History of the Peloponnesian War

Thucydides

Thucydides. Della storia di Tucidide volgarizzata libri otto. Anonymous translator. Florence: Tipografia Galileiana, 1835.

Il soprassedere che faceva l’esercito nemico nei contorni d’Eieusi e nella pianura triasia, dava qualche appicco agli Ateniesi che non progredirebbe più oltre ; rammentandosi essi di Plistoanatte figliolo di Pausania , re dei Lacedemoni, che dopo aver assaltato l’Attica coll'esercito de’ Peloponnesi sino ad Eieusi e Tria, quattordici anni prima di questa guerra , era tornato indietro senza avanzarsi più innanzi ; ciò che causò il suo bando da Sparta , perché ebbe voce d’ essere stato indotto per denaro a ritirarsi. Ma poiché videro il nemico intorno ad Acarne, distante dalla città sessanta stadii, giudicavano non esser più da tollerare : ed avendo sotto gli occhi il guasto della campagna , cosa non più veduta nè dai più giovani nè dai più vecchi , fuorché nella guerra dei Medi , ciò parve loro , come è naturale, un orrore. Allora generalmente , e soprattutto la gioventù , pensavano doversi uscire contro il nemico e non starsi in trascuranza : il perchè ristrignendosi in brigate erano in gran contrasto, bramando alcuni la sortita , altri opponendosi. Gli indovini stessi cantavano oracoli d’ogni maniera , che ciascuno intendeva secondo l’inclinazione dell’ animo. Gli Acarnei che si credevano la non menoma parte della Repubblica ateniese , vedendo il guasto delle loro terre , più di tutti instavano

per la sortita. Così la città era per ogni lato in sommossa, e tutti pieni di sdegno contro Pericle. Non più ricordavano i consigli dati dianzi da lui, lo avevano ora per un vigliacco , perchè, generale com' era , non li conduceva contro il nemico, e lo accagionavano di tutti i loro disastri.

Pericle vedendo che adirati per il presente stato di cose discorrevano il peggio, ed avendo per giusta la sua determinazione di opporsi alla sortita, non più teneva adunanze popolari, nè alcun consiglio particolare, per paura che, riuniti per impeto furibondo più presto che per riflessione, non trascorressero a qualche sbaglio ; ma teneva guardie per la città, e vi manteneva a tutto potere la calma. Mandava fuori continovamente delle bande di cavalli, per impedire agli scorridori dell’ esercito nemico di gettarsi sulle campagne adiacenti alla città e scorrazzarle. Nei Frigii scaramucciarono una squadra di cavalli ateniesi uniti coi Tessali da una parte , e la cavalleria dei Beozii dall’altra : ove gli Ateniesi ed i Tessali non ebbero la peggio , finché , sopravvenuta a soccorso dei Beozii la milizia grave, furono messi in fuga. Pochi morirono dei Tessali e degli Ateniesi, che il giorno stesso ripresero senza salvocondotto i cadaveri dei loro ; e il dì seguente i Peloponnesi ersero trofeo. Gli Ateniesi avevano cotesto sussidio dei Tessali per antico trattato di alleanza, ed erano venuti a loro dalla Tessaglia i Larissei» i Farsalii, i Paralii, i Cranonii, i Pirasii, i Girtoni, i Ferei. Quei di Larissa avevano per capitano Polimede ed Aristenoo, ciascuno dei quali comandava la sua parte ; e Menone guidava i Farsalii : e parimente gli altri popoli avevano città per città i loro capitani.

I Peloponnesi vedendo che gli Ateniesi non uscivano loro incontro, levato il campo da Acarne, saccheggiarono alcune altre villate infra il monte Parnete e Brilesso : e mentre tuttora si trattenevano nell’Attica, gli Ate

niesi spedirono in giro al Peloponneso le cento navi, clie andavano preparando , entrovi mille soldati di grave armatura e quattrocento arcieri, sotto il comando di Carcino figliolo di Xenotimo, di Protea d’Epicle, e di Socrate di Antigene , i quali salparono con questo apparato , e costeggiavano il Peloponneso. I Peloponnesi rimasero nell’Attica sinché ebbero vettovaglia ; poi si ritirarono marciando per là Beozia, non dalla parte ove erano entrati. In passando da Oropo davano il guasto alla campagna chiamata Piraica, posseduta dagli Oropii vassalli degli Ateniesi ; giunti poi nel Peloponueso si separarono, per tornare ognuno alla propria casa.

Dopo la loro ritirata gli Ateniesi, risoluti di guardar l’Attica per tutto il tempo della guerra, messero presidii dalla parte di terra e di mare. Determinarono poscia si levassero mille talenti dal denaro depositato nella rocca , si mettessero a parte, non si spendessero e si sostenesse la guerra solo col rimanente. Per chi parlasse o proponesse il partito di impiegar questa somma per qualsivoglia altr’ uso ( salvo che i nemici assaltassero la città con armata navale e bisognasse respignerli ), decretarono pena di morte. Oltre a questi mille talenti, sceglievano ogni anno le migliori triremi , sino a che sommassero a cento, ed i trierarchi di quelle : di nessuna delle quali volevano fosse lecito usare giammai eccetto che insieme con quei mille talenti, all’ occorrenza di ovviare al medesimo pericolo.

Ma gli Ateniesi che colle cento navi erano attorno al Peloponneso, e con cinquanta i Corfuotti venuti a loro soccorso, più alcuni altri alleati di quei luoghi, oltre il guasto dato altrove scorrazzando quei dintorni, fecero scala a Metona della Làconia, e diedero l’assalto alle mura che erano deboli e con poca gente. Posciachè ciò pervenne a notizia di Brasida cittadino spartano, figliolo di Tellide, che per avventura era colla sua guarnigione

m coleste vicinanze, andò con cento di grave armatura a soccorso di quella citta. Traversato di fuga il campo degli Ateniesi sparsi alla campagna e rivolti verso le mura, si getta in Metona, e sebbene nell’ entrare perdesse alcuno de9 suoi, pure salvò la città ; e per questa ardita prova fu in Sparta lodato il primo di tutti coloro che concorsero a questa guerra. Gli Ateniesi allora salparono di là, e procedendo marina marina presero terra a Fia dell9 Elide, saccheggiarono per due giorni la campagna, e vi sconfissero trecento di scelta milizia che dalla bassa Elide e da quelle vicinanze erano accorsi a difenderla. E nonostante che si levasse un vento gagliardo , e si trovassero cosi sorpresi dalla tempesta in quel luogo importuoso, la maggior parte risalirono sulle navi, e facevano il giro del promontorio chiamato Icti, sino al porto di Fia. In questo mezzo i Messemi ed alcuni altri, cui non venne fatto di montar sulle navi, presa la via di terra occupano Fia; e levati quindi dalle stesse navi che avevano fatto il giro del promontorio Icti si misero in mare, abbandonando Fia, a cui difesa era già sopravvenuto buon numero d FJei ; e continovando a rader la costa davano il guasto anche ad altri luoghi.

Quasi al tempo stesso gli Ateniesi spedirono trenta navi a soccorso della Locride e ad un9 ora stessa a guardia dell9 Eubea, sotto il comando di Cleopompo figliolo di Clinia, il quale fatto più volte scala saccheggiò alcune terre marittime , espugnò Tronio d9 onde prese ostaggi, e ad Alope vinse in battaglia i Locresi che erano venuti a difenderla.

In questa medesima estate gli Ateniesi cacciarono da Egina gli Eginesi coi fanciulli e le donne, incaricandoli d’essere stati la principal cagione di questa guerra. Senza di che pensavano che essendo Egina adiacente al Peloponneso la riterrebbero con maggior sicurezza, se vi manclasserò

colonia dei loro cittadini, come infatti poco stante fecero. Laonde i Lacedemoni diedero ad abitare agli Eginesi Tirea col suo territorio, non tanto a cagione delle differenze avevano con gli Ateniesi, quanto perchè ne erano stati beneficati al tempo del terremoto e della ribellione degl7 Iloti. Il territorio di Tirea è conterminale del suolo argivo e laconico, e si stende sino al mare. Alcuni di coloro vi presero stanza , altri si sparsero pel rimanente della Grecia.

In questa estate al nuovo mese lunare, conforme pare che allora soltanto possa ciò accadere , dopo mezzodi fu eclissi del sole, mostrandosi cornuto a guisa di luna , comparvero delle stelle, e quindi riprese la sua piena figura.

Nella medesima estate gli Ateniesi ammessero al diritto di ospitalità, ed invitarono a portarsi da loro Nimfodoro figliolo di Piteo cittadino di Abdera , che aveva gran credito presso Si talee marito di sua sorella , col fine di farsi alleato Sitalce stesso re dei Traci, figliolo di Tere. Or questo Tere padre di Sitalce fu il primo a rendere l’impero degli Odrisii più considerabile degli altri della Tracia ; essendo che gran parte dei Traci vivono in libertà. Questo Tere però non aveva nulla che fare con quel Tereo che ebbe per moglie Procne figliola di Pandione d’Atene, avvegnaché non furono pure d’una medesima Tracia. Tereo certamente dimorava in Daulia del territorio ora denominato Focide , abitato allora dai Traci. È questo il paese ove le donne commisero il noto misfatto d’Iti ; per lo che molti poeti nel rammentare l' istoria del rusignuolo gli danno il nome d’uccello daulio. È poi probabile che per scambievole vantaggio Pandione strignesse il parentado della figliola con questo Tereo a lui più vicino , invece che coll’ altro degli Odrisii distante il viaggio di parecchie giornate. Tere dunque, che non por-

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tava pure il medesimo nome dell’altro , fu il primo a regnare con piena autorità sopra gli Odrisii ; il cui figlio Sitalee gli Ateniesi fecero loro alleato, intendendo che gli aiutasse a ricuperare le città della Tracia, e a conciliar con esso loro Perdicca. Pervenuto Nimfodoro ad Atene concluse la confederazione di Sitalce , ed ottenne a Sadoco figlio di lui il diritto di cittadinanza ateniese : prese ancora l’incarico di por fine alla guerra di Tracia, promettendo arebbe persuaso Sitalce a mandare agli Ateniesi delle bande di cavalli traci e fanti armati di rotelle. Indusse a restituir Terma e rappattumò con gli Ateniesi Perdicca , il quale unì subito le sue armi con essi e con Formione ai danni dei Calcidesi. Ecco come Sitalce figliolo di Tere re dei Traci, e Perdicca di Alessandro re dei Macedoni, divennero alleati degli Ateniesi.

Questi colle cento navi trovandosi tuttora intorno al Peloponneso, prendono Solio cittadella dei Corintii, e di essa e del suo territorio investono i soli Paliresi , esclusi gli altri Acarnani. Espugnarono Astaco ove si era latto tiranno Evarco : cacciaronlo, ed aggiunsero il paese alla loro alleanza. Andarono poscia colla flotta all’ isola di Cefallenia e se ne insignorirono senza combattimento. Quest’ isola è situata rimpetto all’Acarnania ed a Leucade , ed ha quattro città ; ciò sono, quella dei Pallesi, de’ Cranii , de’ Samei, e de’ Pronei. Poco dopo , la flotta ritornò alla volta d’Atene.

Circa l' autunno di questa estate gli Ateniesi, a pieno popolo, tanto cittadini che inquilini, andarono ad assaltare la campagna megarcse, sotto la condotta di Pericle figliolo di Xantippo. Quei delle cento navi intorno al Peloponneso, nel ritornare a casa , arrivati ad Egina ebbero notizia che quei d’Atene con tutto l' esercito erano a Megara : laonde indirizzaronsi colà per riunirsi con loro. E però questo , tutto insieme , fu l' esercito più numeroso

degli Ateniesi ; avvegnaché la città era ancora nell’auge di sua grandezza, non essendo per anche stata afflitta dalla pestilenza. Infatti gli Ateniesi propio non erano meno di diecimila di grave armatura , senza quei tremila che avevano a Potidea. Nè meno di tremila inquilini di grave milizia si erano uniti ad essi in questa spedizione, senza contare l' altra turba non piccola di milizia leggera. Colà devastato che ebbero gran parte del territorio , si ritirarono. Accaddero successivamente anno per anno, durante la guerra , molte invasioni si della cavalleria, che di tutte insieme le genti ateniesi nel megarese , sino a che da loro nou fu presa Nisea.

Sul cadere di questa estate fu dagli Ateniesi col guarnimento di mura fortificata Atalanta , isola per l’avanti disabitata che guarda i Locri Opunzii ; per impedire ai corsari che uscivano da Opunte e dall’ altre parti della Locride di danneggiare l’Eubea. Tali sono i fatti avvenuti in quest’ estate, dopo la ritirata de’ Peloponnesi dall’Attica.

Nel sopravveniente inverno E varco , l' acarnano, volendo rientrare in Astaco, persuade i Corintii a ricondurvelo , andandovi con quaranta navi e mille cinquecento soldati di grave armatura, tanto più che egli stesso aveva assoldato alcuni ausiliarii. Erano capitani dell’ armata Eufamida figliolo d’Aristonimo , Timosseno di Timocrate ed Eumaco di Criside , che recatisi colà , lo ricondussero. Volevano ancora impadronirsi di alcuni castelli del resto delFAcarnania contigua al mare ; ma riuscita vana la prova, ritornarono a casa. Nel loro tragitto , approdarono a Ce fa Ilenia , e fatto scala sulle terre dei Cranii t furono da essi delusi ; perocché , sotto colore di trattato, corsero improvvisamente loro addosso , uccisero parte di loro gente, cosicché gli altri a gran fatica si sottrassero, e ritornarono a casa.

In quel medesimo inverno gli Ateniesi, seguendo le patrie costumanze, fecero le pubbliche esequie ai primi morti in questa guerra: ed eccone le cerimonie. Tre giorni innanzi alzano un gran padiglione, ove espongono alla pubblica vista gli ossami degli spenti, e ciascuno fa al proprio parente quell’offerta che più gli aggrada. Giunto il di del trasporto al sepolcro, portano su carri delle arche di cipresso (una per tribù) entrovi le ossa di ciascheduno, secondo la tribù cui apparteneva : una sola bara per onorar quei, dei quali, per non essere stati ritrovati , non si sia potuto riavere il cadavere , coperta di coltre è portata vuota. Chiunque voglia, cittadino o straniero , accompagna la funerea pompa, e le donne parenti intervengono alla sepoltura e vi fanno gran corrotto. Vengono poscia locati in un pubblico monumento situato nel più bel sobborgo della città, ed ivi sempre usano di seppellire i morti in guerra , da quei di Maratona in fuori, ai quali, per lo straordinario loro valore, diedero là, a Maratona stessa, la sepoltura. Or coperti che gli hanno di terra , un personaggio a ciò dalla città scelto, che per prudenza e dignità tra i primi si annoveri , pronunzia su di essi il conveniente elogio, e dopo ciò si ritirano. Queste sono le cerimonie onde danno sepoltura ; e in tutto il tempo della guerra f quando ciò fare accadesse, cosi praticavano. Ad encomiar pertanto questi primi fu scelto Pericle tìglio di Xantippo : giunta l’ora opportuna si avanzò egli dal monumento alla ringhiera situata in alto , acciò potesse essere inteso più in lontananza dalla moltitudine, e così favellò :

« I più tra coloro che da questo luogo lian parlato , lodarono colui che aggiunse all’ altre leggi e riti quel dell’elogio, cui pronunziare reputò decoroso al sepolcro dei morti in guerra : a me però sembrerebbe compiuta l'opera , se d’uomini valorosi nei fatti, coi fatti pur si

mostrassero le onoranze ( quali appunto sono gli apparecchi che per pubblico voto avete in questa occasione sottocchio ), e non si compromettesse il valor di molti in un solo , da dovergli credere meglio o peggio eh9 et dir ne possa. Ed invero difficile è tenere la via mezzana nel dire là dove appena riuscir tu possa a procacciarti opinione di veritiero : conciossiachè all’ uditore benevolo e consapevole parrà forse essersi detto meno di ciò ch’ei s’aspetta chi poi è ignaro dei fatti, per gelosia crederà talora e sa: esagerato il tuo dire , se qualche cosa ascolti al di là delle proprie forze. Le lodi dJ altrui si tollerano sino b che ciascuno si reputa da tanto di potere eseguire alcuna delle cose che ascolta encomiarsi ; invidiosi per quel che ci supera , non vi prestiamo più fede. Nondimeno, dappoiché parve ai padri nostri bene in questa guisa stabilito , deggio anch’ io , seguendo le costumanze antiche, porre ogni mio sforzo per sodisfare, il più che per me si potrà, alla volontà ed alla espettazione di ciascuno di voi.

« Dagli avi adunque mi rifarò : giusto infatti e decoroso egli è, eh’ ei s’abbiano in questo elogio l’onore di grata ricordanza, ei che continuamente questa regione abitando, l' hanno col proprio valore libera consegnata alla successione dei posteri. Che se degni sono essi di lode , non men lo sono i padri nostri, i quali, oltre all’avuto retaggio , si acquistarono l’impero presente, e non senza fatiche a noi che qui siamo lo lasciarono. Ma l’incremento più grande di esso a noi è dovuto, sì a noi soprattutto (quanti siamo nell’ età più ferma) che questa Repubblica abbiam reso nelle bisogne , sì della guerra che della pace, fiorentissima. Delle guerresche azioni degli avi, per cui ciascuna cosa acquistammo , o se nulla abbiam noi fatto o i padri nostri , respignendo vigorosamente le greche guerre e le barbare che ci piombavano addosso , non farò menzione , per non esser prolisso dinauzi a voi che tutto ciò

non ignorate : bensì dopo avervi prima dimostrato , in forza di quali insti luti , di qual civile e moral governamento siam giuuti al prosperevole presente stato di cose, passerò ad encomiare i morti ; sì perchè ciò, a mio avviso , disconvenevole non sia a rammentare, sì perchè non poco importi l' udirlo a tutta la moltitudine dei cittadini e degli stranieri.

« Tal governo pertanto si è il nostro (chiamato appunto democrazia, perchè amministrato non da pochi ma dai più) che nulla abbiamo da invidiare all' altrui legislazione ; anzi, piuttosto che imitar gli altri, siamo degli altri il modello. Tutti giusta le leggi vi sono eguali nelle particolari controversie : quanto poi alle pubbliche dignità, ciascuno viene anteposto non pel distinto suo grado principalmente, ma sì per la virtù, secondo che in alcuna cosa si mostri eccellente : nè, sia pur povero , purché abile a giovare alla Repubblica , gli è d’impedimento alle cariche l' oscurità del suo stato. INoi liberalmente procediamo nelle pubbliche faccende ; nè , per il reciproco sospetto cui danno materia le quotidiane occupazioni, prendendo alcuno in odio se qualche cosa faccia per suo mero piacere , componiamo il nostro volto a quell’ aria contegnosa , che, sebbene altrui non nuoce , pure è molesta. Tale essendo il viver nostro in niun modo grave ad alcuno nelle domestiche brighe, non però , per quel rispettoso timore che tanto può su noi, contravvegnamo all’ ordin pubblico, ma a quei, che di mano in mano preseggono, obbediamo, come anche alle leggi ; specialmente a quelle che stanno a difesa degli oppressi, ed a quante altre , le quali sebbene non iscritte, pure arrecano, trasgredendole , per comun sentimento vergogna.

« Abbiamo anche procacciato all7 animo nostro diversi sollievi alle fatiche , sia coli’ istituir giuochi e feste annuali, sia coll’ eleganza delle private suppellettili, di

cui il quotidiano diletto bandisce spaurita la melanconia. Qua per l' ampiezza della città nostra vengouo le derrate della terra tutta , e ci avviene di godere delle cose die gli altri paesi producono , come se meno nostre non fossero di quelle che qui nascono.

« Siamo poi superiori ai nemici nelle cose di guerra per queste ragioni. Noi rendiamo la città nostra comune a tutti ; nè mai addiviene che col discacciarne i forestieri escludiam chicchessia da alcun pubblico insegnamento o spettacolo, la vista del quale (ove occultato non fosse) potesse giovare ad alcun de’nemici ; perchè poniamo nostra fidanza, non nelle pompe dei preparamenti o nelle astuzie, ma sibbene nel coraggio degli animi nostri per le imprese. Gli Spartani col loro travaglioso esercitamento, subito dai primi anni affettano robustezza virile ; noi, tuttoché più discretamente cresciuti, non per questo abbiamo meno ardimento in pericoli eguali : prova ne sia che non mai essi da sè soli, ma con tuttolo sforzo degli alleati, portano le armi sul nostro territorio, laddove noi , da noi soli assaltando quel degli altri, riusciamo spesse fiate e con facilità vincitori , sebbene in paese altrui, incontro a gente che per il proprio combatte. Nè alcuno dei nemici s’ è peranche incontrato con tutta l’oste nostra insieme raccolta ; tra perchè attendiamo in mi medesimo tempo al mare, e perchè molte spedizioni facciamo in terraferma : ma qualora si azzuffino con una piccola parte di nostre genti, se vincitori, van dicendo averci respinti tutti ; se vinti, essere stati da tutto insieme l’esercito sconfitti. Pure , quantunque allevati più mollemente, non coll' esercizio di dure fatiche , quantunque non con generosità d’animo dalle leggi formata piuttosto che propria dell’ indole nostra, noi ci facciamo ad affrontare i pericoli ; risulta nondimeno per noi di non affannarci innanzi tempo per le future calamita ; ma se vi ci troviamo , non meno

ardili dimostrarci di loro che menano la vita sempre in mezzo agli stenti.

« Nè per questi soli rispetti è degna di ammirazione la nostra Repubblica , ma per altri ancora. Conciossiachè usiamo eleganza ma con frugalità , sappiamo (ària da filosofi senza scemar la vigoria dell’ animo nostro ; ed all’ occasione ricorriamo al tesoro di nostra attività , non alla jattanza di vane parole : confessar la propria povertà non è vergogna ad alcuno, ma più lo è il non adoprarsi ad uscirne. Sanno in questa nostra Repubblica le medesime persone darsi cura delle domestiche e delle civili faccende : altre, quantunque intese al lavoro, non però men bene conoscono ciò che risguarda la cosa pubblica. Noi siamo i soli, appo i quali, chi tiensi fuori da queste cure politiche non uomo inoperoso, ma a nulla abile è dichiarato : ed un medesimo cittadino sa ben pensare degli affari , e drittamente giudicare di ciò che altri ne pensi ; perchè reputiamo non le deliberazioni pregiudichino ai fatti, ma sibbene la mancanza della debita deliberazione , prima di passare ai fatti. Or vanto tutto nostro si è di avere il più deciso coraggio nelle cose che intraprendiamo, e di ben calcolarle ; mentre negli altri l' ignoranza ingenera pazzo furore, e il calcolo timida irresoluzione. Laonde generosissimi a buon dritto hanno a reputarsi quelli , i quali tutto che consapevoli degli orrori della guerra e delle dolcezze della pace, non però fuggono dal rischio. Quanto poi alla cortesia , noi la sentiamo all’opposto degli altri ; mentre non i ricevuti benefizi ma i compartiti ci procacciano gli amici : ora , chi è il primo a beneficare altrui è amico più stabile portato a conservare nel beneficato quel favore di che per propria benevolenza si venne quasi a far debitore : ma chi è vero debitore di benefizio , è più ottuso nell9 amicizia , sapendo che ricambierà altrui di buona opera più presto per sdebitarsi

che per corteseggiare. Ond' è clie noi soli gioviamo francamente a chicchessia, non più per calcolo d?interesse , che per quella fiducia che la nostra liberalità ci inspira.