

Quelli che erano al maneggio del governo vedendosi mal atti a contenerli, ed in pericolo se restassero esclusi dalla capitolazione, ristrettisi insieme, fanno accordo con Pachete e col suo esercito, a patto che gli Ateniesi potessero, come più loro piacesse, risolvere intorno ai Mitilenei : che questi gli ammetterebbero in città, e spedirebbero ad Atene ambasceria per trattar dei propri affari ; e che fino al ritorno dell’ambasceria Pachete non dovesse nè incarcerare, nè fare schiavo, nè uccidere veruno dei Mitilenei. Tale fu questa convenzione. Ma quei Mitilenei che più manifestamente si erano intromessi coi Lacedemoni, impauriti oltre misura, all’entrar dell’esercito non patirono di rimanersi ; anzi, nonostante la capitolazione , si assidono presso gli altari. Pachete però fatj tili alzare colla promessa di non far loro alcun male, li deposita in Tenedo fino alla risoluzione degli Ateniesi. Spedi delle triremi anche ad Antissa e se ne impadronì ; ed acconciò del rimanente l’esercito in quella guisa che gli sembrò più opportuna.

Ma i Peloponnesi colle quaranta navi, che dovevano arrivare prontamente , si intertennero volteggiando attorno al Peloponneso, e si condussero nel restante del corso con tanta lentezza che in Atene non se ne ebbe novella fino a tanto che non approdarono a Deio. Di là poi giunsero ad Icaro e a Micono, ove per la prima volta udirono della presa di Mitilene : e volendo chiarirsene, presero terra ad Embato dell’Eritrea. Erano intorno di sette giorni che Mitilene era stata presa, quando arrivarono ad Embato : laonde ragguagliati di ciò chiaramente deliberavano sul presente stato delle cose, e Teutiaplo di Elea parlò ad essi così :

« O Alenda, e quanti de’Peloponnesi siete qui coa meco al comando dell’armata, mio parere si è di navigar subito sopra a Mitilene pria che nulla si sappia del come ci troviamo. Presa dagli Ateniesi non ha guari la terra , li troveremo, come pare , in gran trascuranza della difesa, e più che altro dalla parte del mare, donde essi non temono che possa sopravvenire alcun nemico, e dove consiste principalmente la nostra forza. Inoltre il loro esercito di terra vuoisi credere, perchè vincitore, sparso spensieratamente per le case. Se dunque di notte, e all5 improvviso daremo l’assalto, spero col favor di quei di dentro, se pur vi resta chi sia per noi, poterci venir fatto di insignorirci di tutto. Però non ita che il cuor non ci basti d’affrontare il pericolo, considerando non esservi in guerra , per procacciare straordinarie imprese , al tro caso che questo ; nel quale se un capitano guardi di non trovarsi; ed all’opposto, vedendovi il nemico, lo assalga, dovrà nella più parte delle azioni a lieto fíne riuscire ».

Con tutto che egli avesse sì caldamente parlato e’ non piegò Alcida : ed alcuni altri fuorusciti dell’ Ionia, e quei dei Lesbii che formavano parte della flotta, lo confortavano (dappoiché ei temeva dell’accennato pericolo) ad occupare o qualche città dell’Ionia , o Cuma dell’Eolide ; per avere una terra donde muoversi a ribellare l’Ionia agli Ateniesi. Affermavano ciò potersi sperare , perchè vi arriverebbero col gradimento di tutti : che se e’ privassero gli Ateniesi di questo ramo di entrata che era per loro il più grande, e se vi tenessero stabilmente guarnigione ad osservarli, ne ricaverebbero per sè le spese necessarie. Aggiugnevano poi che pensavano di potere indurre anche Pissutne ad unire con loro le sue armi. Ma Alcida non aderì pure a queste proposte : anzi non essendo stato a tempo a giungere a Mitilene, volgeva sopratlutto

il pensiero a riprendere terra f al più presto possibile, nel Peloponneso.

Pertanto fatto Tela da Embato, rasentava la spiaggia ; e fermatosi a Mionneso de’ Teii scannò la maggior parte de' prigionieri presi durante la navigazione. Approdato che fu ad Efeso gli si fecero incontro i legati dei Samii di Anea, protestando non esser quello onesto modo di liberare la Grecia, mentre egli uccideva gente non contrastante , nè a lui nemica, ma di necessità legata con gli Ateniesi : se non ristesse di ciò fare pochi nemici attrarrebbe nella sua amicizia, e moltissimi degli amici li arebbe nemici. Queste ragioni mossero Alcida, il quale rilasciò tutti quei prigionieri che aveva di Chio , ed altri presi altrove ; essendoché la gente al veder la sua flotta non fuggiva, ma piuttosto le andava incontro credendola ateniese. Infatti non si aveva pure il menomo sospetto che mentre gli Ateniesi erano padroni del mare , navi peloponnesie si attentassero mai di tragittare nell’ Ionia.

Ma Alcida , fino da quando stava sull’ ancora a Claro , essendo stato osservato dalle due navi Paralo e Salaminia che casualmente venivano d’Atene, partì frettolosamente da Efeso , e si diede a fuggire. E temendo di essere inseguito, navigava in alto mare, determinato di non approdare , in quanto per lui stesse , altrove che nel Peloponneso. Erano intanto venuti avvisi dall' Eritrea a Pachete ed agli Ateniesi, e continuamente ne venivano da ogni parte , per cui udivasi esservi gran timore (trovandosi sguernita la Ionia) che i Peloponnesi, correndo le costiere non togliessero ad assaltare le città per farvi saccheggio , quantunque e’ non intendessero di fermarvisi. La Paralo istessa e la Salaminia avendo veduto le navi nemiche a Claro, di per sè stesse riferironlo a Pachete j ed ei tenne loro dietro con gran sollecitudine , e le perseguitò fino all' isola di Latmo. Ma come vide di non le poter

più raggiungere, tornò in dietro ; attribuendo a proprio vantaggio il non averle incontrate in alto, o sorprese in verun luogo, dappoiché non erano elleno state costrette a fermarsi , nè avevano ridotto gli Ateniesi alla necessità di mettersi in istato di difesa insieme e di offesa.

Nel suo ritornò poi radendo la costa andò a porre in Nozio de’Colofonii, ove si erano condotti ad abitare i Colofonii, perchè da Itamane e dai barbari introdotti per una fazione , era stata occupata la cittadella, verso quel tempo che avvenne la seconda invasione dei Peloponnesi nell’Attica. Insorta pertanto nuova dissensione in Nozio fra quelli che ci si erano rifugiati e gli altri stanziati di prima, questi chiesero a Pissutne delle genti ausiliarie di Arcadi e di barbari cui ritenevano dentro il riparo che separava le due fazioni, ove quei Colofonii della cittadella già partigiani de’ Medi entrarono con loro, ed avevano il maneggio della cosa pubblica. Gli altri all’opposto che si erano sottratti a cotesta fazione , trovandosi banditi, invitano Pachete. Ed egli chiamò a colloquio Ippia comandante degli Arcadi che stavano dentro al riparo, protestando lo rimetterebbe sano e salvo dentro al muro, ove non gli aggradissero le sue proposizioni. Usci Ippia a trovar Pachete, ma egli lo tenne prigione, senza per altro gravarlo di ferri : ed improvvisamente dato l’assalto al muro, mentre quei di dentro stavano senza sospetto alcuno, lo espugna; ed uccide gli Arcadi e quanti barbari vi erano. Dipoi, conforme alla fede data , vi ricondusse Ippia , cui appena entrato fa arrestare ed uccidere a furia di dardi, e consegna Nozio ai Colofonii, eccetto quelli che erano stati dalla parte dei Medi. In seguito gli Ateniesi vi spedirono de' caporani per istabilire in Nozio colonia che si reggesse secondo le loro leggi, e costrinsero tutti i Colofonii, in qualunque città si trovassero, a ritornarvi.

Ma Pachete giunto a Mitilene forzò a rendersi Pura ed Ereso. Indi arrestato Saleto lacedemone che stava nascosto in città, lo spedisce ad Atene con quei Mitilenei che aveva depositati a Tenedo, e con qualunque altro gli pareva complice della ribellione. Rimanda pure il maggior numero dell’esercito, e dimorando egli col rimanente acconciava lo stato di Mitilene e di tutta Lesbo in quel modo che più gli pareva.

Gli Ateniesi, arrivati che furono questi prigioni con Saleto , uccisero lui immediatamente, sebbene e’ facesse delle esibizioni ; e tra le altre : che rimuoverebbe i Peloponnesi da Platea tuttora assediata. Su gli altri stavan deliberando ; ma nel caldo dell9 ira risolvettero di uccidere non solo quei che erano presenti, ma tutti quanti i Mitilenei giunti alla pubertà ; e di fare schiavi i fanciulli e le donne ; incaricandoli di tutte le altre circostanze della ribellione , benché non fossero , come gli altri alleati, gravati di servitù: nè moveva poco lo sdegno degli Ateniesi il riflettere che le navi peloponnesie per sostenerli avevano osato di tentare arditamente l’impresa dell’ Ionia. Insomma e’ non credevano in verun modo tal ribellione fatta con leggero consiglio. Laonde spediscono una trireme a Pachete significandogli le prese risoluzioni, e ordinandogli di tosto trucidare i Mitilenei. Ma il giorno appresso tosto se ne pentirono non poco ; e mutato consiglio discorrevano che non era senza nota di crudeltà e mostruosità quel decreto, per cui dannavasi all’estermiuio un’intera nazione più presto che i soli colpevoli. Di che fatti accorti i legati de' Mitilenei che eran presenti, e quegli Ateniesi che si adoperavan per loro, procurarono di indurre i magistrati a riproporre il partito. Ben di leggieri ve li indussero, atteso che non era ad essi nascosto che il più dei cittadini bramavano che da qualcuno fosse la cosa posta nuovamente in considerazione. E convocata subito

radunanza, ciascuno disse il suo parere : ma Cleone figliolo di Cleeneto, la cui sentenza di uccidere i Mitilenei avea vinto il giorno innanzi, cittadino del rimanente il più violento, ed allora reputato presso al popolo dicitore di gran lunga il più. valente, fattosi per la seconda volta innanzi parlò cosi :

« Non esser buono a tenere impero su gli altri lo stato popolare bene altre fiate l’ho io conosciuto; ma non mai come in questo vostro cambiamento d’animo riguardo ai Mitilenei. Nè già io mi maraviglio , attesoché la sicurezza e lealtà con cui usate giornalmente fra voi, ingenera nel vostro animo i medesimi sentimenti in ciò che spetta agli alleati. E quantunque volte o andiate errati perchè sedotti dai loro discorsi, o per compassione rimettiate un punto del vostro rigore ; voi non avvisate di rilasciarvi con vostro pericolo, senza obbligarvi gli alleati : nè considerate che il vostro impero è tirannico, e sovra genti che vi tramano insidie, e che stanno a lor dispetto soggette ; genti che vi obbediscono non pei buoni uffizi che a danno vostro facciate loro , o per benevolenza di animo, ma più presto perchè gli avanzate in potere. Soprattutto però stupisco che nulla debba restar fermo di ciò che è stato risoluto, e che non vogliamo intendere, pin valere una città con leggi peggiori ma invariabili, di una che buone le abbia ma senza vigore ; più giovare l’imperizia unita alla moderanza, che una sfrenata accortezza ; e meglio d’ordinario governare le città i più idioti fra gli uomini a comparazione dei più scienziati. Questi vogliono comparire più sapienti delle leggi e prevalere sulle deliberazioni prese di mano in mano nelle comuni adunanze, quasi che fossero per mancar loro occasioni più importanti da far mostra di loro ingegno ; e cosi per lo più rovinano le repubbliche : gli altri all’ incontro, diffidando dalla propria avvedutezza, si pregiano d’esser men dotti

delle leggi, e inabili a vituperare chi abbia dirittamente parlato : però operando da giudici di equità, e non da nyali, dirizzano frequenti volte le cose a buon termine. Dobbiamo adunque anche noi oratori adoperar così; e senza gonfiarci per bravura di eloquenza, o per gara di accorgimento, guardarci dal dare al popolo consigli che non approviamo noi stessi.

« Io pertanto sono sempre della medesima sentenza , e mi maraviglio di chi rimette in quistione l’affare dei Mitilenei e vi procura indugi, i quali sono piuttosto a vantaggio dell’ ingiuriatole ; dappoiché in questo modo l’offeso perseguita l’offensore con men caldo sdegno ; dove la vendetta quanto più segue dappresso l’ingiuria, movendo da impeto eguale, ne prende in riscatto il più severo castigo. Mi maraviglio inoltre di chiunque sarà per contradirmi , e pretenderà di dichiarare essere di nostra utilità i torti fattici dai Mitilenei, e ridondare a danno degli alleati i nostri vantaggi : bene è chiaro che costui, o affidato alle sue parole , vorrà ingegnarsi di mostrare ad onta mia che una formale risoluzione non è uu decreto, o incitato da guadagno si sforzerà di sedurvi colla speziosità di elaborato discorso. Intanto la Repubblica con questi politici certami dà la palma ad altri, e viene ella stessa in pericolò. Ma la colpa è di voi che guastate di tali gare la forma ; voi che solete sedervi spettatori delle parole e uditori dei falli ; voi che le cose avvenire risguardate come possibili ad accadere per i discorsi de’ bei dicitori ; e quanto alle passate , più fidanza ponete non in ciò che vedesle co’ propri occhi vostri, ma in ciò che udiste per la bocca di coloro che di buon garbo vi rampognano. Bravissimi a lasciarvi gabbare dalla novità d’un discorso, non a seguir quello che sia universalmente ricevuto ; schiavi sempre dello straordinario, e disprezzatori del consueto ; smaniosi ognuno d’esser tenuto valente parlatore, se non a

segno di gareggiar con chi lo sia, almeno, per non parer d’andar dietro al sentimento d un altro, anticipar la lodo a chi sia per dire qualche cosa di ingegnoso ; prontissimi a indovinare la mente di chi parla, ma tardi a prevedere le conseguenze ; gente che cercate uno stato di cose opposto, per cqsì dire, a quello in che viviamo; discernitori mal atti del presente; insomma, schiavi del diletico dell’orecchio ; sembianti a chi segga spettatore di garruli maestruzzi, più presto che a chi deliberi intorno alla salute della patria.

« Da' quali trasandamenti sollecito io di distorvi, protestò essere i Mitilenei rei verso di noi del più atroce misfatto che una sola città commetter possa. C011-ciossiachè io so perdonare a popoli che non potendo patire il vostro impero , o necessitati da’ nemici hanno (atto ribellione: ma gente che padroni di un’isola aiforzata di mura , pei quali non era da temere de’ nemici nostri, salvo che dalla parte del mare, per dove erano ben riparati con l’apparecchio di triremi ; gente che, lasciata nella libertà delle proprie leggi, e da nqi avuta nel primo grado di onoranza, è giunta a tale eccesso, che altro ha ella fatto se non macchinar contro di noi, ed insorgerci contro piuttosto che ribellarsi (perocché la ribellione è propria dei popoli angariati ), e cercar la nostra rovina mettendosi dalla parte de’ nostri capitali nemici ? Cosa invero più stupenda di quello che se, avendo forze bastevoli, ci avessero da sé soli mosso contro le armi. Non hanno servito a loro esempio iiè le sciagure di tutti gli altri popoli , che ribellatisi da noi furono ben sottomessi ; nè la presente loro felicità bastò a svogliarli sì chs e’ non giugnessero a tanta scelleratezza : ma fatti ardici rispetto all’avvenire, e sperate cose maggiori di lor potere e minori dei loro appetiti, hanno intrapreso la guerra, gloriandosi d’aver preposto al dritto la forza, Però, dappoiché parve loro

thè potremmo esser vinti, ci assalirono, sento che gli avessimo in nulla ingiuriali. Tanto è vero che un’ impensata prosperità suol condurre all’ insolenza quelle città su cui ella cada improvvisa ; laddove d’ordinario le felicità che avvengono secondò l’umano discorso sono più stabili delle straordinarie per gli uomini, i quali sanno meglio , per così dire , respingere le disgrazie che conservar la fortuna. Egli faceà certamente di mestieri che anche di prima i Mitilenei non fossero avuti da iioi in maggiore onore che gli altri : cosi e’ non sarebbono giunti a tanto di artoganza ; stante che l' uomo è naturalmente prono per l’ordinario a dispregiar dii l’osserva , e riverir chi tiene il suo grado. Sieno adunque ora purliti condegnamente al loro delitto , nè vogliate attribuir la colpa ai soli fautori dell’oligarchia ed assolvete la plebe ; perocché tutti ci hanno del pari assalito , giacché potevano Ora esser rimessi in fcittà se a noi avessero ricorso, dove stimando più sicuro partito il rischiar co’ pochi, si unirono alla ribellione. Or ponete mente : se imporrete la medesima pena tanto a quei che si ribellino forzati dai nemici, quanto agli altri che ciò facciano di suo capriccio ; chi pensate voi non doversi ribellare col più leggero pretesto, ove riuscendo al suo fine consegua la libertà, e non riuscendo, nulla soffra di strano ? Anzi noi per ciascuna città dotrem mettere a repentaglio le sostanze e le vite nostre : e vincendo, ne avremo una città manomessa, sarem privi dell’entrate, che in seguito ci sarebbono pervenute, e per1 le quali siamo potenti ; e perdendo, aggiugneremo ai presenti nuovi nemici. Così qtìel tempo che ci bisogna per ributtare gli avversari di adesso, dovremo spenderlo nel guerreggiare i nostri alleati.

« Non si vuol dunque dar nuovo appicco ai Mitilenei che, o col l’eloquenza a cui si affidano , o mediante »1 denaro, possano conseguir perdono, quasi che abbiano

umanamente fallito ; perocché non ci hanno offesi involontariamente , ma ad occhi aperti hanno ordite contro noi le loro trame. Or merita sol perdonanza l’involontario fallire : però, siccome già la prima volta, sostengo anche adesso a spada tratta non dover voi mutar d’animo sulle deliberazioni già prese , nè andare errati per tre cose perniciosissime all’imperio, compassione, allettamento di parole , lenità. La compassione vuole usarsi verso chi ti rassomigli col renderla, non verso chi si sia messo nella necessità d’ esserti eternamente nemico : quanto all’ allettamento delle parole, avranno i bei dicitori altre occasioni non men belle da sperimentarvisi, e non questa , ove la città per picciol diletto avrebbe a patir grave danno, ed essi trovarsi bene dei loro discorsi. Lenità, in ultimo, vuole aversi con quelli che aH’avvenire sieno per esserti benevoli, non con quelli che vorranno esser sempre gli stessi, nè punto rallenteranno di loro nimistà. Però recando in una le molte parole , dico che seguendo il mio consiglio, adoprerete giustamente coi Mitilenei ed utilmente per voi ; operando altramente, non vi amicherete costoro, ma condannerete voi stessi. Essendo che, se a dritto ribellaronsi, voi gli avrete dominati ingiustamente : se poi, quantunque ingiustamente, pretendete di dominarli, forza è pure che puniate costoro anche contro ogni dritto, perchè l’utilità vostra il richiede ; o che rinunziate all’impero e meniate, immuni cosi dai pericoli, la vita del galantuomo. Vi muova pertanto l' onor vostro a render loro il contraccambio, per non sembrare (dappoiché avete scampato il pericolo) meno sensitivi di essi che ci insidiarono, pensando del modo onde arebbono trattato noi se vincevano, tanto più che siamo stati preoccupati dalle Toro ingiurie. Or coloro che senza giusto motivo oltraggiano altrui , vi insistono sino all’ultimo di lui eccidio, riguardando al pericolo che loro si prepira da un nemico superstite:
infatti, chi non ha messo altrui nella necessità di offender^ lo, se egli scampa , diviene contro l’offensore nemico più feroce di chi abbia eguali titoli di nimicizia. Non vogliate adunque tradir voi stessi ; ma portandovi cól pensiero più dappresso che sia possibile al momento dell’oltraggio , e considerando che avreste tolto innanzi tutto di soggiogarli , rendete ora ad essi la pariglia senza punto ammollirvi del loro stato presente ; nè dimenticate la sciagura clientestè pendea su i capi vostri Puniteli siccome meritano ; ponete a chiaro esempio dpgli altri alleati, che chiunque si ribelli sarà punito di morte. Se ciò essi intendano, voi vi troverete men di frequente nel caso di trascurare i nemici, per combattere gli stessi vostri alleati ».