History of the Peloponnesian War

Thucydides

Thucydides. Della storia di Tucidide volgarizzata libri otto. Anonymous translator. Florence: Tipografia Galileiana, 1835.

Di qui ornai incomincia là guerra degli Ateniesi e Peloponnesi, e dei loro scambievoli alleati, nel processo della quale non praticavano più tra loro senza il Caduceo ; ma intrapresa che l' ebbono, guerreggiavano continuamente. Ella è esposta, secondo l’ordine dei fatti accaduti, per estati e per inverni.

La tregua dei trent9 anni, fatta dopo la presa di Eubea, dvea durato quattordici : ma nel decimoquinto, essendo Criside già da quarantott’ anni sacerdotessa in Argo, Enesio eforo in Sparta, e Pitodoro ancora per un bimestre arconte in Atene, sei mesi dopo la battaglia di Potidea, al cominciar della primavera poco più di trecento Tebani, guidati da Pitàngelo figliolo di Filida, e da Diemporo di Onetoride, ambidue Beotarchi, sul primo sonno entrarono armati in Platea della Beozia, città confederata con Atene, invitati da alcuni Plateesi che apersero loro le porte (ciò furono Nauclide e i suoi partigiani), i quali a procacciarsi potenza, volevano trucidare i cittadini della

fazione contraria, e soggettare la città ai Tebani. La trama riuscì, favoreggiandoli Eurimaco figliolo di Leonziade, personaggio potentissimo in Tebe: perocché i Tebani, prevedendo insorgerebbe la guerra , innanzi che ella manifestamente scoppiasse, e mentre ancora durava la pace, bramavano preoccupare Platea città mai sempre loro nemica. Il perchè, non essendovi di prima posta guarnigione , agevolmente e non avvertiti vi entravano : e fermatisi armati nella piazza, non vollero, secondo che gli confortavano quci che li avevano introdotti, venir subito ai fatti ed investire le case dei nemici. Erano anzi di avviso di usare gride discrete, e piuttosto indurre ad amichevole accomodamento la città, stimando che per queste maniere ella si sarebbe più facilmente accostata alla loro parte. Promulgavano adunque per il banditore , che qualunque , conforme la patria usanza di tutti i Beozii, volesse entrar nella lega, prendesse le armi coi Tebani.

Come i Plateesi sentirono essere i Teban» già dentro le mura, ed occupata improvvisamente la città, credettero vi fossero entrati in numero assai maggiore, perché essendo notte non li scorgevano : ed impauriti calarono agli accordi, accettarono le condizioni, e restarono tranquilli ; tanto più che i Tebani non facevano contro chicchessia stranezza veruna. Ma mentre ancora trattavano ciò, osservarono non esser molti i Tebani, e giudicarono facile la vittoria, assalendoli ; essendo che il popolo di Platea mal volentieri ribellavasi agli Ateniesi. Risolvettero adunque esser ciò da tentare ; e per tener colloquio tra loro sfondavano le pareti comuni delle case per non esser visti correr le strade, a traverso delle quali mettevano carri senza giumenti per servir di barricate, e accomodavano le altre cose come e dove credevano che sarebbe utile pel momento. Ordinato tutto il meglio potevano, si scagliarono dalle case sopra i Tebani, cogliendo il ponto

Goode

che era ancor notte, e propio in sull’ albeggiare, perchè temevano di trovarli più arditi in piena luce, e perchè e' non potessero oppor loro egual resistenza. Anzi rendendosi essi nella notte più formidabili per la pratica che avevano della città, speravano resterebbero i Tebani sopraffatti : però li assalirono immantinente e vennero tosto alle mani.

I Tebani conosciuto lo sbaglio si ristrignevano tra loro, e respingevano gli assalitori dalla parte onde gli investissero. Due o tre vohe gli ributtarono; ma finalmente, serrandosi loro addosso i Plateesi con furia strepitosa, e ad un’ora stessa le donne e i servi tra gli schiamazzi e gli urlamenti percuotendoli dalle case con sassi e tegole, e di più caduta essendo nella notte dirotta pioggia , impaurirono; e voltata faccia fuggivano per la città tra il fango ed il buio (perchè la cosa accadde sul finir del mese) senza sapere i più ove scampare , ed incalzati da gente ben pratica da non lasciarli scapolare ; così che per la maggior parte erano trucidati. Un plateese serrò la porta onde erano entrati, la sola che fosse aperta, mettendo negli anelli per catenaccio la punta della lancia, talché neppure per quella potevano uscire. Perseguitati adunque per la città alcuni salirono sulle mura e si precipitarono fuori, morendovi i più ; alcuni con una scure prestata loro da una donna ruppero di soppiatto la sbarra di una porta abbandonata, e pochi ne uscirono perchè la cosa fu presto risaputa ; altri erano qua e là uccisi sparsamente per la città. Ma il maggior numero,e sopra tutto quelli che si erano ristretti insieme, si cacciano in un gran torrione delle mura, la ^ porta per avventura non era chiusa, credendo esser quel torrione una porta della città, e che sicuramente desse usata per fuori. I Plateesi vedendoveli incappati deliberavano, se così come si trovavano ve li avessero a bruciare dando fuoco al torrione, ovvero trattarli altramente.

Finalmente costoro, e tutti gli altriTebani che restavano ancora vagando per la città, convennero co’ Plateesi di rendersi a discrezione, ponendo giù le armi. Così procederono le cose per quelli entrati in Platea.

Gli altri Tebani poi che col corpo dell’esercito dovevano giugnervi prima che finisse la notte, caso che per gli entrati andasse qualche cosa in sinistro, udito per via l' accaduto ( già che Tebe è distante da Platea settanta stadi) si avanzavano per soccorrerli. Ma l’acqua caduta nella notte li rese più lenti nel cammino ; imperocché il fiume Asopo aveva menato gran corrente, ed era difficile guadarlo. Marciando pertanto con la pioggia, e passato il fiume a gran pena, arrivarono troppo tardi, quando già quei di dentro erano stati parte trucidati, parte fatti prigioni. Appena i Tebani riseppero ciò, pensarono di tendere agguati ai Plateesi che erano fuori di città ; conciossiachè , come suole intervenire in un disastro inaspettato ed accaduto duranti le tregue, la gente con le masserizie era sparsa alla campagna. Era anche loro intendimento , ove arrestassero qualcuno , di ritenerlo in iscambio dei loro rimasti prigioni in città, posto che alcuno sopravvivesse. Ciò andavano ravvolgendo nell’animo : ma i Plateesi, mentre che costoro stavano tuttora deliberando, vennero in sospetto di ciò che poteva accadere, e temendo per quei di fuori, spedirono un araldo ai Tebani , richiamandosi dell’ ingiuria fatta loro per aver tentato di occupar Platea in tempo di tregua, ed intimando non malmenassero le cose di fuori : altramente, soggiugnevano, ucciderebbono quei di loro gente che ritenevano vivi, dove, ritirandosi dal territorio, li restituirebbero. In questa guisa raccontano il fatto i Tebani, e dicono che i Plateesi vi aggiunsero il giuramento. I Plateesi, all’opposto , non convengono d’aver promesso di rendere addirittura i prigionieri, ma solo quando nell’abboccamento

che doveva tenersi prima tra loro si fossero, in qualche modo, trovati d' accordo ; e negano d' avervi aggiunto il giuramento. Comunque sia, i Tebani si ritirarono dal ter» ritorio, senza averlo punto danneggiato. E i Plateesi, introdotto prima frettolosamente in città tutto ciò che era in campagna, ammazzarono subito i prigioni i quali erano cent’ottanta, tra questi Eurimaco con cui avevano condotto il maneggio quei che volevano tradir la patria.

Fatto ciò mandarono avviso ad Atene, restituirono con salvocondotto i cadaveri ai Tebani, ed ordinarono lo stato della città nel modo il più acconcio alle cose presenti. Gli Ateniesi ragguagliati tostamente dei fatti di Platea y arrestarono subito quanti Beozi erano nell’Attica, e spedirono araldo ai Plateesi con ordine di dir loro che non facessero innovazione su quei Tebani che avevano prigionieri, prima che anche in Atene si fosse risoluto qualche cosa intorno ad essi. Ignoravano gli Ateniesi che i prigioni erano stati morti, essendo partito il primo nunzio in subentrar dei Tebani, ed il secondo appena ch' ei furono vinti e rinchiusi : laonde erano, interamente all’ oscuro dei fatti posteriori, e però avevano mandato quell’ araldo, che al suo arrivo trovò coloro già uccisi. Allora gli Ateniesi mandarono delle truppe a Platea, portaronvi vettovaglie , lasciaronvi presidio, e condussero via gli invalidi colle donne ed i bambini.

Dopo questo fatto di Platea essendo manifestamente rotta la tregua , gli Ateniesi si preparavano alla guerra : preparavano co’ loro alleati anche i Lacedemoni, ed erano entrambi in su lo spedire ambasciate al re ed altrove ai barbari, donde che potesse sperarsi di trarre qualche soccorso, e si imivano con quelle città che erano fuori del loro dominio. I Lacedemoni, in aggiunta allo navi avevano nel Peloponneso, commettevano ai popoli die seguitavano la parte loro in Italia di costruirne un numero

proporzionevole alla grandezza delle città, talché in tutte sommassero a cinquecento: di avere in pronto il denaro imposto , starsene dèi rimanente tranquilli, e non ricettare gli Ateniesi, salvo che con una sola nave, fino a che queste cose fossero tutte apparecchiate. Gli Ateniesi recavano a novero gli alleati che avevano ; ma erano principalmente intesi a spedire ambasciatori nei luoghi attorno al Peloponneso, cioè a Corfù, a Cefallene, agli Acamani, a Zacinto ; perchè vedevano che avendo amici cotesti luoghi , sosterrebbero certamente con superiorità la guerra nei contorni del Peloponneso.

Grandi pensieri ravvolgevano entrambi nella mente,, e con tutto l’ardore si disponevano alla guerra : nè meraviglia; perchè tutti nel cominciamento delle cose hanno maggior veemenza. Era allora il tempo che la numerosa gioventù del Peloponneso e d’Atene di buona voglia intraprendeva la guerra, perchè di essa inesperta ; e tutto il rimanente di Grecia era in gran sollevazione dell’animo, in vedendo le due primarie Repubbliche venir tra loro a contesa. Molto si udiva parlare di risposte d’oracoli, molti presagi in versi cantavano gli indovini, sì nei luoghi oy’ era bramosia di guerra, sì negli altri. Senza di che poco innanzi a. questi avvenimenti fu scossa da terremoto Deio, che a memoria dei Greci non aveva mai per lo addietro sofferto ciò; e dicevasi e credevasi comunemente essere quello stato il segnale delle future calamità ; e qualunque cosa di simil fatta accadesse, tutto particolarmente si investigava. Ciò non pertanto la benevolenza dei popoli inchinava maggiormente ai Lacedemoni, tanto più ch’ei si spacciavano per liberatori della Grecia : e ciascuno in particolare e le città insieme , tutti travagliavansi ansiosamente per cooperare con esso loro con parole o con fatti, avvisando ognuno dover restare impediti gli affari là appunto, ove mancasse l’opera sua. A tal seguo

]a maggior parte avevano in odio gli Ateniesi ; desiderando alcuni d’esser liberati dal loro dominio, altri temendo di non esservi sottoposti. Con tale apparecchio e concitamento dell’animo erano in su le mosse.

Or le due parti si misero in guerra avendo confederate queste città. Dei Lacedemoni erano alleati tutti i Peloponnesi dentro dell’ istmo, eccetto gli Argivi e gli Achei che erano in amiciria con entrambi : nondimeno gli Achei unirono poscia le loro armi con Sparta ; in principio solamente quei di Pailene , quindi tutti gli altri. Fuori del Peloponneso poi, i Megaresi, i Locrii, i Beozii, i Focesi, li Ambracioti, i Leucadii, gli Anattorii. Tra questi somministravano la flotta i Corintii, iMegaresi, i Sicìonii, i Pelleni, gli Elei, gli Ambracioti, i Leucadii ; la cavalleria i Beozii, i Focosi, i Locrii : le altre città davano la fanteria. Questi erano i confederati dei Lacedemoni. Degli Ateniesi lo erano i Chii, i Lesbii, i Plateesi, i Messemi di Naupatto, la maggior parte degli Acarnani, i Corfuotti, li Zacintii, ed altre molte città che tra tanti popoli erano loro tributarie ; la Caria marittima, i Dorii confinanti co’Cani, l’Ionia, l'Ellesponto, le città di Tracia , tutte l' isole che infra il Peloponneso e Creta guardano a levante , e tutte le altre Gcladi salvo Melo e Tera. Fra questi somministravano la flotta i Chii, i Lesbii ed i Corfuotti ; gli altri fanteria e denaro. Tale era da ambe le parti lo stato dell’ alleanza e l’apparecchio per la guerra.

I Lacedemoni subito dopo i fatti di Platea mandarono in giro alle città alleate nel Peloponneso e fuori ordine, di allestir gente e provvisioni rispondenti ad una spedizione fuori del proprio paese, dovendosi portar la guerra nell’Attica. Quando poi al tempo prescritto ebbero tutto in pronto, i due terzi di ciascuna città si riunivano sull' istmo. E poiché fu congregato tutto l' esercito, Archidamo re dei Lacedemoni, generale di questa spedizione,

convocati i capitani di tutte le citta, le persone di maggiore stato, e tutti quei che più meritavano d’inter« venire, prese a parlar cosi.

« Valorosi Peloponnesi e confederati : quantunque anche i padri nostri abbiano fatto molte spedizioni sì dentro che fuori il Peloponneso, e tra noi i più attempati non sieno inesperti della guerra ; nondimeno sino ad ora non siamo mai usciti con apparecchio più grande. Considerate però che potentissima è la città , contro cui andiamo adesso noi in numero grandissimo e col fiore delle nostre truppe. Il perchè non abbiamo a mostrarci nè minori dei padri, nè della propria nostra reputazione : avvegnaché Grecia tutta per la nostra mossa è sollevata ed a noi dirizza l’animo suo, anelando, per odio verso gli Ateniesi, al felice riuscimento dei nostri disegni. Ma con tutto che sembri andar noi contro al nemico con esercito grandissimo, ed esservi gran sicurezza da credere che non oserà venire a battaglia con noi ; non vuoisi però marciare meno circospetti e preparati : anzi e capitano e soldato di ogni città si aspetti quanto a sè ad ogn’ ora il cimento ; conciossiachè incerte sono le cose della guerra, e gli assalti d’ordinario si fanno ad un tratto e col bollore delibammo. Sovente un esercito più piccolo ma circospetto ne rispinse con maggior vantaggio uno più numeroso, ma trascurante per disprezzo. In paese straniero debbono i soldati aver pieno l' animo di ardimento, ma tenersi pronti alla zuffa con cauto timore : cosi saranno più generosi nell' assalire il nemico, e meno pericolanti nel sostenerne l’impeto. Or noi non andiamo contro una città mancante di forze a segno da non resisterci, ma di tutto completamente fornita. Però , sebbene mentre che siamo tuttora lontani, gli Ateniesi non si sieno mossi , pur dobbiamo indubitatamente aspettarci che verranno a battaglia, quando ci veggano guastar le loro terre e distruggere

i beni loro. Imperocché al vedersi sotto gli occhi una repentina insolita sciagura , ognun s’ accende di rabbia ; e quei che meno usano della riflessione » vengono ai fatti col più gran furore. Così più d’ogni altro è da credere che adopreranno gli Ateniesi, pei quali é puntiglio d’onore il comandare altrui, ed assaltare e devastare le terre degli altri, più presto che vedere il guasto delle loro. Persuasi adunque di far guerra a Repubblica sì potente, e di dovere, nell'alternar delle conseguenze, riscuoterne p^r noi e pei nostri maggiori riputazione del più gran rilievo f marciate per le vie che vi additino i vostri capitani, gelosi sovrattutto della buona ordinanza e cautela, e pronti agli ordini che riceviate : poiché il mostrare che in numeroso esercito una è la militar disciplina, si é ciò che maggiormente procaccia onore e sicurezza ».

Archidamo ciò detto e sciolta l’adunanza, prima di tutto spedisce ad Atene Melesippo, cittadino spartano, figliolo di Diacrita , per tentare se gli Ateniesi, al vederli già in cammino, più facilmente cedessero in qualche cosa. Ma egli non fu ricevuto in Atene e molto meno in consiglio , essendo innanzi prevalsa l’opinione di Pericle, di non ammettere araldo nè ambasceria dei Lacedemoni, condotto che avessero l' esercito in campagna. Lo rimandano adunque prima di udirlo , intimandoli uscisse dai confini il giorno 6tesso ; e per l’avvenire i Lacedemoni, quando fossero rientrati nelle loro terre, mandassero pure le ambascerie che volevano : spediscono quindi gente con Melesippo ad accompagnarlo, affinchè non si abboccasse con alcuno. Giunto egli ai confini ed essendo presso a dipartirsi , proseguì la sua gita dette queste sole parole : « Questo medesimo giorno sarà principio ai Greci di grandi calamità ». AI suo ritorno, quando Archidamo ebbe inteso che gli Ateniesi non cederebbero in nulla, levò il campo, e s' avanzava coll' esercito verso il loro territorio. I Beo-

^ii, che uniti in questa spedizione davano ai Pelopotmesi parte dei loro fanti c cavalli, andarono col rimanente a Platea e saccheggiavano la campagna.

Ma intanto che i Pelopoimesi si andavano adunando sull5 istmo ed erano in cammino , prima che assaltassero l’Attica, Pericle di Xantippo , uno dei dieci capitani ateniesi, persuaso che l’invasione sarebbe accaduta , venne in sospetto che Archidamo suo ospite lascerebbe intatte, c non gli guasterebbe le possessioni ; sia che volesse così gratificarlo di propria volontà ; sia che potesse ciò accadere pei conforti dei Lacedemoni che bramavano screditarlo, e che, mirando a lui, avevano intimato si purgasse la contaminazione. Laonde divulgò nell’ adunanza degli Ateniesi , essere Archidamo suo ospite, ma ciò non dover causare alcun detrimento alla Repubblica ; e se le sue terre e ville non fossero guastate dai nemici come quelle degli altri , ei I9 rilasciava in mano del popolo, acciò non vi fosse alcun argomento di sospetto contro di lui. Ed anche adesso li confortava come per l’innanzi a prepararsi alla guerra, a trasportare in città quel che era in campagna; non far sortite contro i nemici, ma ridursi in città e guardarla ; metterò compiutamente in ordine la flotta, loro forza principale, e tenere in pugno gli alleati. Dimostrava, su i tributi di questi esser fondata la loro potenza, e ordinariamente l’intelligenza e la copia del denaro procacciare superiorità in guerra : li esortava a rincorarsi, atteso che la città, senza contare le altre entrate, aveva d’ordinario la rendita di seicento talenti l’anno per tributo degli alleati , e vi restavano anche presentemente nella rocca seimila talenti d’argento coniato, essendo la maggior somma stata di novemila settecento, dai quali erano state levate le spese per gli antiporti della rocca, per altre fabbriche e per Potidea. Okre di che, di argento e d’oro non coniato, tra privati e pubblici voti, tra tutto il resto del va-

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sellarne per le sacre pompe e pei pubblici giuochi, e tra spoglie dei Medi e cose di simil fatta, non vi era meno di cinquecento talenti. Aggiungeva di più, le grandi ricchezze degli altri templi, delle quali si servirebbero ; e qualora fossero affatto impediti dall9 usar tutte queste, gli aurei ornamenti posti intorno al simulacro di Minerva stessa , il quale aveva il peso di quaranta talenti d’oro purgatissimo che tutto poteva spiccarsi ¿’attorno. Avvertiva nondimeno, che quantunque l' avrebbono impiegato per la pubblica salvezza , conveniva poi rimettervelo di peso non inferiore. Cosi li rincorava quanto al denaro. Per ciò che riguarda l' esercito, mostrava esservi tredicimila soldati di armatura grave, senza gli altri sedicimila delle guarnigioni e degli spaldi : tanti appunto, tolti dai più vecchi e dai più giovani con tutti gli inquilini armati alla grave , erano quelli che vi stavano di guardia sino da principio , quando i Lacedemoni erano per assaltare l’Attica. Imperciocché di trentacinque stadii erano le mura di Falera sino al recinto della città , del qual recinto la parte guernita è di quarantatrè , restando senza presidio la porzione che è di mezzo tra le mura faleree e le lunghe. Queste poi sino al Pireo erano di quaranta stadii, e tutte guardate dalla parte esterna. L'intero circuito del Pireo , compresovi Munichia , era di sessanta stadii, ma solo la metà guarnita. Di cavalleria poi mostrava esservi mille dugento , contando gli arcieri a cavallo ; seicento arcieri a piedi, è trecento triremi buone a navigare. Tale e non minore era l' apparecchio che di ciascuna cosa avevano gli Ateniesi, quando i Peloponnesi erano da prima per assaltar VAttica , e quando si misero in guerra. Altre dichiarazioni andava facendo Pericle al suo solito , tendenti tutte a dimostrare che in questa guerra sarebbono vincitori.

Gli Ateniesi, udito che l'ebbero, seguirono il mio consiglio, e dalla campagna introducevano in città i

bambini, le donne , le masserìzie di cui usavano in casa f e sino il legname delle case che demolivano ; e facevano passare nell’ Eubea e nelle isole circonvicine gli armenti e le bestie da soma. Fastidioso però riusciva loro lo sgombero, essendo i più avvezzi a vivere continuamente alla campagna.

E tal costume , più che tra gli altri , praticava« sino da remotissima antichità tra gli Ateniesi. Imperocché , anche al tempo di Cecrope e dei primi regi sino a Teseo, ciascuna popolazione deH’Attica si reggeva da sé co' suoi tribunali ed arconti ; e, quando non v’ era di che temere f non si adunavano per le loro deliberazioni presso al re, ma ognuna aveva reggimento e consiglio particolare : anzi alcune talvolta ebbero persino guerra col re stesso, come gli Eleusini sostenuti da Eumolpo contro Eretteo. Ma venuto a regnar Teseo uomo di savio consiglio insieme e potente, oltre all’altre riforme fatte nell’Attica , abolì » consigli e le cariche di arconte dell’ altre popolazioni , t? riunì tutti in un sol corpo nella città presente , ove stabilì un sol consiglio ed un sol tribunale. E benché restasse ciascuno, come prima , abitatore e possessore dei propri fondi, obbligò tutti ad aver questa unica per città principale , la quale fu da Teseo lasciata a’suoi successori aumentata di molto, perché ornai tutti facevano con lei un solo comune. Però sin d’allora gli Ateniesi celebrano anche adesso la pubblica festa detta le Sinecie, in onore della Dea. Prima di questo tempo era città quel che ora è la rocca , o al più la porzione sotto questa che guarda mezzodì. Lo provano non solo i templi degli altri Dei che sono nella rocca , ma eziandio quelli al di fuori situati nella predetta parte della città , come quello di Giove Olimpico , di Apollo Pitio, della Terra , e quello delle Limne di Bacco, a cui onore si celebrano le feste baccanali più antiche, al dodicesimo del mese Antesterìone, come tuttora

costumano gli Ioni stessi discendenti dagli Ateniesi. Quivi altre sì riseggono gli altri vetusti templi ; e per ciò appimto d appresso è la fontana di cui si servivano per gli usi più importanti , la quale dopo essere stata restaurata dai tiranni nel modo che or si vede, ha nome le Novebocche ; e prima , quando v' erano le sorgenti scoperte , si chiamava Calliroe. Da cotesti tempi lontani resta anche adesso il rito di far uso di quell’ acqua, prima delle cerimonie nuziali e per le altre sacre funzioni. Anzi appunto perchè ivi era anticamente il luogo abitato, anche in oggi la rocca si chiama dagli Ateniesi città.

Gli Ateniesi adunque da lungo tempo praticavano insieme, abitando ciascuno colle proprie costumanze alla campagna, e per questa abitudine , anche dopo essere stati riuniti in un sol corpo di cittadinanza , i più , sì degli antichi che dei loro discendenti, sino al tempo di questa guerra, restati con tutta la famiglia ad abitare in campagna , non sapevano indursi a sgombrare : tanto più che di fresco, dopo il guasto dei Medi, avevano riordinato i loro fondi. Anzi erano afflitti, e di mal animo sopportavano il dovere abbandonare le abitazioni ed i templi, che per loro, a cagione dell’antico modo di governarsi, erano sempre i patrii: e trovandosi sul punto di cambiar tenore di vita, ciò per ognuno di loro altro non era che un lasciare la sua patria stessa.

Pervenuti in Atene , pochi ebbero abitazioni proprie e ricovero a casa d’amici o parenti ; e la maggior parte prese stanza nei luoghi disabitati della città, ed in quelli consacrati agl’ Iddìi ed agli eroi (salvo la rocca e il tempio di Cerere , e quant’altro vi era di ben chiuso), e sin anche sotto la rocca , nel recinto chiamato Pelasgico, non solo imprecato ad abitare, ma eziandio interdetto per questa chiusa di un oracolo di Delfo :

E meglio che Pelasgico sia vuoto.

ciò non pertanto attesa la repentina necessità fu abitala E parrai esser l’oracolo riuscito in senso contrario di ciò che si aspettavano, perchè non avvennero le disgrazie alla città per averlo illecitamente abitato, ma fu di mestieri abitarlo a cagione della guerra ; senza nominar la quale aveva l’oracolo previsto che quel luogo sarebbe una volta abitato all’occasione di qualche sinistro. Molti ai acconciavano anche nelle torri delle mura e dovunque ognuno poteva , stante che concorsivi tutti insieme non potevano capire in città ; laonde alla fine si scompartirono per abitare le mura lunghe e gran parte del Pireo» Ma al tempo stesso volgevano l’animo alle cose di guerra , col radunare gli alleati, e fornire cento navi per andar contro al Peloponneso. Tali erano gli apparecchiamenti degli Ateniesi.

Ma l9 esercito dei Peloponnesi proseguendo il cammino, arrivò primieramente sotto Enoa dell’Àttica, per dove volevano aprirsi, armata mano, la strada : e fatto alto si preparavano ad assaltare con macchine e con altre maniere le mura, onde era stata cinta Enoa situata sulla frontiera dell’Attica e della Beozia ; e di essa usavano gli Ateniesi come di un propugnacolo quando insorgesse la guerra. Disponevano adunque l’oppugnazione di quella terra , ma si trattennero qualche tempo senza prò intorno ad essa ; di che era principalmente accagionato Archidamo , che anche quando si trattava di riunirsi per la guerra si era mostrato poco sollecito e mal disposto a consigliarla , ed affezionato per gli Ateniesi. Inoltre, posciachè l’esercito si fu riunito, l’averlo trattenuto sull’ istmo ed il lento marciare nel resto del cammino , lo avevano messo in discredito. Ma soprattutto nocque alla reputazione d’Archidamo la fermata sotto Enoa: conciossiachè in questo stante gli Ateniesi introducevano in città le cose loro ; onde pareva che se i Peloponnesi, tolto di mezzo questo

indugio, si fossero spinti innanzi sollecitamente, avrebbodo trovato tutto ancor fuori di città : tale era il inai talento dell' esercito contro Archidamo per questa sua fermata. Egli però soprassedeva aspettandosi, come si dice, die gli Ateniesi, essendo tuttora intatte le loro campagne, cederebbero in qualche cosa, mossi dal rincrescimento di vederle disertare,

Ma poiché dato l’assalto ad Enoa e fattovi ogni prova non poterono espugnarla , e vedevano che gli Ateniesi non facevano proposizione veruna ; allora finalmente (ottanta giorni incirca dopo il fatto dei Tebani entrati in Platea), sotto la condotta del medesimo Archidamo figliolo di Zeusidamo re di Sparta, mossero il campo da Enoa, nel colmo dell’ estate, quando è già matura la messe, ed entrarono nell’Attica. Quivi accampatisi scorrevano pel territorio di Eieusi e per la pianura triasia , e fugarono una frotta di cavalli ateniesi nei contorni del luogo detto Reiti. Quindi si avanzarono per la Cecropia, avendo a destra il monte Egaleo , sino a che pervennero ad Acarne , luogo il più considerabile dell’Attica fra quei che si chiamano villate. Qui fecero alto, piantarono il campo, e vi restarono molto tempo guastando la campagna.

Dicesi che Archidamo si fermò coll’ esercito in ordinanza intorno ad A carne , senza scendere in questa prima invasione alla pianura, con questo intendimento. Sperava egli che gli Ateniesi fiorenti per numerosa gioventù ed apparecchiamenti di guerra , quanto non mai per l'innanzi, gli sarehbono forse usciti incontro , non potendo patire di vedersi devastate le loro terre. Poiché adunque non gli erano venuti incontro ad Eieusi, né alla pianura triasia , voleva tentare con questa fermata intorno ad Acarne, se almeno allora si risolvessero a far sortita contro di lui. Oltre di che il luogo parevagli opportuno per porvi il campo , e faceva stima che gli Acarnei, parte

considerevole della Repubblica ( poiché tremila di grave armatura erano dei loro ) non sarebbero indifferenti al guasto della loro campagna, ma avrebbero spinto tutti gli altri a combattere. Se poi in questa prima invasione gli Ateniesi non gli fossero usciti incontro, avrebbe allora più francamente corso la pianura e portato le armi fino sotto le mura di Atene stessa. Conciossiachè gli Acamei spogliati dei beni loro, non sarebbono ugualmente pronti ad incontrar pericoli per gli altrui, e gran discordia entrerebbe negli animi dei cittadini. Con questa intenzione Archidamo si tratteneva presso ad Acarne.