History of the Peloponnesian War

Thucydides

Thucydides. Della storia di Tucidide volgarizzata libri otto. Anonymous translator. Florence: Tipografia Galileiana, 1835.

Gli Acamani sentendo che già era entrato nelle loro terre un copioso esercito, e che dalla parte di mare erano per presentarsi i nemici colla flotta, piuttosto clic collegarsi a difesa, guardavano ognuno le terre loro : spedirono bensì a Formione ricercandolo di soccorso ; ed ebbero in risposta, essergli impossibile abbandonar Naupatto, aspettandosi ad ogn’ ora che la flotta nemica uscisse di Corinto. I Peloponnesi poi e gli alleali, divise in tre squadre le loro genti, procedevano verso la città degli Stratii per campeggiarla da vicino , risoluti di venire ai fatti se non giovassero le parole. Marciavano innanzi stando nel centro i Caoni con gli altri barbari , a destra i Leucadii e gli Anallorii con le masnade che avevano seco , a sinistra Cnemo, i Peloponnesi e gli Ambracioti ; ma queste tre squadre erano a gran distanza tra loro, e talora non si scorgevano scambievolmente. I Greci procedevano bene ordinati e guardinghi sin che trovassero un vantaggioso alloggiamento : all’opposto i Caoni confidando solo in sè stessi, perchè erano avuti in concetto di soldati agguerritissimi dalla gente di quelle contrade , non si fermarono a prendere alloggiamento, ma si avanzavano impetuosamente con gli altri barbari, e reputavano d’avere a prendere la città di punto in bianco , ed ascrivere a sè soli l’impresa. Informati gli Stratii che essi proseguivano il cammino, discorsero tra sè , che ove vincessero costoro divisi dagli altri, con minor baldanza sarebbero poi venuti innanzi i Greci : il perchè, innanzi giugnessero, tesero imboscate nelle vicinanze della città ; e come li videro presso, usciti dalle mura e dagli aguati corrono ad affrontarli : di che impauriti, molti dei Caoni restano uccisi ; e

gli altri barbari che li videro piegare disordinaronsi e dieder volta. Nissuna delle due squadre greche seppe del combattimento , per essersi costoro dilungati, e aver fatto credere d’avacciarsi per trovar buono alloggiamento. Quando però si videro cotesti barbari fuggitivi quasi addosso , dieder loro ricetto ; e riuniti i due campi si trattennero tutta la giornata. E quantunque gli Stratii, mancanti ancora del rinforzo che doveva arrivare dal resto degli Accamani, non venissero con loro alle mani (avvegnaché stimassero non doversi arrischiare senza i soldati gravi) pure gli avevano ridotti in gran dubbiezza dell’ animo col loro trar di fionda da lontano , atteso che gli Acarnani sono tenuti per ottimi frombolieri.

Ma fattosi notte, Cnemo ritirò prestamente l’esercito sul fiume Anapo distante ottanta stadi da Strato; riprese il giorno seguente i cadaveri per salvocondotto, e venuti a raggiugnerlo gli Eniadi per l' amicizia avevano seco, si ritira presso di loro innanzi che venissero agli Acarnani i rinforzi ; e di là ciascuno ritornò alla sua patria. Gli Stratii ersero trofeo per il combattimento contro i barbari.

La flotta poi dei Corintii e degli altri alleati che uscendo del golfo di Crisa doveva congiugnersi con Cnemo , acciocché gli Acarnani di dentro terra non accorressero in aiuto , non lo raggiunse ; anzi circa i medesimi giorni della zuffa accaduta a Strato , fu obbligata a naval combattimento conFormione e con le venti navi che erano di presidio aNaupatto. Stava Formione osservando mentre ei costeggiavano per uscir fuori del golfo , col fine di assalirli al largo : ed i Corintii e gli alleati navigavano per alla volta delPAcamania, non già preparati a naval combattimento, ma più presto all’uso delle navi che portano truppa da sbarco; non si potendo mai aspettare che gli Ateniesi con le venti navi ardirebbero di appiccar battaglia contro le

loro qiiarantasctte» Ma poiché avanzandosi marina marina , videro gli Ateniesi costeggiare il lato opposto ; e poiché , tragittando da Patra dell’Acaia verso la terraferma dirimpetto alTAcarnania , gli osservarono indirizzarsi contro di loro, movendo da Calcide e dal fiume Eveno (ove gli avevano scoperti quantunque approdati furtivamente) allora trovansi astretti a combattere in mezzo allo stretto. Vi erano i capitani di ciascuna città che disponevansi al combattimento : Macaone, Isocrate ed Agatarchide conducevano i Corintii. Schieraronsi i Peloponnesi formando un cerchio delle navi, il più grande potevano , colle prue volte in fuori e le poppe in dentro , per impedire al nemico di rompere l' ordinanza della loro flotta. Pongono in mezzo le piccole barche che andavano di conserva, e cinque navi delle più snelle ; acciocché avesser breve spazio a correre per uscir fuori del cerchio, e trovarsi pronte ovunque il nemico gli investisse.

Gli Ateniesi ordinate le loro navi una dopo l’altra , volteggiavano attorno all’ armata nemica, e ne ristringevano il cerchio scorrendo sempre rasente , ed inducendo credenza nei nemici che or ora gli assalirebbero, l onmone però aveva commesso loro di non investirli prima che ne desse egli il segnale : imperocché sperava che l’ordinanza della flotta nemica, somigliante a quella di fanteria per terra , non reggerebbe ; ma le navi urterebbonsi tra loro , e le barche cagionerebbero disordine. Sperava inoltre che al soffiar del vento dal golfo (ciò che soleva accader sull’ aurora , e cui aspettando teneva in giro le navi) il nemico non arebbe avuto un momento di posa ; che allora sarebbe il tempo più opportuno ad attaccar battaglia ; sebbene credeva essere in sua potestà farlo quando che volesse , perchè più spedite erano le sue navi. Ma già levatosi il vento e le navi nemiche essendo «tate ristrette in più piccol cerchio , erano in iscompiglio ,

non solo pel vento stesso, ma ancora per le barche di dentro che stavano loro addosso , talché una cozzava nell’ altra e si pigneano coi remi ; e tra per gli urli e per le villanie onde mordevansi scambievolmente le ciurme nel ripararsi, non più gli ordini, non più i cornili intendevano. In tal tramazzo appunto dà Formione il segnale : gli Ateniesi al primo assalto affondano una nave capitana, dipoi ovunque si avanzassero, altre ne rovinavano ; e ridussero i nemici a tale che in quel tram« busto nissun di loro volgevasi a vigorosamente resistere, ma fuggivano a Patra e a Dime dell’Acaia. Gli Ateniesi avendoli incalzati presero dodici navi, uccisero la maggior parte delle ciurme, quindi navicarono a Molicrio : alzalo poscia trofeo a Rio, e consacrata una nave a Nettuno, tornarono a Naupatie. Medesimamente i Peloponnesi col resto delle navi proseguirono subito il loro corso da Dime e Palra fino a Gliene arsenale degli Elei f ove da Leucade, dopo la battaglia degli Stratii, arriva anche Cnemo colle navi di là, che dovevano riunirsi con queste.

I Lacedemoni intanto spediscono Timocrate, Bra-6lda e Licofrone per consiglieri a Cnemo nel governo della flotta, con ordine di procurar miglior esito ad un secondo combattimento navale, e non lasciarsi da picciol numero di navi toglier Fuso del mare. Conclosslachè quella disfatta pareva loro molto strana (tanto più perchè era la prima volta che avevano sperimentato combattimento navale), e l’attribuivano non tanto alla minoranza della loro flotta, quanto a non so qual poco ardire del combattenti ; nè bilanciavano l’antica perizia degli Ateniesi col loro re-.cente esercitamento. Però adirati spedirono coloro, i quali giunti colà d’accordo con Cnemo con avviso circolare intimavano a ciascuna città di dar le navi, e racconciavano quelle di prima disposti di venire ad una seconda battaglia«

Goode

Forinione anch’egli dal canto suo manda agli Ateniesi gente ad annunziare i preparamenti dei Lacedemoni, e ragguagliarli della riportata vittoria; ed instava che gli spedissero sollecitamente più navi potevano, perchè ogni giorno v’ era da aspettarsi di dover combattere per mare. Essi ne mandano venti, ordinando però al capitano che le conduceva di arrivar prima a Creta : perchè Nicia di Gortinia, cretese, pubblico ospite degli Ateniesi, li confortava ad andare colla flotta a Cidonia, assicurandoli che ridurrebbero in potestà loro quella città nemica. Brigavasi egli di ciò per far cosa grata ai Policniti confinanti coi Cidoniati. Il capitano adunque, tolte seco le navi, andò a Creta, ed insieme co1 Policniti saccheggiò le terre dei Cidoniati. I venti poi e la difficoltà di riprender mare lo costrinsero a trattenersi non poco tempo.

Intanto che gli Ateniesi erano ritenuti a Creta , i Peloponnesi che stanziavano a Cillene apparecchiati per la battaglia di mare, si spinsero colla flotta sino a Palermo dell’Acaia, ove dalla parte di terra erano già venute in rinforzo le genti del Peloponneso. Similmente Formione passò da Naupatto a Rio di Molicro, e al di fuori di questo promontorio si tenne sull’ancora con venti navi, quelle stesse con le quali aveva combattuto. Era questo Rio amico agli Ateniesi, a differenza dell’altro nel Peloponneso, situato rimpetto al primo, tra loro distanti circa settanta stadii di mare; ed è questa la bocca del seno di Crisa. Adunque i Peloponnesi, visti gli Ateniesi, presero stazione con settantasette navi presso questo Rio dell’Acaia, non molto distante da Palermo, ove era la loro fanteria. Per sei o sette giorni stettero entrambi alle vedette , intesi a prepararsi pel combattimento che disponevano di fare. Discorrevano i Peloponnesi non esser da uscire al largo fuori dei due Rii, temendo ancora della passata sconfitta ; gli Ateniesi di non dovere ingolfarsi nello

stretto, giudicando che la battaglia in luogo angusto sarebbe in vantaggio dei Peloponnesi. Cnemo poi, Brastda e gli altri comandanti dei Peloponnesi volendo precipitar gl' indugi ed attaccar la zuffa innanzi che da Atene venisse nuovo aiuto, adunarono da prima i soldati ; e poiché gli vedevano per la maggior parte paurosi ed inviliti, attesa la precedente sconfitta, presero a rincorarli e parlarono così :

« Valorosi Peloponnesi, la passata naval battaglia, se a cagione di quella avvi chi teme della futura, non porge giusto argomento per intimorirvi, ove sappiate come ella non ebbe completo apparecchio, e che la nostra corsa avea per oggetto non combattimento marittimo, ma piuttosto trasporto di truppe. La fortuita stessa ci fu in molti casi contraria, e forse l’inesperienza (essendo quello il primo combattimento per mare) causò il nostro danno, cosicché non fu per viltà che restammo vinti. Nè quel vigor d’animo a cui vincere non valse la forza, e che trova in sé stesso la sua discolpa, dee punto indebolirsi per le conseguenze di sinistra fortuna : anzi tutto che possa addivenire che restiuo gli uomini sconcertati pel concorso di casuali accidenti, vuoisi ciò non pertanto reputare che, quanto all1 animo, sieno gli stessi valorosi e inalterabili ; e che serbando in petto cuor generoso, non piglierebbono a pretesto l’inesperienza per aonestar talvolta la loro codardia. Ma voi non siete di tanto inferiori nell’esperienza, quanto per ardimento superiori. La pratica di costoro, che principalmente vi spaventa, se va unita all’ intrepidezza ricorderà loro, anche in mezzo al pericolo , di eseguire i precetti appresi ; ma senza intrepidezza nissun’ arte è buona contro i pericoli ; perocché la paura perturba la memoria , e l’arte senza fortezza a nulla giova. Contrapponete adunque alla loro maggior pratica il vostro maggiore ardimento ; al timore per la sconfitta sofferta la considerazione di non essere stati allora ben preparati; e

riflcHtete die adesso voi avete il disopra, non solo pel maggior numero delle navi, ma ancora perchè venite a battaglia lunghesso una piaggia vostra, ove è anche pronta per voi la soldatesca di terra. Ora la vittoria è ordinariamente dei più e dei meglio preparati i ond’ è che non abbiamo pnre un motivo giusto da temere della sconfitta : anzi gli sbpgli stessi da noi prima commessi ci serviranno di nuovo ammaestramento. Su via adunque, nocchieri e marinari, fate ognuno il debito vostro, non abbandonando il posto assegnato a ciascuno , e noi sapremo non meno dei passati capitani prepararvi opportuna l’affrontata, nè lasceremo a chicchessia scusa ad esser codardo : o se pur vi sia chi il voglia, sarà punito colla dovuta pena, dove i valorosi avranno il premio che si compete al valore »»

Con queste parole i capitani inanimivano i Pelopoimesi. E Formione insospettito anch' egli dello sbigottimento dei soldati, ed avvistosi che nei loro cerchi mostravansi timorosi, per la moltitudine delle navi nemiche , prese consiglio di convocarli per rincorarli con avvertimenti confacevoli all’occasione. Teneva già anche di prima preparati i loro animi, dicendo continovamente non esservi moltitudine di navi per grande che fosse, alla quale, venendo contro di loro , e’ non potessero resistere. Ed i soldati stessi da molto tempo avevano di sè concepita questa dignitosa opinione che, Ateniesi com’erano, non cederebbero a quantunque gran numero di navi peloponnesie. Nondimeno, osservandoli allora scoraggiati al ragguardamento del nemico, voleva rammentar loro avessero coraggio : il perchè, radunati gli Ateniesi, parlò in questa sentenza.

« Al vedervi, o prodi soldati, impauriti per la moltitudine dei nemici, vi ho qua radunati ; perchè non credo del vostro decoro lo sbigottire per cose non punto formidabili. E primieramente hanno costoro apparecchialo

gran numero di navi, non contenti di forze eguali alle nostre, appunto perché sono stati già vinti, e da sè stessi si riconoscono inferiori a noi. In secondo luogo , quella baldanza, alla quale principalmente affidati ci vengono incontro , come se di loro soltanto fosse proprio Vesser valorosi, non da altro procede che dalla pratica delle battaglie terrestri, ove ordinariamente sono vincitori ; e però credono di poter far lo stesso anche in quelle di mare. Ma tal ragione di imbaldanzire se l' hanno essi in quelFaltro genere di combattimento, molto più a buon dritto l’avremo ora noi. Imperocché in generosità ei non ci avanzan punto, laddove siamo entrambi più arditi in ciò, in che siamo più esperimentati. Inoltre i Lacedemoni, venendo alla testa degli alleati per ricuperare il proprio decoro, ne conducono al cimento la maggior parte di mala voglia ; avvegnaché, se cosi non fosse, dopo quella grande sconfitta non sarebbono essi venuti mai ad un secondo naval combattimento. Non abbiate no dunque timore della loro audacia ; anzi voi mettete in loro più grande e più certa paura, sì perchè gli avete già vinti, sì perchè pensano che or non vi opporreste loro , se non aveste in animo di fare qualche stupenda prova. In fatti di due eserciti a fronte quello che, come il loro è più numeroso , viene all’ assalto fidando più nella forza che nel consiglio : ma quello che è molto inferiore di numero, e viene non astretto alla pugna, resiste al nemico confidando solo nella grandezza del proprio animo. Le quali cose essi considerando, temono più del nostro straordinario procedere, che non farebbono d’apparecchio proporzionevole al loro. Molli eserciti sono già stati battuti da minor numero per inesperienza e talora per codardia ; noi però da tali difetti siamo immuni : nè per quauto starà in me, attaccherò la battaglia nel golfo, anzi neppure vi entrerò. Gonciossiach è vedo, contro molte navi mal pratiche non esser favorevole la
ristrettezza del luogo per le poche, che nei loro movimenti han pratica e più speditezza al corso; perchè non avendosi da lungi il prospetto del nemico, niun potrebbe prender le dovute misure per ispignersi contro la nave contraria ed assalirla, nè, messo alle strette, aver modo di ritirarsi all’occasione. Nè possibil sarebbe rompere e traversare le file nemiche, o dare indietro girando di bordo ; operazioni tutte proprie delle navi più spedite : ma farebbe allor di mestieri ridurre la battaglia di mare a battaglia di terra, lo che gioverebbe al maggior numero di navi. Ora io, per quanto sta in me , provvederò a tutto questo , e voi tenetevi fermi in buona ordinanza sulle navi , ed eseguite prontamente gli ordini che riceverete, tanto più che ad ogni momento possiam venire all'affronto. Nell’atto stesso poi della pugna badate sovrattutto al buon ordine ed al silenzio (ciò che giova in assai operazioni di guerra, ma principalmente nei combattimenti navali); e rispingete costoro in maniera che risponda alle passate imprese. Il cimento è per voi rilevantissimo, trattandosi, o di torre ai Peloponnesi ogni speranza di aver flotta, o di rendere agli Ateniesi più imminente il timore di perdere la superiorità del mare. Vi rammento in ultimo che già su la maggior parte dei nemici riportaste vittoria : ora soldati una volta vinti non possono serbare lo stesso animo nel? incontro degli stessi pericoli ».

Con queste parole anche Formione rincorava la sua gente. Ma i Peloponnesi, al vedere che gli Ateniesi non venivano verso loro nel golfo, e dove è più angusto , volendo condurveli dentro a loro dispetto, sul far dell’aurora presero il largo, £ ordinate le navi con quattro di fronte si avviarono nell’interno del golfo verso il loro territorio. Precedeva lala destra con lo stesso ordine che aveva tenuto sta ndo sull’ancora : avevano però in cotest’ala collocato venti delle navi più spedite, aflfmchè se mai

Formione, credendoli dirizzati contro di Naupatto , si avviasse anch’egli colà per soccorrerlo, la flotta Ateniese non potesse spingersi oltre quell9 ala destra, e scansare coai d' essere investila da loro ; anzi quelle venti navi dovesser chiuderla in mezzo, ripiegandosi sopra di lei. Come Formione vide i nemici partire impauri, conforme ei si aspettavano , per Naupatto rimasto senza presidio, e fatte suo malgrado e frettolosamente montar le navi alla sua gente, scorreva lungo la costa, su la quale lo seguitava la fanteria dei Messeni pronta a soccorrerlo. I Peloponnesi visto gli Ateniesi avanzarsi con le navi schierate una dopo Tal« tra, ed ornai ingolfati (ciò che appunto bramavano), allora fatto un solo segnale voltarono improvvisamente di bordo, e con la maggior celerità che ognuno poteva vogavano di fronte addosso agli Ateuiesi. Speravano essi di poter prendere tutte le navi, ma undici di esse che erano innanzi all'altra, preso il largo, si sottraggono all’ala dei Poloponnesi, e al ripiegarsi su loro delle venti navi. Raggiungono bensì il restante, e spintele a terra mentre fuggivano, le fracassarono, ed uccisero tutta la gente ateniese che non si era salvata a nuoto. Alcune altre restate vuote le legavano alle loro e le rimorchiavano, ed una ne presero entrovi la ciurma. Allora i Messeni accorsero in aiuto, ed entrando armati nel mare salirono sopra alcune, e combattendo di su i banchi, mentre venivano rimorchiate , le riebbero.

I Peloponnesi adunque erano da questa parte vincitori, ed avevano rovinate le navi ateniesi. In questo le loro venti navi poste sull'ala destra correvano dietro alle undici ateniesi, che sottrattesi all’ incalzar dei nemici eransi tirate al largo, ed eccetto una , furono le altre in tempo a ricovrarsi a Naupatto. Quinci fermatesi in faccia al tempio d’Apollo colle prue rivolte ia fuori si preparavano a ributtarli, s’ei vogassero a terra contro di loro.

I Peloponnesi che vi giunsero dopo, navigavano cantando il peana come già vincitori ; e una nave leucadia, che sola vogava molto innanzi airallre, dava la caccia ad una ateniese rimasta indietro. Era casualmente ferma sull’ancora in distanza dal lido uua barca mercantile, presso la quale arriva la nave ateniese prima della leucadia , gira di bordo intorno a lei, e riviene ad urtar nel mezzo quella che la inseguiva, e la sommerge. Codesto accideute inaspettato e strano riempie di spavento i Peloponnesi che altresì ebri della vittoria rincorrevano le navi nemiche alla rinfusa; tal che alcune delle navi loro, per aspettare che si riunissero le altre più, abbassarono i remi e fermarono il corso ; cosa inopportuna nell’occasione che il nemico aveva breve spazio a trascorrere per lanciarsi contro di loro : altre mal pratiche dei luoglii urtarono in secco.

A tal vista ritornò negli Ateniesi il coraggio, e con unanime grido di eccitamento corsero sopra i Peloponnesi i quali in mezzo al disordine causato dai precedenti sbagli, per breve ora ressero, e poi fuggirono verso Palermo d'onde erano parliti. Gli Ateniesi incalzandogli tolsero loro sei navi che avevano più vicine, riebbero quelle state da prima rovinate su la casta e rimorchiate, ed uccisero parte delle ciurme, parte fecero prigioni. Timocrate lacedemone che era su la nave leucadia la quale andò a fondo vicino alla barca mercantile, quando ella si perdeva si scan nò, e fu poi sbalzalo nel porto dei Naupalli. Ritornali gli Ateniesi al silo da cui partitisi ottennero quesla vi noria, vi ersero trofeo, ricuperarono i cadaveri ed i rollami delle navi che erano vicini alla loro costa, e con salvocondotto restituirono i loro ai nemici. Parimente i Peloponnesi at-» tribuendo a se la vittoria, ersero trofeo a Rio dell’Acaia per la sconfitta in cui spezzarono au la costa le navi ateniesi ; e quella sola che avevano presa la consacrarono presso al trofeo. Dopo di ciò temendo del soccorso che si

aspettava da Atene, sull’imbrunir del giorno, tutti, eccello i Leucadii si ridussero nel golfo di Crisa ed a Corinto. Gli Ateniesi che con le venti navi dovevano da Creta raggiunger Formione prima della battaglia navale, arrivarono a Naupatto poco dopo la ritirata delle navi dei Peloponnesi ; e finiva l’estate.

Cnemo poi, Brasida e gli altri capitani dei PeIoponnesi, prima di licenziar la flotta che si era ritirala a Corinto e nel seno di Crisa, cominciando l' inverno , vollero , secondo che erano stati istruiti dai Megaresi, fare un tentativo contro il Pireo porto degli Ateniesi che era senza presidio e senza sbarre ; nè ciò rechi meraviglia , atteso la gran superiorità degli Ateniesi nella marina. Risolvettero adunque prendendo ciascuno un remo col suo scanno e più-macciolo, drandare per la via di terra da Corinto al mare che guarda Atene ; ed arrivati prestamente a Megara varare da Nisea loro arsenale le quaranta navi che vi erano, e navigare direttamente contro il Pireo, non vi essendo navi a guardarlo. Gli Ateniesi non si aspettavano punto di esser cosi all’improvviso assaliti dalla flotta dei nemici, poiché stimavano eh’ e’ non avrebbero osato di farlo neanche scopertamente e con tutto l’agio, e che, se mai ciò corresse loro nettammo, non sarebbe senza che lo presentissero. Appena risoluto ciò si misero in cammino. Arrivarono di notte a Megara, e varate in mare da Nisea le navi, non andarono più, come avevano disposto, contro al Pireo, impauriti dal pericolo, ed impediti anche, come si racconta , da non so qual vento ; ma bensì contro al promontorio di Salamina che guarda Megara , ove era una fortezza e tre navi di guarnigione, per impedire che nulla entrasse in Megara od uscisse. Diedero l’assalto alla fortezza, e menaron via le tre navi abbandonate dalla ciurma, ed assaltando inaspettatamente il resto di Salamina, presero a saccheggiarla.

Ma i Salamini alzarono i segnali di fuoco nunziatori del nemico, verso Atene, ove non fu mai sbigottimento maggiore di questo durante la guerra. Imperocché quei della città si immaginavano i nemici già entrati nel Pireo, quelli del Pireo già espugnata Salamina, e che i nemici dal vedere al non vedere entrerebbero da loro : lo che sarebbe senza difficoltà accaduto, se avesser voluto precipitar gl' indugi, nè il vento arebbe potuto impedirneli. Sul far del giorno gli Ateniesi accorsi in buiima al Pireo vararono le navi ; e salitivi sopra in fretta e alla rinfusa , andarono con esse a Salamina, e misero la fanteria a guardia del Pireo. Come i Peloponnesi ebbero sentore di questo rinforzo, corsero gran parte di Salamina, prendendo uomini, bottino e le tre navi della fortezza di Budoro : quindi navigarono speditamente a Nisea, giacché temevano anche delle proprie navi, che varate dopo molto tempo non tenevano punto; ed arrivati a Megara ritornarono per terra a Corinto. Gli Ateniesi non avendoli trovati più intorno a Salamina, tornarono indietro con la flotta ; e dopo questo avvenimento più accuratamente guardavano il Pireo eoi tenerne serrati i porti, e con ogni altra sorta di diligenza.

Circa i medesimi tempi, sul cominciare di quest' inverno, Sitalce odrisio figliolo diTereo, re dei Traci, mosse le armi contro Perdicca figliolo di Alessandro, re di Macedonia, e contro i Calcidesi della Tracia, per causa di due promesse, una delle quali voleva gli fosse attenuta, P altra attenere egli stesso. È da sapere che Perdicca trovandosi alle strette sul principio della guerra aveva fatto a Sitalce delle promissioni, solo che lo riamicasse con gli Ateniesi, e non riconducesse in patria (per farlo re) Fi« lippo suo fratello che gli era pure nemico : ora però non eseguiva quello che aveva promesso. Sitalce poi quanto a sè aveva convenuto, quando fece alleanza con gli Ateniesi,

di por fine alla guerra calcici»ca nella Tracia. Per queste due promesse adunque faceva la spedizione ; e conduceva seco Aminta figliolo di Filippo per porlo sul trono dei Macedoni, Agnone come capitano, ed anche gli ambasciatori ateniesi che a quest’ oggetto si trovavano presso di lui ; conciossiachè gli Ateniesi pure avevano impegnato la parola di concorrere alla guerra contro i Calcidesi con flotta e buon numero di genti.

Partito adunque dagli Odrisii sommuove prima tutti i Traci infra il monte Emo e Rodope, su’ quali egli imperava sino al mare, dal Ponto Eussino all’ Ellesponto ; poi i Geti al di là del monte Emo, e tutte le altre parti abitate di qua dal fiume Istro più verso il mare detto Ponto Eussino. I Geti e gli altri di questi luoghi confinano con gli Sciti, usano la medesima armatura, e son tutti arcieri a cavallo. Invitava ancora molti dei Traci montanari che sono liberi, armati di coltella ; e chiamansi Dii , ed abitano la maggior parte sul Rodope ; dei quali alcuni ne guadagnava col soldo, altri lo seguivano volontari. Sollecitava ancora gli Agriani ed i Leei, e gli altri popoli della Peonia soggetti al suo impero. Questi erano gli ultimi del suo dominio che si stendeva sino ai Graei e Leei della Peonia t e sino al fiume Strimone, che dal monte Scomio'scorre a traverso dei Graei e dei Leei, ove aveva confine il suo territorio dalla parte che guarda i Peonii, i quali di lì in poi sono liberi. Dalla parte dei Triballi pure liberi lo confinavano i Treri ed i Tilatei. Abitano costoro a settentrione del monte Scomio, ed a ponente si stendono sino al fiume Oscio che nasce nel monte stesso, come pure il Nesto e l’Ebro. Cotesto monte è disabitato, vasto ed attaccato a Rodope.

L’impero degli Odrisii, quanto alla sua grandezza , dalla parte che arriva sino al mare, si stende dalla città di Abdera al Ponto Eussino fin dove imbocca il fiume

taro. Il giro di questa costa per il cammino più corto, se il vento soffi continovamente da poppa, con una nave tonda si fa in quattro giorni ed altrettante notti. Per terra poi la via più corta da Abdera sino all’Istro un uomo spedito la fornisce in undici giornate : tanta è la sua estensione su la parte di mare. Ma verso terraferma da Bizanzio fino ai Leei e allo Strimone ( imperocché in questa linea è la maggior distanza del mare da terra ) la gita può compirsi da un uomo spedito in tredici giornate. Il tributo di tutto il paese barbaro e delle città greche, secondo che lo han pagato sotto Seute ( che succeduto nel regno a Sitalce lo rese gravissimo) montava alla somma di circa quattrocento talenti d’argento, che si pagavano in oro ed argento. Nè di minor valore erano i doni i quali non al re solamente, ma ai magnati degli Odrisii e potenti presso lui venivano offerti, che in oro e che in argento, senza contare le stoffe a opera e lisce ed altri mobili. Poiché, al contrario di quel che si pratica nel regno di Persia , aveano cotesti signori messa l’usanza, che dura anche presso gli altri Traci, di pigliare piuttosto che dare ; ed era maggior vergogna per chi richiesto non dava, che per chi chiedendo non otteneva. Cotale usanza per la potenza di quelli durò lungo tempo ; nè era possibile di concluder nulla senza donativi, il perchè il regno venne a gran potenza, sendo che di quei di Europa tra il seno ionico e il Ponto Eussino, esso fu il più considerabile pel provento di denaro e per ogni altra sorta di opulenza. Ma nel valor guerriero e nella moltitudine delle soldatesche fu di gran lunga inferiore a quel degli Sciti ; al quale non che sieno da agguagliare le na^ ¿ioni d’Europa, ma neanche in Asia avvi nazione, che da solo a solo possa resistere contro tutti gli Sciti d'accordo. iNondimeno in accorgimento e prudenza per le altre cose concernenti la vita , non sono da mettere alla pari con le altre nazioni.

Sitalce adunque re di sì vasto paese preparava il suo esercito ; e poiché ebbe ordinato il tutto, mosso il campo si incamminava verso la Macedonia, passando prima pe’ suoi stati, e dipoi per Cercina monte disabitato, conterminale dei Sinti e de9 Peonii, tenendo la strada da lui stesso aperta col taglio della foresta quando portò la guerra contro i Peonii. Da Odrise marciando pel monte avevano a destra i Peonii, a sinistra i Sinti e i Maidi ; e passato che l' ebbero giunsero a Dobero città della Peonia. Nel cammino non soffrì perdita veruna dell’esercito, salvo che pochi per malattia, anzi lo ebbe accresciuto; imperocché molti di quei Traci liberi lo seguitarono, benché non chiamati, per avidità di bottino : talché si dice P intero esercito essere stato non meno di cento cinquantamila, per la maggior parte fanti , ed il terzo cavalli. Il grosso della cavalleria lo somministravano principalmente gli Od risii, e con esso loro i Geti. Della fanteria i più agguerriti erano quei che portavano coltella, gente liberar scesa da Rodope. Il resto poi della turba che li seguita era un mescuglio di ogni sorta di gente, formidabile più che altro pel suo gran numero.

Facevano pertanto la massa a Dobero, e disponevano di assaltare dalla parte montuosa la Macedonia inferiore , di cui era padrone Perdicca ; poiché sono compresi tra' Macedoni anche i Lincesti e gli Elimioti ed altri popoli più dilungi dal mare, i quali sebbene confederati de’ Macedoni e loro soggetti, pure hanno ognuno il suo regno. Ma quella che di presente si chiama Macedonia marittima l' acquistarono e vi regnarono i primi Alessandro padre di Perdicca e i suoi maggiori discendenti da Temene, che ab antico venivano da Argo in questo modo. Primieramente superarono in battaglia e scacciarono dalla Pieria i Pierii, che poi presero stanza in Fagrete sotto il monte Pangeo al di là dello Strimone, ed in altri

luoghi (onde ancora si chiama seno pierico quella terra che dalle falde del Pangeo si stende alla marina), quindi dalla Bottia iBottiesi che ora abitano ai confini dei Calcidesi. Acquistarono ancora luugo il fiume Axio una lingua di terra della Peonia, che dallalto della montagna va sino a Pella ed al mare ; e di là dall’Axio fino allo Strimone posseggono quella che si chiama Migdonia, d’onde scacciarono gli Edoni. Cacciarono inoltre da quella adesso chiamata Evordia gli Evordi (la maggior parte dei quali restò trucidata, ed una piccola porzione passò a stanziare intorno a Flisca), e dalTAlmopia gli Almopi. Finalmente questi nuovi Macedoni ridussero in loro potestà altri popoli, e li ritengono ancora, come Antemunte, Grestonia, Bisaltia, con gran parte del territorio che apparteneva ai veri Macedoni. Tutto questo corpo di stati è compreso sotto il nome di Macedonia, di cui era re Perdicca figliolo di Alessandro, quando Sitalce vi portò le armi.

Or questi Macedoni, per la impossibilità di resistere al numeroso esercito che li assaliva, si ritirarono ai luoghi forti di situazione, e nelle poche castella del paese. Perocché quelle che ora vi si veggono le edificò poi Archelao figliolo di Perdicca, giunto !ohe fu ad esser re : aperse e dirizzò strade, ordinò accòqciamente tutte le altre cose , e particolarmente la milizia , fornendola di cavalleria e di fanteria grave e di ogni altro corredo, meglio che tutti insieme gli altri òtlo re prima di lui. L5 esercito dei Traci partendo da Dobero, assaltò primieramente gli stati antichi di Filippo , espugnò Edomene, ed ebbe per dedizione Gortinia, Atalanta ed alcuni altri castelli, i quali si resero, atteso l’amicizia avevano per Aminta figliolo di Filippo che si trovava nell' esercito. Assediarono anche Europo, ma non poterono prenderla: allora si avanzarono nel resto della Macedonia su la sinistra di Pella e di Grro; ma al di qua di queste due città

non arrivarono nè alla Bottica nè alla Piena t anzi davano loro resistenza colla fanteria : ma colle genti a cavallo chiamate dagli alleati dell’interno, benché poche di fronte a molti, dove giudicassero opportuno correvano addosso all’esercito dei Traci, e dovunque gli attaccassero, nessuno sosteneva l’impeto (l' uomini a cavallo valorosi ed armati di lorica. Laonde, comecché accerchiati dalla moltitudine , osavano mettersi a repentaglio con oste tanto più numerosa di loro : ma da ultimo si rimasero anche da ciò , reputandosi inabili a cimentarsi contro forze si esorbitanti.