History of the Peloponnesian War

Thucydides

Thucydides. Della storia di Tucidide volgarizzata libri otto. Anonymous translator. Florence: Tipografia Galileiana, 1835.

« Ed invero per un popolo d’altronde florido, al cui arbitrio fosse rilasciata la Scelta, sarebbe stata gran follia prendere il partito di guerra : ma ove fosse inevitabile, o cedendo divenir subito schiavi altrui, o tentando la fortuna della guerra guadagnar la vittoria , dii schiva il pericolo è più vituperevole di chi lo sostenne. Ed io per me sono sempre lo stesso, nè mi rimuovo t voi siete i volubili , ai quali poiché non ancor danneggiati venne fatto di seguire il mio consiglio, oia condotti a mal termine ve ne pentite a segno, che per la imbecillità dell'animo vostro non sembra più giusto il mio parlare : e ciò appunto perchè quel che affligge si fa già sentire a ciascuno, laddove è ancor lontana da tutti la manifestazione dell’ utilità del mio consiglio. Nel rovesciamento grande avvenuto ad un tratto, l’animo vostro non vale a durare nelle prese risoluzioni : e bene io so che un accidente repentino, inaspettato ed affatto straordinario avvilisce anche un animo generoso , come oltre a molti altri motivi è accaduto a voi, soprattutto pel morbo che ci affligge. Nondimeno però abitatori di città grande, ed educati coi costumi che le convengono , dovete esser pronti a sostenere le più grandi calamità , e a non oscurare il decoro di quella : poiché il pubblico si fa dritto di rimproverare chi per ignavia si dilunga dalla reputazione che gode, e di aborrire chi temerario ambisce quella che non è fatta per lui.

Laonde mettendo a parte il dolore dei privati interessi, intendete alla pubblica salvezza.

et Rispetto poi al dubbio che le fatiche della guerra non abbiano ad esser grandi senza però facilitarvi più la vittoria, devono certamente bastarvi quelle ragioni con cui spesse fiate vi ho dimostrato non esser giusto il dubbio vostro. Voglio ora chiarirvi di quest’ altro vantaggio , il quale tutto che si trovi della vastità del vostro impero, non è stato mai avvertito da voi, nè da me nelle precedenti arringhe : nè ora io lo produrrei, perchè avente faccia di millanteria , se non vi vedessi sbigottiti fuori di ogni ragione. Voi credete di comandare solo ai confederati , ed io vi dichiaro che due essendo le parti destinate all’ uso umano, cioè terra e mare, d’una siete interamente padroni , non solo in quella misura che or ne godete , ma più oltre eziandio, cjualor vogliate : quanto all’altra, non vi è alcuno che, con le forze marittime onde or siete fomiti, impedir vi possa di correre il mare, foss’ e^rli il re stesso « od altra nazione che ora si conosca: cosicché questa potenza non istà punto in comparazione del godimento delle ville e delle campagne, la cui perdita voi stimate un gran cliè. Ed invece di adirarvi, ragion vuole che non vi curiate di quelle, risguardaudole, al paragone di (juesta potenza , non altramente che un’ acconciatura graziosa della chioma, od altra frivolezza che per ghiribizzo di lusso si usi dai ricchi \ e clic intendiate bene che ove ci manteniamo la libertà, sostenendola vigorosamente, dessa agevolmente ci ricupererà coteste cose ; laddove col soggettarsi ad altri sogliono perdersi anche i beni tutti, che con quella potenza si erano acquistati. Sono questi due oggetti nei quali noi dobbiamo mostrarci da meno dei padri nostri, che colle loro fatiche e non con titolo d’ eredità possederono quest’ impero, e

che di più lo seppero conservare e lasciare a noi : ora , è più vergogna lasciarsi torre quel che uno ha, che andar fallito nel tentar degli acquisti. Corriamo dunque ad affrontare il nemico, non solo con animo altiero, ma eziandio con generoso disprezzo. Conciossiachè il vantamento può allignare anche nell' animo di un codardo per la felicità della sua imperìzia ; ma il generoso disprezzo è proprio solo di chi pel savio suo accorgimento confida di superare il nemico ; pregio che è tutto nostro. Cotesto savid accorgimento col generoso disprezzo assicura viemaggiormente l' ardire anche in fortuna eguale : perchè si fonda non su la speranza , il cui potere è incerto, ma sul consiglio ; il quale, derivando da forze che si posseggono , più sicuramente antivede.

« A voi dunque è richiesto che senza fiiggtr le fatiche, o cooperiate all' onoranza onde pel suo impero è fregiata la Repubblica (lo che è pur decoro di ognuno di voi ), ovvero che nemmeno pretendiate a siffatta onoranza. Nè dovete credere d’avere a combattere soltanto per non cambiare la libertà in servaggio ; ma di più per non perder l’impero, e per schifare il pericolo degli odii contratti quando lo tenevate. Nè ora potete altramente receder da quello ; sebbene vi sia chi preso da questo timore nel caso presente, fa consistere la virtù di buon cittadino in un inerte riposo. L' impero che tenete è oramai come un’ assoluta monarchia; e per quanto paia ingiusto l’averlo preso, è pericoloso il dimetterlo. Or gente di tal fatta , se riuscisse ad insinuare negli altri i propri sentimenti, e se avesse sopra di sè T intero governo della Repubblica , non ad altro varrebbe che a perderla prontamente : poiché tranquillità non dura se non congiunta con attività ; nè conviensi a città dominante, ma a suddita , per vivere in sicura schiavitù.

« Per lo che non vi lasciate sedurre da tal gente, nè vogliate adirarvi meco, col qual coiiveuiste doversi

far guerra , poniamo che i nemici colle invasioni abbiano fatto quello che era da presumere , non volendo voi ricever legge da loro. La peste, sciagura tra tutte la sola superiore alla nostra espettazione, e però da noi non prevista , ha concitato più che.tutt’altro , ben mi accorgo, gli animi vostri contro di me : ma a torto , seppure non vogliate anche attribuirmi ogni buona ventura che inopinatamente vi sopravvenga. Ora quel che viene dai numi vuoisi sopportare di necessità ; quel che viene dai nemici con coraggio : e posciachè queste erano di prima le costumanze della nostra Repubblica, cosi non dovete ora cessarle. Non vi è ignoto aver ella in tutto il mondo grandissima rinomanza , perchè non arrendevole alle sciagure; avere in guerra speso moltissimi cittadini c travagli ; essersi procacciata sino al dì d’oggi potenza, la cui memoria ( benché adesso, come tutto naturalmente infievolisce, talvolta ci rilassiamo) rimarrà eterna tra posteri : aver noi, Greci come siamo, dominato gran parte dei Greci, e in guerre sanguinosissime fatto fronte tanto a tutti i nostri nemici insieme , quanto a ciascuno di loro alla spartita ; ed abitare città doviziosissima e considerevolissima. Biasimi pur l’iuerte a sua posta glorie siffatte ; ma chi aspira a qualche laudevole impresa dovrà emularle ; e chi non valga ad aggiugnerle, ingelosirne. E quantunque Tessere odiato e grave nel tempo del comando avvenga a tutti quelli ambiscono di comandare agli altri ; nondimeno chi si piglia cotesta invidia per cose somme , la pensa bene ; perché T odio non regge lungamente ; e lo splendore presente e la gloria avvenire rimane eterna. Voi adunque imparate a conoscere quel che vi sarà decoroso per l' avvenire, e non vergognoso adesso ; e fin d’ ora brigatevi animosamente a conseguir l' uno e l' altro. Laonde non mandate araldo ai Lacedemoni, nè vi mostrate oppressi dai presenti disastri; perciocché coloro che uelle sciagure si dolgono
il men possibile nell' animo , e a tutta possa vi resistono col fatto, questi, sia di città , sia di particolari, sono i più compiutamente valorósi ».

Con tal ragionamento cercava Pericle di rimuovere da sè la collera degli Ateniesi, e divertirne la mente dalle presenti calamità : essi quanto alle cose importanti al pubblico concorrevano nella sentenza di lui ; non più spedivano legati ai Lacedemoni, e con più ardore inchinavano alla guerra, benché afflitti in privato pei mali che soffrivano. Querelavansi i poveri in vedendosi spogliati anche di quel poco avevano al cominciamento della guerra ; i ricchi avendo perdute le belle possessioni di campagna ed i preziosi mobili, e soprattutto perchè avevano guerra in cambio di pace. Nondimeno lo sdegno universale contro Pericle non si calmò, sinché non lo ebbero condannato ad una multa pecuniaria : ma poco dopo, al solito del popolo , Io elessero nuovamente generale , ed a lui commisero gli affari della Repubblica. Erano già divenuti più insen^ sibili pei privati disastri, e d’altronde avevano di lui gran concetto pei bisogni dello stato : poiché mentre in pace ebbe il governo della Repubblica, la reggeva con moderanza, la conservava sicura, e sotto lui ella pervenne all’auge della potenza : e quando poi insorse la guerra , fu palese anche in questa come egli ne avesse preconosciute le forze. Sopravvisse trenta mesi, e dopo la sua morte fu anche meglio riconosciuto il suo antivedimento in fatto di guerra. Ed invero egli prediceva vittoria, solo che standosi quieti attendessero alla marina , senza mettere a repentaglio la città stessa col cercare d’ampliarne il dominio durante la guerra ; laddove essi fecer tutto il contrario non solamente in questo , ma anche nelle cose che parevano impertinenti alla guerra ; perchè guidati ognuno da privata ambizione e dal proprio guadagno, regolarono malamente per aè e per gli alleati le faccende politiche. Se

alcuna cosa a vea buon successo, l’onore ed il vantaggio era tutto pei privati; se andava in sinistro, ne pativa la Repubblica rispetto alla guerra che sosteneva. Ciò procedeva da questo, che , Pericle potente per dignità e per senno e manifestamente incorruttibile d’animo , conteneva con liberali modi la moltitudine, guidandola più presta che esser guidato da lei ; perciocché non avendo acquistato autorità con pratiche indecenti, non era mai che parlasse per andarle a compiacenza; anzi godeva egli tal reputazione da contradirla animosamente. Di che se vedesse i cittadini imbaldanzire intempestivamente per checché fosse, sapeva colla parola attutarne l’orgoglio e ridurli a temenza ; se per contrario inviliti senza ragione, rilevarli al coraggio : cosicché il governo era in apparenza democratico , ma in sostanza reggimento di un personaggio primario. Ma i posteriori a lui, essendo più alla pari tra loro , ed aspirando ciascuno al primato , si volsero a secondare il popolo , e a rallentare il governo dello stato. Questi disordini (com’era da aspettarsi in città grande e dominante) oltre molti altri errori, partorirono anche quello della spedizione navale in Sicilia ; il quale non vuoisi tanto attribuire al difetto di cognizione delle forze dei popoli contro cui s\ andava, quanto a colpa dei magistrati che tale spe dizione ordinarono ; i quali non che brigarsi di conoscere ciò che potesse esser utile alla gente che vi andava f per le loro gare di primeggiare nel popolo, non solo infievolirono le operazioni di quell’armata, ma ancora causarono che lo stato della Repubblica, diviso in varie fazioni, andasse per la prima voiUi in iscompiglio. Pure nonostante la rotta avuta in Sicilia (ove oltre agli altri apparecchi di guerra, perderono la maggior parte della flotta) ; nonostante le parti che già regnavano in città , gli Ateniesi resisterono tre anni ai I^acedemoni loro primi nemici, a quei di Sicilia che si unirono con essi, di più agli alleati che si erano
per la maggior parte ribellati, e finalmente a Ciro figliolo del re di Persia, venuto in rinforzo dei Peloponnesi, ai quali sommiuistrava il denaro per la flotta. Nè si diedero per vinti sinché inviluppati tra loro nelle private contese, non ebbero avuto l’ultimo tracollo. Tanto allora ricrebbe a favore di Pericle l’opinione d’aver egli preconosciuto i modi per cui la città d’Atene, senza difficoltà alcuna, avrebbe in questa guerra riportato vittoria su gli stessi Peloponnesi.

In questa medesima estate i Lacedemoni in numero di mille soldati di grave armatura, sotto la condotta d! Cnemo spartano, andarono con centoventi navi, unitamente agli alleati, contro l’isola di Zacinto, la quale giace dirimpetto ad Elide , i cui abitanti sono coloni degli Achei del Peloponneso , ma alleati degli Ateniesi. Vi presero terra, e ne saccheggiarono gran parte ; ma come gli Zacintii non si arrendevano , ritornarono a casa.

Sullo scorcio della medesima estate Aristeo corintio, ed Aneristo e Nicolao e Pratodemo ambasciatori degli Spartani, e Timagora di Tegea, e da semplice privato Poli argivo, nella loro gita in Asia per presentarsi al re (affine di persuaderlo in qualche modo a somministrar denaro, e unire con loro le sue armi ) giungono in Tracia da Sitalce figliolo di Tereo. Era loro intendimento di indurlo, se fosse possibile, a ritirarsi dall’alleanza degli Ateniesi, ed andare con le sue genti a Potidea assediata dall’esercito degli Ateniesi stessi ; e cosi farlo desistere dal portare ad essi soccorso. Volevano anche passare per le sue terre all’altra parte dell’Ellesponto da Famace figlio di Famabazzo (per dove erano indirizzati) il quale gli doveva accompagnare dal re. Ma Learco figliolo di Callimaco, ed Ameniade di Filemone, ambasciatori degli Ateniesi , che casualmente erano presso Sitalce, persuadono il Tiglio di lui Sadoco, ascritto già alla cittadinanza d’Atene,

a metterli nelle loro mani, acciò non potessero, tragit tando al re , recar danno ad Atene medesima che era in parte anche sua città. Egli vi consentì ; e mentre si avviavano per la Tracia verso la nave su cui dovevano tragittare l'Ellesponto, prima che vi montassero gli fa arrestare da gente spedita insieme con Lea reo ed Ameniade , la quale aveva ordine di consegnarli : ed avuti che li ebbero li condussero in Atene. Al loro arrivo, gli Ateniesi, per paura che Aristeo, stato anche prima di questi fatti manifestamente l' autore delle cose accadute a Potidea ed in Tracia , non iscappasse e tornasse a far loro danni più grandi, gli ammazzarono tutti in quell’ istesso giorno senza processo , quantunque e’ domandassero di essere uditi, e gli gettarono nei borri; credendo aver dritto di vendicarsi, cosi per render la pariglia ai Lacedemoni, che avevano ucciso e gettato nei borri i mercatanti degli Ateniesi e de’ loro alleati, i quali avevano presi sulle coste del Peloponneso. Ed invero gli Spartani sul principio della guerra trucidavano come nemici , quanti per mare arrestavano collegati con gli x\teniesi, ed anche neutrali.

Circa il medesimo tempo , sul cader dell'estate, gli Ambracioti propio, e con essi molti barbari cui avevano sommossi, marciarono contro Argo amfilochio e contro il restante dell’Amfilochia. La loro inimicizia contro gli Argivi ebbe origine di qui. Dopo i fatti troiani Amfiloco figliolo di Auifiarao tornato a casa, non piacendogli lo stato delle cose d’Argo , avea fondato Argo amfilochio ed il rimanente dell’Amfilochia nel seno ambracico, chiamandola Argo, col medesimo nome della sua patria. Fu questa la città principale dell’Amfilochia , ed era abitata dalle famiglie più potenti. Ma questi abitanti molte generazioni dopo stretti da calamità invitarono a far corpo di cittadinanza con loro gli Ambracioti che erano a confine

dell’Amfilochia ; ed allora per la prima volta furono dagli Ambracioti, che si erano riuniti di abitazione con loro, avvezzati al greco linguaggio che ora usano ; mentre il resto degli Amiilochii sono barbari. Questi Ambracioti dunque in progresso di tempo cacciano gli Argivi, e ritengono per sè la città : dopo questa espulsione gli Amfilochii si danno agli Acamani, ed entrambi chiamarono in soccorso gli Ateniesi, i quali spedirono loro Formione ammiraglio con trenta navi. all' arrivo di Formione, essendo stata presa d’assalto Argo e gli Ambracioti messi in servitù , vi passarono ad abitare in comune gli Amfilochii e gli Acamani; e fu allora per la prima volta stretta lega tra gli Ateniesi e gli Acarnani. Gli Ambracioti a cagione della schiavitù di quella lor gente avevano da prima preso in odio gli Argivi; e finalmente colgono Vopportunità di guerra per far questa spedizione essi stessi insieme co5 Caoni e pochi altri barbari di quelle circostanze. Andati adunque contro Argo si impadronirono della campagna : ma poiché , dato l'assalto alla città , non venne lor faUo di espugnarla, ritornarono a casa, e popolo per popolo si separarono. Tali sono i fatti accaduti in quest’estate.

All’entrare dell’ inverno gli Ateniesi spedirono venti navi intorno al Peloponneso con Formione ammiraglio , il quale, facendo massa in Naupatto , stava a riguardo che nessuna nave entrasse od uscisse da Corinto e dal seno criseo. Spedirono medesimamente altre sei navi nella Caria e nella Licia sotto la condotta di Melesandro , per raccoglier denaro da quei luoghi, e non permettere che i pirati dei Peloponnesi uscendo da quelle parti infestassero le barche da carico, che venivano da Faselideeda Fenice, e dalla terraferma di quei dintorni. Melesandro avanzatosi nella Licia colle genti ateniesi ed alleale che erano sulle navi, vinto in battaglia, e perduta una parte dell' esercito, vi rimase ucciso.

nell' istesso inverno i Potideesi non potendo durare nell’assedio, da che le invasioni dei Peloponncsi nell’Attica non valevano punto meglio a distrarre da loro gli Ateniesi, ed era fallito il frumento, e sopravvenuti molti e diversi danni circa le altre grasce, cosicché alcuni si mangiavano tra loro, allora alla perfine trattano della dedizione con Senofonte figliolo di Euripide, con Estiodoro di Aristoclide e Fanomaco di Callimaco generali degli Ateniesi, destinati ad assediarli, i quali vi si accomodarono , tra perchè vedevano gl’ incomodi di lor gente in quel luogo esposto ai rigori dell’ inverno, e perchè consideravano che l' assedio costava già alla Repubblica duemila talenti. Capitolarono adunque a condizione d’uscire essi, i figlioli, le mogli e la guarnigione ausiliaria con un sol vestito, ma le donne con due , portando pur seco una determinata somma di denaro pei bisogni del viaggio : uscirono infatti interposta la fede pubblica , e si rifugiarono nella Calcidia, e dove ognuno potè. Ma in Atene, ove si credeva che avrebber potuto prender Potidea a discrezione , incolpavano i comandanti della capitolazione di quella città fatta senza loro saputa, e vi spedirono a ripopolarla colonia propio di Ateniesi. Tali furono gli avvenimenti di quest’ inverno, e finiva il secondo anno di questa guerra che ha descritta Tucidide.

Venuta l’estate i Peloponnesi con gli alleati, piuttostochè assaltar l’Attica , m arciarono contro Potidea, guidati da Archidamo figliolo di Zeusidamo, re dei Lacedemoni , il quale , fermatovi il campo, si disponeva a dare il guasto alla campagna. Ma i Plateesi mandarongli tostamente ambasciatori che parlarono cosi : « Voi, Archidamo e Lacedemoni, portando le armi sul territorio dei Plateesi non operate giustamente, nè come richiede il decoro vostro e quello dei padri dai quali discendete. Imperocché Pausania lacedemone figlio di Cleombroto , liberata la Grecia

dal giogo dei Medi insieme con quei Greci che vollero con esso lui affrontare il pencolo della battaglia accaduta qui tra noi, dopo aver sacrificato nel foro di Platea vittime a Giove vindice della libertà , convocati tutti gli alleati , ritornò i Plateesi al possedimento della propria campagna e città per governarsi colle loro leggi ; assicurandoli che nessuno mai senza giusta cagione porterebbe loro la guerra, nè gli ridurrebbe in servitù : altrimenti gli allieti presenti starebbero, quanto potessero , a loro difesa. Tal ricompensa ottenemmo dai padri vostri pel valore e per l’intrepidezza da noi mostrata in quei pericoli. Ma voi adoprate tutto l’opposto ; perocché d’accordo coi Tebani nostri capitali nemici venite per metterci in servitù. Or bene, a nome dei vostri patrii Dei, e di quelli del nostro suolo, testimoni allora dei giuramenti, vi intimiamo di non danneggiare le terre dei Plateesi e non violare la fede : ma anzi permetter loro di vivere nella propria independenza come a buon dritto concesse ad essi Pausania ».

Dopo sì grave discorso dei Plateesi, Archidamo di rimando rispose : « Giuste sono le vostre parole, o Plateesi , se pure ad esse rispondano i fatti. Godete pure, come vi concesse Pausania , la vostra independenza ; ma concorrete ora a proteggere la libertà di tutti gli altri, i quali ebbero comuni con voi i pericoli ed i giuramenti, ed i quali ora gemono sotto gli Ateniesi. I a libertà di costoro e degli altri è l’oggetto dei nostri apparecchi e della guerra che abbiamo intrapresa ; nella quale principalmente concorrendo voi terrete il fermo nei giuramenti : se ciò non vi piaccia, almeno, siccome già innanzi vi proponemmo , state tranquilli e neutrali contenti di godere il vostro, ed accogliete come amiche le due parti, senza però mescolarvi nella guerra nè per l’ima nè per l’altra : di questo noi ci tenghiamo appagati ». Così parlò Archidamo. Gli ambasciatori dei Plateesi, sentito questo discorso, rientrarono in

città, comunicarono al popolo le proposizioni di lui, e recarono per risposta « non potere eseguire le sue richieste senza il consenso degli Ateniesi presso i quali erano i figlioli e le mogli loro ; temere per tutta intera la citta , poiché, dopo la ritirata dei Peloponnesi, o verrebbero gli Ateniesi e impedirebbero loro di mantener la parola ; o i Tebani, col pretesto di esser compresi negli articoli giurati per cui dovea darsi ricetto alle due parti, tenterebbero di occupar nuovamente la città stessa ». Ma Archidamo per incoraggiarli rispose a queste difficoltà : « Ebbene ; consegnate a noi Lacedemoni la città e le case, dichiarate i confini del territorio, annoverate i vostri alberi e tutto ciò che può annoverarsi. Voi poi andatevene ove meglio credete sin che duri la guerra, passata la quale vi restituiremo tutto. Frattanto noi riterremo in deposito e coltiveremo il terreno, pagandovi un censo che bastar possa al vostro mantenimento ».

Sentito ciò quei di Platea rientrarono in città, e fatta deliberazione col popolo risposero ad Archidamo : volevano prima comunicare agli Ateniesi tali richieste, cui non tarderebbero ad eseguire dopo il loro consenso ; e lo pregavano a far tregua in questo mezzo, e a non dare il guasto alla campagna. Pattuì egli tregua per tanti giorni quanti ce ne volevano per far ritorno da Atene, e non guastava le terre. Arrivati gli ambasciatori di Platea presso gli Ateniesi, tennero consiglio con loro e ritornarono con questa risposta alla città : « Cittadini di Platea, gli Ateniesi , da che siamo loro alleati, protestano di non aver mai in verun caso permesso che alcuno ci ingiuriasse, nè ora il permetteranno, ma ci aiuteranno a tutta possa : e pei giuramenti dei padri nostri ci ordinano di non fare rinnovazione di sorta veruna riguardo alla confederazione ».

Riferite queste cose per gli ambasciatori , i Plateesi risolvettero di non lasciare gli Ateniesi ; tollerare, se

bisognasse , di vedersi guastata anche la campagna ; soffrire cj limito potesse accadere ; non lasciare più uscire veruno della città, e di sulle mura rispondere : esser per loro impossibile di eseguire le richieste dei Lacedemoni. Il re Archidamo, udita la risposta , cominciò tostamente a prendere in testimonio gli Dei e gli Eroi tutelari del luogo, cosi sciamando : « Voi, o Dei ed Eroi tutti, che proteggete il suolo di Platea, siate pienamente testimoni, come essendo essi stati i primi a mancare al giuramento della lega, noi non siamo in principio venuti ingiustamente contro questa terra , in cui i padri nostri, offrendo voti a voi, vinsero i Medi, e la quale rendeste propizia ai Greci per il combattimento : nè ora è ingiusto il nostro procedere se veniamo ai fatti ; perocché, richiesti costoro più volte da noi di oneste condizioni, non otteniamo nulla. Concedete adunque che dell' ingiustizia sia punito chi fu il primo a commetterla, e che ne prendano vendetta coloro che a buon dritto ricorrono all’armi ».

Fatte queste preghiere agl’ iddìi disponeva l’esercito in istato di guerra : e primieramente con gli alberi che fece tagliare cinse di palizzata la città , perchè nissuno uscisse : quindi sotto le mura della medesima alzavano un bastione, confidando di averla presto a prendere, per esser tanta gente impiegata in quel lavoro. E per ogni buon riguardo, affinchè la terra del bastione ammottando non si slargasse di troppo, col legname tagliato dal Citerone alzavano su’ due fianchi palancati in cambio di muraglie, tessuti a guisa di graticcio, portandovi legname , sassi, terra e tutto ciò che gettato dentro potesse render compiuta l’opera. Travagliavano al bastione incessantemente settanta giorni ed altrettante notti, spartendosi il lavoro a riprese , talché mentre gli uni portavano i materiali, gli altri prendessero sonno e cibo. Quei Lacedemoni che avevano il comando della gente forestiera di ciascuna città presedevano

tutti insieme al lavoro, e ne sollecitavano acremente l’esecuzione. Di che i Plateesi, vedendo crescere il bastione , congegnarono del legname a guisa di muraglia, e lo posero sovra le loro mura a rìmpetto del bastioue che si costruiva, e nello spazio tra legno e legno muravano dei mattoni tratti dalle vicine case che demolivano. Erano i legnami concatenati coi mattoni, perchè non rimanesse debole il crescente edilìzio, che era coperto da cuoia e da pelli, a fine che i lavoranti ed i legni non fossero offesi dagli strali infuocati, ma anzi rimanessero al sicuro. L’altezza del muro aumentava grandemente , ed il bastioue che sorgeva a rincontro non cresceva più lento : il perchè i Plateesi trovarono l’astuzia di traforare le mura nei siti ove il bastione era a contatto per trasportarne la terra dentro la città.

Se ne avvidero i Peloponnesi e rinvoltavano della mota in graticci di canna per buttarla nelle crepature del bastioue, la quale, non scorrendo come la terra secca , non si potrebbe sottrarre. I Plateesi impediti per questa via cessarono da ciò, e si volsero a fare dalla parte di città un cunlculo, che, conghietturata la distanza, arrivasse fin sotto il bastione ; e così da capo sottraevano furtivamente la mota. La cosa restò per un pezzo nascosta a quei di fuora ; talché, quanto più buttavano mota tanto meno il bastione cresceva, perchè di sotto era tratto al dichino , ed avvallava contiuovamente nel vuoto che si faceva. Contuttociò i Plateesi temendo, pochi come erano, di non poter pure resistere con questo stratagemma incontro alla moltitudine dei nemici, immaginarono quest’altra cosa. Cessarono di travagliare al gran muro di faccia al bastione ; e su i due estremi di quello, cominciando dal punto ove rimanevano più basse le mura , attaccarono un muro lunato che guardava verso l’interno della città ; acciocché, se fosse espugnato il muro grande %

questo facesse fronte, ed i nemici fossero costretti di ergere anche contro questo un nuovo bastione ; cosicché il progredire in dentro costasse loro doppia fatica, e trovassersi più vigorosamente infestati in giro. I Peloponnesi intanto che alzavano il bastione accostavano alla città le macchine ; una delle quali spinta contro quel gran fabbricato di faccia al bastione, ne crollò gran parte, di che impaurirono i Plateesi : altre poi urtando contro varii luoghi delle mura, i Plateesi vi gettano sopra lacci scorsoi per avvilupparle, e romperne il colpo. Avevamo ancora attaccato per le due estremità grosse travi con lunghe catene di ferro; e con due antenne sulle mura, che sporgendo in fuori servivano di leva, le tiravano su trasversalmente ; e dovunque fosse per urlar la macchina nemica, allentando essi e lasciando andare di mano le catene, scendeva impetuosamente la trave, e scapezzava il rostro della macchina.

D’allora in poi vedendo i Peloponnesi essere inutili le macchine, ed alzarsi un contrammuro a rincontro del bastione, ebbero per d’impossibile riusc'mento l’espugnazione della città, atteso le difficoltà presenti, e si allestivano a cingerla di muro, giacché il circuito non era grande. Vollero pevò prima tentare, se levandosi il vento, potessero incendiarla, poiché immaginavano ogni maniera di prenderla senza la spesa di un assedio. Portavano adunque de ile fasulla di legne, e di sul bastione incominciarono dal gettarle nel vano di mezzo tra le mura e il bastione stesso , vano che coll' opra di tante mani fu presto ripieno. Corttinovarono poi a gettar legne dentro la città , fino alla distanza che potevano arrivare dall'alto ; poscia con fuoco, zolfo, pece che vi buttarono sopra, arsero le legne; e tale fu l’incendio che nUsuno mai sino allora ne aveva veduto uno simile suscitato a bella posta : perocché è noto che su i monti gli alberi

delle selve , arruotati fra loro per i venti, hanno da per sé suscitato fuoco e fiamma. Grande fu quest’ incendio , e pochissimo mancò che i Plateesi, campati dagli altri pericoli, non ne restassero morti; avvegnaché dentro la città non era possibile avvicinarsi per lungo tratto ; e se si fosse aggiunto vento favorevole , come confidavano i ne^ mici, non arebbono potuto scamparla. Ora poi si racconta che cadde copiosa pioggia dal cielo, la quale spense l’incendio, e cosi cessò il pericolo.

I Peloponnesi, fallita anche questa prova, lasciata a Platea porzione dell’ esercito, licenziarono il resto , ed assegnato particolarmente il suo luogo ai soldati di ciascuna città , cingevano Potidea di muraglia , dalla parte interna ed esterna della quale rimaneva lo scavo fatto per trarne i mattoni. Verso il sorger d’arturo compiuto interamente il lavoro, lasciaronvi presidio per la metà del muro (guardandosi l’altra metà per iBeozii)e sì ritirarono coir esercito che si dissolvè , ritornando ciascuno alla propria città. I Plateesi poi che avevano di prima mandato ad Atene i fanciulli e le donne, i più vecchi e la turba inutile , sostenevano l' assedio rimasti soltanto quattrocento, con ottanta Ateniesi e cento dieci donne panicocole. Cosi pochi erano in tutti quando si ridussero in istato d’ assedio, nè alcun altro servo o libero era dentro le mura. Tale era lo stato dell’assedio di Potidea.

Questa estate medesima, essendo già maturo il grano, mentre i Lacedemoni erano ad oste contro Platea, gli Ateniesi con due mila dei loro di grave armatura c dugento cavalieri, portarono le armi contro i Calcidesi della Tracia e contro i Bottiesi, sotto il comando di Senofonte figliolo d'Euripide con due colleghi. Arrivati sotto Spartolo città della Bottia diedero il guasto al grano, e credevano , per le pratiche che tenevano con alcuni cittadini,

che la città si renderebbe. Ma qnei della fazione contraria avevano già spedito alcuni chiedendo soccorso ad Olinto , donde erano venuti soldati di grave armatura ed altra gente per guarnigione. Questa fece una sortita da Spartolo; e gli Ateniesi dovettero ordinarsi in battaglia propio sotto la città. La soldatesca grave dei Calcidesi con alcuni ausiliarii resta vinta dagli Ateniesi, e si ritira in Spartolo : ma la cavalleria e la truppa leggera, sostenuta anche da alcuni pochi armati di rotella venuti dal paese detto Crasi, superò la cavalleria e la truppa leggera degli Ateniesi. Era appena finita la battaglia , quand’ecco sopraggiugnere in rinforzo da Olinto altri armati di rotella ; cui tosto che le genti di Spartolo ebber veduti, preso coraggio, non solo per questa aggiunta di soldatesca, ma anche perchè non avevano avuta parte alla precedente disfatta, si unirono con la cavalleria calcidica e con cotesto rinforzo, e nuovamente investono gli Ateniesi, che si ritirano presso due squadre da loro lasciate vicino alle bagaglie. Quando gli Ateniesi venivano innanzi, essi cedevano ; ma quando e’ si ritiravano, gl' incalzavano e li saettavano. La cavalleria calcidica, accorrendo ovunque ne vedesse il bisogno, si avventava sul nemico , e divenuta lo spavento principale degli Ateniesi gli mise in fuga e gli rincorse per buon tratto. Gli Ateniesi si ricovrano in Potidea, e riavuti poi i cadaveri con salvocondotto, tornano ad Atene coll’avanzo dell’esercito. Morirono in questo fatto quattrocentotrenta Ateniesi con tutti i comandanti. I Calcidesi ed i Bottiesi ersero il trofeo, e ripresi i cadaveri dei loro si separarono per tornare ciascuno alla sua città.

Non molto dopo, nella medesima estate , gli Amhracioti ed i Caoni desiderosi di soggiogare tutta l’Acarnania e staccarla dagli Ateniesi, confortano i Lacedemoni ad allestire una flotta raccolta da’ paesi alleati, e a spedire mille soldati di grave armatura neU’Acamania. Per questo

modo , dicevano, concorrendo con loro ad assaltarla per mare e per terra ad un tempo stesso , e non potendo gli Acarnani di sulle coste unirsi a soccorso degli altri, vincerebbero facilmente l’Acamnnia, e s' impadronirebbero anche di Zacinto e di Cefallene : cosi gli Ateniesi non potrebbero con tanta sicurezza correr colle navi attorno- al Peloponneso, e di più vi sarebbe speranza di prendere? Naupatto. Udirono le loro richieste i Lacedemoni, e tosto su poche navi spediscono la soldatesca grave con Cnemo che era tuttora ammiraglio. Mandavano altresì avviso in ¿nro a tutti gli alleati di trovarsi al più presto possibile a Leucqde con quelle navi che avessero in ordine. I Corintli sovra tutti erano in quest’impresa solleciti per gli Ambracioti, perché loro coloni. La ilotta di Corinto, di Sidone e degli altri luoghi di quei dintorni si andava allestendo, intanto che quella di Lcucadc, di Anattorio e di Ambraeia gli aspettava a Lcucadc, ove ella era di prima arrivata. Ma Cnemo co’ suoi mille di grave armatura traversato il mare, senza ne avesse seniore Formionc che comandava le venti navi attiche di presidio sulle coste di Naupatto, ordinava immediatamente una spedizione per terra. Erano sotto i suoi ordini (oltre mille Peloponnesi co’quali era venuto) gli Ambracioti, i Leucadii, gli Anattorii tra i Greci : tra i barbari, mille Caoni gente senza re , guidati con annual comando da Fozio e Nicànore discendenti dal lignaggio sortito a quella carica ; e con essi marciavano anro i Tesproti, gente pur senza re. Sabilinto , tutore del re Taripo ancor giovinetto, conduceva i Molossi e gli Aostani; Oredo i Paravei dei quali era re, e con essi si unirono mille Orestii guidati dallo stesso Oredo per consci' timento d’Antioco re loro; e Perdicca, senza la saputa degli Ateniesi, vi spedì mille Macedoni che arrivaron più tardi. Con questo esercito, non aspettata la flotta da Corinto , erasi Cnemo messo in cammino ; e marciando per
il territorio argivo, e saccheggiato il borgo di Limnea sprovveduto di mura, giungono a Strato città la più considerabile dell'Acarnania ; persuasi che prendendo questa la prima , anche gli altri luoghi si sarebbero facilmente resi.