History of the Peloponnesian War

Thucydides

Thucydides. Della storia di Tucidide volgarizzata libri otto. Anonymous translator. Florence: Tipografia Galileiana, 1835.

« E, per recare in una le molte parole, dicola nostra Repubblica essere la norma di Grecia tutta, e potere ciascun cittadino, stante quella disciplina che vige tra noi, idoneo prestarsi ad ogni sorta di opere con buon garbo e destrezza maravigliosa. Che queste cose poi non sieno, nella presente occasione, una millanteria invece che verità di fatto , lo palesa la potenza della città nostra , che con siffatte costumanze procurata ci siamo. Perciocché sola, fra quante or sono , a qualsivoglia prova ella venga, supera la fama che di lei risuona ; sola non dà al nemico che P assalga materia di sdegno, al pensare da chi venga superato , nè di rammarico ai sudditi, quasi che dominati da gente indegna dell’ impero : anzi, mettendo in vista la nostra potenza avvalorata da segnalati monumenti, e da indubitate testimonianze, formiamo la meraviglia della presente generazione e quella formeremo delle future. Nè a noi fa di mestieri di un Omero che si aggiunga a lodarci, nè di altri che co’ suoi versi presentemente diletti, e che poi la verità dei fatti non corrisponda alla grandiosità del supposto ; noi che col nostro ardire tutto il mare e la terra ci siam resi accessibili, ed abbiamo ovunque stabilito, quasi coabitatori sempiterni, i monumenti del nostro valore e dei disastri dei nemici. Or siccome costoro per una Repubblica si potente, gelosi del dritto di non perderla , hanno incontrato generosamente la morte tra le armi ; cosi vuoisi da quei che restano qualunque travaglio a pro di lei tollerare.

« Per lo che a lungo io vi ho parlato della Repubblica , volendo farvi certi ugual gara non essere a voi proposta ed a quei che nulla hanno di sì nobile ; ed insieme

volendo porvi con manifesti argomenti nel suo vero punto di vista l' encomio che vo tessendo a costoro , del quale vi ho già esposto i titoli più rilevanti. Conciossiachò la Repubblica , di quelle lodi ond’ io l'ho celebrata, fu adorna pel valore di questi e dei loro simili; e pochi hanvi tra’Greci dei quali non possa farsi elogio che agguagli le azioni, siccome avviene di questi, del cui valore non solo ci dà la morte il più nobile indizio, ma è anche l’ultima prova che lo suggella. Ed invero per coloro che in qualche cosa hanno altramente mancato, giusto è che il coraggio mostrato in guerra a difesa della patria stia in luogo di ammenda ; perocché , cancellando col valore i difetti, maggiore utilità hanno apportato in comune , che danno in privato. Né fu alcuno tra cotestoro che (se ricco fosse) anteponendo di seguitare a godere di sua opulenza , invilisse ; o che, se povero , per la speranza di cacciar l’inopia ed arricchirsi, schifasse il pericolo. Anzi vaghi sovrattutto di punire il nemico, giudicando ciò il più decoroso dei cimenti, lo affrontarono ; e paghi del solo desiderio di quei beni, del nemico stesso si vendicarono, rimettendo nella speranza l' incertezza della vittoria, ma pieni del dignitoso pensiero di confidar nelle proprie braccia, quanto al pericolo che avean dinanzi agli occhi : e più bello stimando l' istesso morire in resistendo al nemico , che il salvarsi cedendogli f schifarono l’obbrobrio del pubblico rimprovero, sostennero coi loro corpi la prova ; e nel breve momento, in cui la sorte decise, nel colmo della gloria , anziché del timore, da uoi si dipartirono.

« Che se essi tali furono quali richiedeva la dignità della Repubblica, bisogna si che voi rimanenti bramiate più prosperi, ma sdegniate men fermi pensieri incontro ai nemici ; non ponderando di tal coraggio l’utilità per le sole parole d’un oratore che possa a lungo dichiararla

a voi, che non men bene la conoscete (colFesporvi quanti beni derivino dal respingere il nemico), ma piuttosto osservando giornalmente nelle azioni la grandezza della Repubblica , e di lei innamorando. E quando amplissima ella vi paia, pensate che tale ampiezza le acquistarono uomini generosi, giusti estimatori del proprio dovere, animati nell’ imprese da onorata vergogna : e se per avventura fallisse loro qualche prova , non però stimavano dover la Repubblica esser defraudata del loro valore ; che anzi pagarono ad essa il più decoroso tributo. Offrendo infatti con fermezza comune il proprio corpo in guerra , si hanno acquistata particolarmente lode sempiterna e sepoltura orre volissima , non là principalmente ove posano le loro ossa , ma gloria durevole ovunque si presenti l’occasione d’arringa o di fatti guerrieri. Conciossiachè a’ prodi tutta terra è tomba , e non solamente nel proprio suolo il lor valore si mostra per lo scritto sul sepolcro , ma anche nelle più remote terre indelebile rimane la ricordanza di essi, scolpita non piuttosto nella pietra che nel petto di ciascheduno. Emuli or voi di questi, e stimando la felicità consistere nella libertà , e questa nella grandezza d’animo , non siate restii ad affrontare i pericoli della guerra, ponendo mente che gli sciagurati, ai quali non resta alcuna speranza di bene, non hanno più giusti motivi di esser prodighi della loro vita, di quello che coloro pei quali, ove continovino a vivere, sono da temere i cangiamenti della fortuna, e pei quali gli sbagli che commetter possano sono di grandissimo momento. Perciocché per chi ha un’ anima nobile è più doloroso l’ avvilimento accompagnato da codardia, che una morte intrepida , la quale appena si avverte, occorsagli in mezzo alla speranza del pubblico bene.

« Il perché io non mi farò a compiagnere voi che siete padri di questi estinti, ma voglio pittosto racconsolarvi

: giacché si sa esser la vita dell’uomo sottoposta a mille fortunosi accidenti ; e coloro esser felici che sortita abbiano decorosissima come questi la morte, o dolore onorevole come è a voi intervenuto, o in ultimo quei che tutta la carriera della vita misurarono in seno alla felicità. Malagevol cosa egli è, ben lo veggo, persuadervi di queste cose ; perchè di esse anche spesse volte vi faranno sovvenire le altrui felicità, onde voi pure, non ha guari, andavate fastosi ; e perchè dolore arreca non la mancanza di beni non provati, ma si di quei ai quali eravamo avvezzi. Nondimeno debbono quelli che sono in età di aver figli confortarsi sulla speranza di altra prole ; imperocché questi che verran dopo indurranno nelle famiglie dimenticanza dei trapassati, e doppio vantaggio ne ridonderà alla Repubblica; non tanto perchè ella non rimarrà deserta, ma ancora perchè coopereranno alla fermezza di lei. E di vero impossibil cosa egli è, che coloro i quali, del pari che gli altri, non han figli da esporre per il beue della patria, dieno consigli giusti ed imparziali. Voi poi che piegate alla vecchiezza, e che per somma ventura foste felici il più della vita, pensate breve essere il corso che vi avanza , e consolatevi colla gloria di questi estinti. Sola infatti la passion per l’onore non invecchia; e nell’ età cadente non diletta, come alcuni avvisano, il guadagno, ma sibbene l’esser tenuto in onoranza.

« A voi finalmente, quanti qui siete, figli o fratelli di questi valorosi, non picciola gara veggio esser proposta : conciossiachè ognun lodi quel che più non è ; e quand’anche gli superaste in prodezza, appena inferiori di poco, non che loro eguali giudicati sareste. Perchè i viventi invidiano il competitore, ed all’opposto quel che più non imbarazza apprezzano con equo animo. Che se qualche cosa deggio dire anche della virtù di voi donne,

quante vi troverete in stato di vedovanza, il tutto in breve esortazione ristringerò. Gloria somma sarà per voi non degenerare dall’ indole di modestia propria del vostro sesso, e gloria pur somma ne avverrà a quella tra voi, della quale, sia in lode sia in biasimo , il men possibile si parli tra gli uomini.

« Io vi ho esposto colle parole, secondo la legge , ciò che più mi è sembrato a proposito : quanto al fatto poi, siccome questi son già stati onorati di decorosa sepoltura, cosi i loro figli, da questo momento sino alla pubertà, verranno a pubbliche spese dalla Repubblica alimentati , volendo ella proporre ad essi ed ai posteri, per animarli a siffatti combattimenti, una corona che sia principio di beni allo stato ; perocché ove sono grandissime ricompense al valore, ivi pure fioriscono valentissimi cittadini. Rinnuovate or dunque il vostro tributo di duolo per chi vi appartiene e ritiratevi ».

Tali furono le esequie in quest’inverno, passato il quale finiva il primo anno della guerra. Appena cominciata P estate, i due terzi dell’ esercito dei Peloponnesi e degli alleati invasero l’Attica (come avean fatto da primo) guidati da Archidamo figliolo di Zeusidamo, re dei Lacedemoni ; e fermatovi il campo saccheggiavano il territorio. Pochi giorni dopo la loro invasione incominciò tra gli Ateniesi la peste, che si diceva avere anche di prima infuriato in molti altri luoghi, come in Lemno ed altrove. Ma non si avea ricordanza che in verun luogo avesse si violenta pestilenza, e morìa sì grande di gente. Conciossiaehè in principio non valeva in quella alcun senno umano o virtù di medicanti che ignoravano la qualità del malore , e che più facile degli altri morivano , in quanto che comunicavano più spesso cogl infermi. Le supplicazioni nei templi, il ricorso agli oracoli e l' altre cose di siimi

fatta sino allor praticate non facevano alcun profitto ; in-» Unto che sopraffatti dalla violenza del malore, cessarono anche da queste.

È fama che la pestilenza incominciasse nell’Etiopia al di là dell’Egitto : e calando poi nell’Egitto stesso, nella Libia, ed in gran parte delle terre soggette al re, si avventò improvvisamente alla città d'Atene, ove prima di tutto toccò gli abitanti del Pireo, cosicché fu da essi detto avere i Peloponnesi gittato dei veleni nei pozzi, at» teso che non eranvi ancora fontane ; e di lì discorrendo nella parte superiore della città , maggiore era il numero di quei che morivano. Dica pertanto ciascuno, medico o no che egli sia, giusta la sua opinione , donde s'abbia a credere che muovesse, e quali sieno state le cause che valsero a partorire tanto rivolgimento ; che io in quanto a me che ne fui malato e vidi pur gli altri, dirò quale si fosse, e dichiarerò quello per cui ciascuno potrà indubitatamente riconoscerla (essendone innanzi informato) se mai di nuovo cadesse.

Correva quell’ anno, a confessione Universale » immune sovra tutti da malattie ; o se qualcuno era di prima da qualche morbo afflitto, tutti si risolvevano in questo. Gli altri poi senza alcuna precedente cagione, ma interamente sani, erano all’ improvviso compresi da veementi caldure al capo , da rossezza e infiammazione d’occhi, e nell’interno la gola e la lingua diventavano tostamente sanguigne, e mandavano alito puzzolente fuor dell’usato. Dopo di che sopravveniva starnutazione e raucedine , ed m breve il male calava al petto con tosse gagliarda : e qualora si fosse fitto sulla bocca dello stomaco lo sovvertiva, e conseguitavano tutte quelle secrezioni di bile, che da’ medici hanno il loro nome, con grandissimo travaglio. Moltissimi ancora erano attaccati da un singhiozzo vuoto che dava forti convulsioni, le quali, a

cui subito , a cui molto più tardi cessavano. L’esterno del corpo non era a toccare molto caldo, nè pallido ; ma rossastro , livido e gremito di pustulette ed ulceri ; mentre le parti interne erano in tal bruciore che i malati non potevano sopportare d’avere indosso nè i vestiti nè le biancherie più fini ; ma solo di star nudi. Recavansi a gran diletto tuffarsi nell’acqua fredda ; di che molti de’meno guardati, tormentati da sete incontentabile, si gettarono nei pozzi : ed erano ridotti a tale che profittava egualmente il molto e il poco bere, travagliati incessantemente da smania inquieta e da vegghia continua. Ciò nonostante finché la malattia era nel suo colmo, il corpo non languiva, ma contro ogni credere durava gl’ incomodi, talché i più , o erano da interno calor consumati nel nono o settimo giorno, avendo ancora qualche residuo di forza, o se pur scampavano , scendendo il morbo nel ventre, si faceva grande esulcerazione con sopravvenimento di diarrea immoderata, intantochè poi la maggior parte morivano di debolezza. Perocché il male , fisso prima nel capo, incominciando di .sopra discorreva per tutto il corpo ; e se vi era chi superasse cotesti più fieri malanni; almeno le estreme parti indicavano d’ essere state comprese dal morbo, il quale prorompeva sino nelle vergogne e nel sommo delle mani e dei piedi ; e molti guarivano perdendo affatto queste parti ed anche gli occhi. In altri la convalescenza era immediatamente seguita da smemoraggine di ogni cosa egualmente, a segno che non riconoscevano nè sé stessi, nè gli amici.

Questa spezie di morbo superiore ad ogni racconto che far se ne possa, si avventava a ciascuno con acerbità da non reggervi forza umana: e principalmente mostrossi esser bene altra cosa che una delle malattie comuni, da questo; che gli uccelli ed i quadrupedi che mangiano carne umana, bene che molti cadaveri restasero insepolti, o non vi si accontavano, o gustandoli

morivano. Argomento ne fu la mauifesta mancanza di tali uccelli che non si vedevano intorno a veruno di quei cadaveri nè altrove ; e sovrattutto i cani i quali, perchè assuefatti a conversare con gli uomini, rendevano più sensibile tal crudel conseguenza.

Del rimanente per tralasciar molte altre stravaganze della pestilenza (secondo che in diverso modo accadeva in ciascuno) questa era in generale la qualità del morbo : nessuna delle altre consuete malattie affliggeva allora la città ; e se alcuna ve n’ era, andava a finire in questa. Morivano poi alcuni perchè non assistiti, altri benché perfettamente curati : nòn fuvvi, per cosi dire, medicamento alcuno che usato facesse profitto : ciò che avea giovato ad uno nuoceva ad un altro: nè valeva complessione robusta o debole contro la furia del male, il quale uccideva anche i più accuratamente medicati. Ma il più terribile della pestilenza era lo sgomento tosto che uno si sentiva malato ; poiché cadendo in disperazione, più di sé in verun modo non curavano , nè alcun riparo prendevano, e, per lo comunicare insieme in servendo agl’ infermi , incorporando il contagio , come pecore morivano : lo che accresceva assaissimo la mortalità. Se per paura ricusavano visitarsi scambievolmente, morivano privi d’ ogni assistenza, e molte case rimasero vuote per mancanza di serventi : all' incontro se si visitavano contraevano il morbo ; ciò che principalmente interveniva a quei che ambivano desser tenuti caritatevoli, perchè vergognando di risparmiarsi visitavano gli amici ; avvegnaché i parenti striasi , vinti finalmente dalla violenza del male, non valevano a sopportare i lamentevoli gridi dei moribondi. Ciò non pertanto più degli altri compassionavano il moribondo e Yinfermo quei che ne erano campati, tra perché avevano provato il male, e perchè erano ornai pieni di coraggio, essendo che la malattia non si appigliava mortalmente uua

seconda volta ; ed erano felicitati dagli altri, mentre il gioia inaspettata della guarigione nutriva in essi speranza e conforto per l’avvenire, quasi non avessero ad esser morti da verun’altra malattia.

Ma l’introduzione della gente di campagna in città, oltre al malore che soffrivano, oppresse anche più gli Ateniesi, e principalmente gli ultimi venuti. Condor siachè per mancanza di case alloggiando questi in tuguri, ove per la stagione che correva restavano soffocati dal caldo, morivano in mezzo alla confusione, e spirando giacevano ammonticati gli uni su gli altri ; e per bramosia d’acqua semivivi voltolavansi per le strade e presso tutte le fontane. Gli stessi sacri recinti ove avevano dispiegato le tende erano pieni dei cadaveri di quei che vi morivano. E poiché senza modo cominciò a montare la ferocità della pestilenza , posero in non cale le cose sacre e profane egualmente, non sapendo quello che di sé addiverrebbe; cosicché le sacre cerimonie usate dianzi nel seppellire erano tutte perturbate, dando ciascuno sepoltura in quel modo che poteva. Molti furono che per le già accadute continue morti dei loro , trovandosi privi dei congiunti si volsero a cercar sepolture senza nissuno onesto riguardo ; perciocché alcuni gettavano il morto sulle pire altrui, prevenendo quelli che le avevano accatastate, e vi appiccavano il fuoco ; altri nel mentre si bruciava un cadavere ponevanvi quello avevano in su le spalle e se n’ andavano.

Questo morbo fu pure nel rimanente quello che originò le più grandi nequizie nella Repubblica. Imperocché al veder le frequenti mutazioni sì dei ricchi che repentinamente morivano, sì degli altri che per l' avanti stremi essendo di tutto, entravano a possedere le cose di quelli, stimavano doversi affrettare a goderle per far quanto era loro a grado ; e riguardando la durata della vita c della ricchezza egualmente d’un giorno solo, trascorrevano

più arditamente a quelle cose, la cui passione studiavano dianzi di celare. La fatica precedente il conseguimento d’un fine reputato onesto non era chi volesse imprenderla, stimando incerto se prima di giugnerlo non avesse ad esser vittima della peste ; e solo ciò che apparisse piacevole e per ogni lato vantaggioso si aveva per onesto ed utile. Niono era raffrenato dal timor degli Dei o da legge d’uomini : non dal primo, perchè vedendo tutti perire , giudicavano tutt’uno avere o no religione ; non dall’altra, perchè nessuno si aspettava di viver tanto che potesse farsi processo de' suoi delitti e pagar la pena : anzi vedendone sovrastare una più grave gih decretata dai fati, avvisavano prima di incontrarvisi doversi godere un poco la vita.

In mezzo a si acerbo trambusto erano gli Ateniesi afflitti dalla moria della gente in città, e al di fuori dal saccheggiamento delle campagne. Si ricordavano , come è naturale nella disgrazia, anche di questo verso che i più vecchi raccontavano anticamente cantato ;

  1. Verrà dorica gnerra e loimo insieme.

Fuwi certamente disputa nel popolo, non essere stata usata dai vecchi la voce loimo (peste) bensì limo (fame). Ma prevalse allora, com’era da aspettarsi , la voce loimo. Imperocché la gente la rammentava interpretandola conforme ai mali presenti: e se mai sarà che altra guerra dorica sopravvenga dopo questa , e vi si combini limo, lo canteranno verisimilmente con questo vocabolo. "Vi era ancora chi sapeva e rammentava la risposta del nume domandato dai Lacedemoni f se dovessero far guerra ; allorquando ei rispose, che facendola con tutte le forze avrebbero vittoria, e che egli stesso vi avrebbe concorso. Riflettendo dunque a quell’oracolo conghietturavano essere il

fatto presente in corrispondenza di ciò; perchè subito do-’ po l’invasione dei Peloponnesi era incominciata la pestilenza , la quale non penetrò nel Peloponneso, almeno in modo degno di menzione ; ma fece strazio principalmente di Atene e quindi d'altri luoghi i più popolosi. Tali sono le cose che riguardano la pestilenza.

Ma i Peloponnesi devastato che ebbero la pianura si avanzarono nella terra chiamata Paralo (maremma)7 sino al monte Laurio , ove gli Ateniesi hanno le miniere dell’argento. Quivi diedero primieramente il guasto alla parte che guarda il Peloponneso , e poi all'altra verso Eubea ed Andro. Ciò nonostante Pericle tuttora generale, come lo era nella precedente invasione, continovava nella medesima sentenza, che gli Ateniesi non uscissero in campagna.

E mentre il nemico era ancora nella pianura, prima di metter piede nella terra paratia, egli apparecchiava una flotta di cento navi per andar contro il Peloponneso ; ed ordinato il tutto fece vela. Conduceva sulle navi quattromila Ateniesi di grave armatura, e trecento cavalieri su barche da trasportar cavalli, formate allora per la prima volta co? materiali delle navi vecchie. Presero parte alla spedizione anche i Chii ed i Lesbii con cinquanta navi. Quest’armata degli Ateniesi quando uscì del porto, lasciò i Peloponnesi tuttora nella maremma dell'Attica. Pervenuti ad Epidauro nel Peloponneso guastarono gran parte della campagna, e dato l’assalto alla città vennero in isperanza di prenderla, ma la cosa non riuscì ; onde ritiratisi da Epidauro saccheggiarono la campagna trezeniese, l’aliese e l’ermionese, luoghi tutti sulle coste del Peloponneso. Di là salpando, arrivarono a Prasia cittadella marittima della Laconia, saccheggiarono parte della campagna, presero la stessa cittadella e la devastarono» Ciò fatto, ritornarono a casa, e trovarono che i Peloponpesi non erano più nell’Attica, ma s'erapo ritirati.

Ora tutto quel tempo che i Peloponnesi si trattennero nel territorio ateniese, e mentre gli Ateniesi militavano sulle ua\i9 la pestilenza, tanto neH’armata che in città, rifiniva gli Ateniesi ; tal che fu voce avere i Peloponnesi, per paura del morbo, sollecitato la ritirata dalrAttica , poiché ebbero inteso dai disertori essere la peste in Atene, e vedevano dar sepoltura ai morti. Nondimeno in questa spedizione la dimora loro fu lunghissima, essendovisi trattenuti circa quaranta giorni, nei quali diedero il guasto a tutto il territorio.

Nella medesima estate Agnone figliolo di Nicia e Cleopompo di Clinia , colleghi di Pericle nel comando, presero l' armata di cui egli aveva usato , e portarono subitamente la guerra contro i Calcidesi della Tracia, e contro Potidea cinta tuttora d’assedio. Giunti a questa città approssimarono le macchine alle mura, e fecero ogni prova per espugnarla : ma né l’espugnazione della città, nè le altre operazioni riuscivano loro in corrispondenza di tanto apparecchio ; essendo che il morbo sopravvenuto costà afflisse per ogni modo gli Ateuiesi, e distrusse l’esercito con tanto furore, che i soldati stessi che vi erano di prima mantenutisi sani fino allora, contrassero la malattia per le soldatesche venute con Agnone. Formione coi mille seicento non era più intorno ai Calcidesi ; il perchè Agnone tornò con la flotta ad Atene, avendo in circa quaranta giorni perduto per la peste mille cinquanta di quei quattromila. La gente che vi era innanzi restò ferma al suo posto continovando Tassodio di Potidea.

Dopo la seconda invasione dei Peloponnesi, vedendosi gli Ateniesi saccheggiata un’ altra volta la campagna, e trovandosi oppressi dal morbo e dalla guerra ad un medesimo tempo , mutaronsi d’animo. Davano carico a Pericle di averli confortati alla guerra, e di trovarsi per cagionsua in quelle sciagure: e bramosi di accordare

coi Lacedemoni vi mandarono legati, ma senza effetto veruno. Ridotti adunque per ogni lato in gran sospensione d’ animo , s’ affollavano tutti addosso a Pericle, il quale vedendo che adirati per il presente stato di cose facevano appunto tutto quello che aveva previsto, coll’autoritá di generale che ancor riteneva gli adunò a parlamento. Voleva egli inanimirli ; e divertendo dai loro animi la collera renderli più trattabili e meeo timorosi : onde si fece innanzi e parlò in questi termini.

« II vostro sdegno contro di me non mi giunge inaspettato, poiché non ne ignoro i motivi : ed ho convocato l’adunanza appunto per farvi avvertiti e rimproverarvi , se a buon dritto non siete o adirati contro di me, o sbigottiti pei disastri. Io per me credo, che una repubblica florida e vigorosa nell' universalità porti ai particolari vantaggi maggiori di quello che, se prosperosa nei privati interessi di ciascun cittadino , ella nel suo insieme vacilli. Imperocché quantunque un cittadino nel suo particolare si trovi bene, nondimeno se la patria si perde, egli è compreso nella rovina ; ma se sia sfortunato in seno a prosperevol repubblica, suole viemeglio trovarvi salvezza. Posto adunque che la repubblica può esser sostegno alle disgrazie dei particolari, e che ognuno di questi non può esserlo a quelle di lei, come non debbon tutti concorrere a soccorrerla ? Ah ! non vogliate, come fate adesso , sbigottiti ciascuno dalle domestiche sciagure, porre in non cale la salute della Repubblica, incaricar me d’avervi animati alla guerra, e voi stessi insieme, che coq meco conveniste. Eppure vi adirate con un uomo , quale io mi sono, che crede di non esser da meno di chicchessia per discernere il bisogno della Repubblica, e per saperlo dichiarare : amante della patria e superiore al denaro. Re-» quisiti importantissimi ; perocché chi conosce quel bisogno , ma non lo sa ben dichiarare , è come se non gli fosse

Mai caduto io pensiero : se fornito di queste due doti inanca d'amore per la patria, medesimamente non parlerà punto da amico : Abbia finalmente anche questa amorevolezza , s’ei si lascia vincere dal denato, venderà per questo solo tutta insieme la Repubblica« Però se vi siete lasciati persuadere da me a far la guerra , credendomi più degli altri fornito mediocremente di queste qualità , ragion non consente che io sia accagionato de’ vostri disastri.