History of the Peloponnesian War

Thucydides

Thucydides. Della storia di Tucidide volgarizzata libri otto. Anonymous translator. Florence: Tipografia Galileiana, 1835.

« Ora noi, con assai giusti litoli di querelarci pei oostri violati diritti, suscitiamo la guerra, ed a tempo la cesseremo, quando avremo preso vendetta degli Ateniesi. Per molte ragioui poi hassi a credere che saremo vincitori : primieramente perchè superiori nel numero e nella pratica della guerra , dipoi perchè tutti vi andiamo egualmente pronti agli ordini dei comandanti. E la flotta in che essi sono forti l'allestiremo con gli averi particolari di ciascuno , e col denaro depositato a Delfo e ad Olimpia. Perocché, prendendolo in prestanza, siamo in grado di cavar loro di sotto , coll’allettamento di maggior soldo , le ciurme forestiere, giacché le forze degli Ateniesi piuttosto che cosa loro propria sono prezzolate ; dove alle nostre, il cui vigore è fondato sulle persone non sul denaro , non abbiamo punto a temere che ciò addivenga. Probabilmente saranno essi spacciati con una sola vittoria navale : se poi resisteranno, noi avremo più tempo per esercitarci sulla marina ; e quando la nostra perizia agguaglerà la loro, saremo indubitatamente superiori almeno per il coraggio, pregio tutto nostro , a cui procacciare non valgono insegnamenti ; laddove la maggioranza della perizia loro noi possiamo torla di mezzo coll’ esercizio. Denaro ne contribuiremo tanto da averne a sufficienza per fornire le flotte : altrimenti sarebbe una indegnità che laddove gli alleati degli Ateniesi non rifiutino di pagare imposte per il loro servaggio , noi non volessimo spendere per procurarci salvezza colla vendetta dei nemici, e per non vedere stromento delle nostre sciagure quelle stesse ricchezze, delle quali verremmo da loro spogliati.

« Abbiamo inoltre altre vie per far la guerra; la ribellione degli alleati, mezzo il più efficace per dimir nuime le rendite in cui consiste il loro potere, l' edificazione di forti che ne minaccino il territorio e tutte le altre cose che ora non si potrebbero prevedere. Conciossiachè

la guerra non procede per le vie che sieno esposte in un’ arringa, ma di per sè stessa procura la maggior parte dei compensi secondo le occorrenze : nelle quali, chi la amministra, se si mantenga padrone della propria collera è più sicuro di sostenersi ; mentre chi si lascia condurre dallo sdegno suole ricevere gran crollo. Pur nondimeno consideriamo che se ciascuno di noi avesse contesa pei confini del territorio con nemici di forza eguale , ciò potrebbe tollerarsi : ma nel caso presente , gli Ateniesi forti abbastanza contro noi tutti insieme, lo sarebbero molto più di fronte ad ogni particolar città ; cosi che se popolo per popolo e città per città non ci uniremo concordemente a difenderci , ci soggiogheranno senza fatica , appunto perchè divisi. E la nostra disfatta ( tutto che terribile a rammentare) sappiate dover sicuramente portare non altro che il servaggio, e far si che molte città sieno soggette ad una sola : avvilimento, la cui sola dubitazione in parlandone è un’ infamia pel Peloponneso. Allora o parrebbe meritata la nostra sciagura, o che per codardia la sopportiamo, degeneranti in ciò da'padri nostri che diedero libertà alla Grecia, dove noi non sappiamo mantenerla nemmeno per noi stessi : anzi permettiamo che una sola città ci ponga da tiranna i piè sul collo, mentre pretendiamo sterminare i tiranni che ad una sola comandino. E non ci accorgiamo che cosi procedendo non andiamo esenti da uno di questi tre grandi vituperi , o imprudenza , o dappocaggine, o trascuranza. Kè, stimando di sfuggire coteste tacce, vogliate ricorrere a chiamar ciò dignitosa noncuranza dei nemici, la quale per aver già causato la rovina di molti ha cambiato il suo nome con quello di inconsideratezza.

« Ma a che prolungare i rammarichi sul passato più di quel che richiede l'utilità del presente ? Dobbiamo piuttosto applicar le nostre fatiche ai disordini che

possono avvenire , soccorrendo le cose presenti. Ciò richiede il vostro patrio costume di procacciarvi virtù colle fatiche, e non dovete dipartirvene tutto che cresciuti alcun poco in ricchezza e potenza ; porche dritta cosa non è perdere nell9 opulenza i pregi acquistati nella povertà. Dovete anzi correre pieni d’ ardire alla guerra , tante essendo le cagioni che vi ci spingono , e la risposta del Nume che vi promette soccorso, e tutto il resto della Grecia, che o per paura o per proprio vantaggio è pronta a sostenervi. Nè sarete voi i primi a rompere gli accordi: il Nume stesso, ordinando la guerra, li reputa violati ; e perchè violati voi ne sarete piuttosto i difensori : imperocché non trasgredisce gli accordi chi rispinge P assalitore, ma chi incomincia le ostilità.

« Laonde essendo da ogni lato di vostro decoro la guerra, ed essendone richiesti da noi per comune consentimento , ove sia indubitabile che ella arrechi vantaggio a tutte le città ed a ciascun cittadino, non tardate a soccorrere i Potideati, gente dorica, assediata ora dagli Ionii (in contrario di ciò che prima avveniva) e a rivendicare così l’altrui libertà. Poiché non è oggimai più da soffrire che pel nostro indugio alcuni sieno già sotto il flagello, ed altri s’ abbiano in breve a trovare nel caso stesso , qualora , a malgrado di questa nostra adunanza, gli Ateniesi conoscano non bastarci la vista di opporci a loro. Ma credendovi astretti, o valorosi alleati, dalla necessità, e stimando questo nostro consiglio il migliore, decretate la guerra, non scoraggiandovi per i mali del momento , ed innamorando di quella pace che più durevole ne conseguiterà. Essendoché per la guerra viemaggiormente si conferma la pace, dove ischifar la guerra per amor di tranquillità non è per egual modo senza pericolo. E reputando che la città innalzatasi a tiranna della Grecia abbia esteso la sua tirannia su tutti i Greci egualmente, cosicché sovra

alcuni abbia ornai impero, e su gli altri aspiri ad averlo, corriamole incontro per abbatterla, per vivere noi stessi in avvenire senza pericolo, e per ritornare a libertà i Greci tenuti ora in servaggio ». Cosi parlarono i Corintii.

I Lacedemoni udito il parere di tutti proposero il partito a quanti alleati erano presenti, incominciando per ordine dalla più potente (ino alla più piccola città. La maggior parte dei voti furono per la guerra: ma nonostante che avessero così decretato, non potendo, sprovveduti com’ erano , intraprenderla subito, risolsero che ciascuno allestisse prontamente il bisognevole; pure consumarono quasi un anno nell' ordinare il necessario apparecchio , prima di invader l’Attica e muovere apertamente la guerra.

Mandavano infrattanto legati ad Atene facendo le loro doglienze, per avere, se non fossero uditi, il più ragionevol pretesto di muovere le armi. Colla prima ambasciata i Lacedemoni commettevano agli Ateniesi, purgassero la sacrilega contaminazione di Minerva, che consisteva in questo. V’ era un tal Cilone ateniese nobile di antico lignaggio e potente , stato vincitore nei giuochi olimpici, che aveva in moglie una figliola di Teagene megarese, tiranno allora di Megara. Consultando egli l’oracolo di Delfo, ebbe in risposta dal Nume che nella gran festa di Giove occupasse la rocca d' Atene. Pertanto egli oltre gli amici che aveva indotti a secondarlo ottenne gente da Teagene, e celebrandosi le feste olimpiche del Peloponneso occupò la rocca per farsi tiranno, credendo che quella fosse la gran festa di Giove , e che in qualche modo lo riguardasse come vincitore nei giuochi olimpici. Ma se nella risposta s’intendesse la gran festa dell’Attica o di altro luogo, nè egli lo aveva osservato nè l' oracolo lo dichiarava. Ed invero anche gli Ateniesi hanno fuori della città le Diasie, dette la gran festa di Giove Melichio ,

nella quale molti del popolo di ogni condizione sacrificano non vittime di animali, ma figure di pasta secondo l’usanza del paese. Pure avvisando egli di bene intendere la risposta , tentò l’impresa. Gli Ateniesi n’ ebbero sentore ; e corsi in folla dalle campagne contro di quelli, si fermarono presso la rocca e gli assediavano. Ma prolungandosi il tempo, gli Ateniesi logorati dall’assedio per la maggior parte se ne andarono, dando intera facoltà ai nove arconti di ordinare le cose nel miglior modo potevano , si per la guardia che per il rimanente, perocché allora il più delle cose pertinenti al civile govemamento si amministrava per i nove arconti. Gli assediati con Cilone si trovavano in cattivo stato per carestia di vettovaglia e d' acqua. Cilone e il suo fratello riescono a fuggire, e gli altri ridotti a strettezze tali che alcuni morivano di fame , si assidono supplichevoli presso l’altare della rocca. Quelli cui dagli Ateniesi era stata affidata la cura di guardarli, vedendoli andar morendo nel luogo sacro li fecero alzare, promettendo non far loro alcun male. Ma appena gli ebbero condotti fuori, gli uccisero, e nel procedere oltre trucidarono anche alcuni che sedevano presso gli altari delle Eumenidi. In conseguenza di questo fatto, essi e la loro discendenza erano chiamati i sacrileghi oltraggiatori della Dea. Pertanto gli Ateniesi li avevano cacciati via dalla città ; e nuovamente gli cacciò Cleomene re di Sparta sostenuto dagli Ateniesi venuti in sedizione tra loro : né solamente bandirono i vivi, ma dissotterrarono e gettarono fuori delle loro terre le ossa dei morti. Pure quei banditi vi ritornarono dipoi, e si trova tuttora in città la loro schiatta.

Questa era la contaminazione che i Lacedemoni ordinavano si espiasse , principalmente , sotto colore di vendicare l’ingiuria fatta agli Dei ; ma in sostanza perchè , sapendo esser Pericle attenente a quella schiatta dal lato

di madre, avvisavano dover anch’ egli esser bandito, ed essi cosi riuscire più. facilmente in ciò che richiedevano agli Ateniesi. Nè tanto speravano che ciò gli sarebbe avvenuto , quanto di screditarlo presso la città, la quale per quella sua infausta attenenza lo accagionerebbe in parte della guerra che insorgerebbe. Perciocché essendo il più potente del suo tempo, e guidando egli la cosa pubblica si opponeva al tutto ai Lacedemoni, e non permetteva che gli Ateniesi cedessero, anzi gl' incitava alla guerra.

Medesimamente gli Ateniesi commettevano ai Lacedemoni che purgassero la contaminazione di Tenaro. Conciossiachè i Lacedemoni avevano una volta fatto sorgere dal tempio di Nettuno a Tenaro alcuni Iloti suppliche' voli, e appena condotti fuori gli trucidarono ; per lo che credono essere avvenuto il gran terremoto di Sparta. Ordinavano altresì che purgassero la contaminazione di Mi' nerva Calcieca che in ciò consisteva. Pausania lacedemone richiamato dagli Spartani la prima volta dal governo dell’Ellesponto, benché fatto il processo restasse assoluto come innocente, non vi fu più spedito per pubblica autorità : nondimeno egli di proprio suo arbitrio , senza il comando dei Lacedemoni, presa la trireme Ermionide, va nell’ Ellesponto per dar opera , ei diceva , alla guerra di Grecia, ma in effetto per compiere i suoi trattati col re, conforme aveva innanzi tentato : perchè aspirava all’ impero della Grecia. Si era egli dapprima conciliato l' animo del re con tale benefizio con cui diede principio a questa pratica. Dopo il suo ritorno da Cipro, espugnata al primo presentarsi Bizanzio , occupata dai Medi e da alcuni di attenenza e parentela col re, i quali furono fatti prigionieri, egli, senza saputa degli altri alleati, gli rimanda al re, dando voce essere eglino fuggiti. In ciò si adoperò con esso lui Gongilo eretriense , al quale aveva commesso la guardia di Bizanzio e dei prigioni. Spedi poi

Gongilo recando lettera al re , ove, come poi si trovò , erano scrìtte queste parole. « Pausania capitano di Sparta volendo farti cosa grata ti rimanda questa gente sua prigioniera di guerra. È mia intenzione, ove ti piaccia, di prendere in isposa tua figlia ed assoggettarti Sparta e tutto il rimanente di Grecia. Credo, qualora tu cooperi meco, aver forze bastevoli a mandar ciò ad effetto. Se dunque punto gradisci le mie offerte manda alla marina persona fidata, per cui mezzo conlinoveremo in avvenire i nostri trattati ». Di tanta importanza era quello scritto.

Serse ne ebbe allegrezza, e manda Artabazzo figliolo di Farnaco sulla costa con ordine di succedere nella satrapia di Dascilite, congedandone Megabate che prima la governava. Gl’ impose ancora ricapitasse sollecitamente a Pausania in Bizanzio la lettera di risposta ; gli mostrasse il suo sigillo e si adoperasse colla massima accuratezza e fedeltà secondo gli avvertimenti di Pausania concernenti gli affari suoi. Artabazzo al suo arrivo esegui gli ordini ricevuti, e spedi la lettera, ove era scritta questa risposta. Cosi replica il re Serse a Pausania. Non solamente per la gente che d’ oltre mare salva m’ hai rimandata da Bizanzio la tua beneficenza resterà eternamente scritta in seno di mia famiglia , ma ho ancora gradito le tue profferte. Nè notte nè giorno ti impedisca si che rallenti la premura di compiere alcuna delle promesse tue. Non sia di ostacolo spesa d’ oro o d’ argento , nè quantità di soldatesca ovunque possa abbisognarti. Ma d’ accordo col fido Artabazzo che ti ho spedito, tratta animosamente gli affari miei e tuoi, nel modo il più decoroso ed utile per tutt e due ».

Pausania, che per essere stato comandante a Platea era avuto anche di prima appresso i Greci in grandissima estimazione, allora tanto più insuperbì , nè sapeva più vivere dentro ai termini delle costumanze spartane :

anzi diportandosi fuori di Bizanzio vestiva alla foggia dei Medi, e viaggiando per la Tracia lo corteggiavano guardie di Medi ed Egiziani armati di asta. Si faceva imbandir la mensa alla persesca, nè più sapeva contenere le sue intenzioni : e nei fatti stessi di minor conto mostrava sino d’allora la grandezza dei suoi disegni che a suo tempo meditava di effettuare. Erasi resa cosa difficile avere accesso a lui , usando egli con tutti indistintamente maniere cosi strane che nissuno poteva comparirgli innanzi ; ciò che mosse sopra tutto gli alleati ad accostarsi a parte ateniese.

Era ciò pervenuto a notizia dei Lacedemoni, e però lo richiamarono la prima volta. Ma da che, imbarcatosi la seconda volta senza loro ordine sulla nave Ermionide, ebbe fatto chiaramente conoscere tali essere le sue intenzioni ; e da che , astretto ad uscir di Bizanzio assediata dagli Ateniesi, non tornava altrimenti a Sparta , ed era giunta la nuova avere egli preso stanza a Colone città della Troade (ove si tratteneva per cagione non buona , ma per continovare le sue pratiche coi barbari), allora daddovero stimarono non essere più da tollerare : e gli efori spedirono un araldo colla scitala, intimandogli di non restare indietro all’ araldo stesso, altrimenti fin d’ allora gli Spartani gli dichiaravano guerra. Volendo egli divenir sospetto il meno poteva, e confidando di dissipare col denaro le imputazioni, tornò di nuovo a Sparta, ove fu messo in carcere dagli efori, i quali hanno facoltà di trattare così anche il re. Quindi finalmente uscito per via di maneggi, presentossi in giudizio per dar discarico di sè a chiunque volesse intentare accuse contro di lui.

Tuttoché nè gli Spartani, nè i nemici di lui, nè la Repubblica intera avessero veruno indizio manifesto, sul quale fondati oou sicurezza potessero puuire un uomo di stirpe reale e tenuto allora in onoranza (perocché era egli, come cugino, tutore del re Plistarco ancor giovinetto

figliolo di Leonida) nondimeno, col suo procedere discordante alle leggi, e col suo genio per le usanze dei barbari, faceva molto sospettare che neir ordine politico non volesse star contento ai termini dell’ uguaglianza. Per lo che riandando i fatti antecedenti, mettevano ad esamina tutte le altre sue operazioni in che si fosse dilungato alcun poco dalle costumanze stabilite , e principalmente che nel tripode di Delfo , primizia delle spoglie dei Medi, dedicato dai Greci al Nume, quasi fosse offerta tutta sua, aveva osato farvi scolpire questa inscrizione c
  1. Duce de'Greci, debellalo il Medo,
  2. Pausania a Febo questo voto officia.

I Lacedemoni subito allora cassarono dal tripode quella inscrizione, e vi scolpirono tutte le citta nominatamente, che concorse ai danni del Medo avevano dedicato quel voto. Ciò pertanto era attribuito in delitto a Pausania : ma quando egli si trovò irt questo stato, allora anche più chiaramente conobbesi quel suo fatto essere stato in conformità de’ suoi presenti pensieri. Bucinavasi inoltre che egli avesse qualche segreto trattato con gli Iloti : e ciò era vero: conciossiacliè prometteva loro libertà e cittadinanza , se si unissero con lui a ribellare, e lo aiutassero a compire i suoi disegni. Gli Spartani, tutto che avvertiti di ciò da alcuni delatori degli Iloti , non vi prestarono fede, nè giudicarono di dover procedere contro di lui ; per mantenere così il costume praticato tra loro di non esser troppo corrivi a dare perentoria sentenza cóntro un cittadino di Sparta senza prove indubitabili. Se non che un tale di Argila , come è fama , già suo mignone e a lui fidatissimo , fu il delatore presso gli efori, all’ occasione che doveva recare ad Àrtabazzo l' ultima lettera di Pausania inviata al re. Intimorito costui in considerando niuno essere ritornalo

dei messaggeri spediti di prima, contraffatto il sigillo per non essere scoperto caso che gli fallisse la sua credenza, e che Pausania , volendo cangiarvi qualche cosa, non se ne accorgesse ; apre la lettera, e conforme sospettava che qualche cosa fosse scritta intorno a sè, trovò dovere anche lui essere ucciso.

Mostrò egli la lettera agli efori, i quali viepiù si confermarono nella loro sentenza. Tuttavia volendo eglino stessi udire qualche parola dalla bocca di Pausania, si accordarono con l’argiliese : il quale refùgiatosi supplichevole in Tenaro vi fece un casotto diviso in due da un tramezzo, e dietro a questo tramezzo nascose alcuni efori. Pausania vi andò a trovarlo e gli domandava , perchè si fosse ricovrato la supplichevole. Gli efori udivano tutto distintamente. L' argiliese rimproverava Pausania di ciò che aveva scritto intorno a lui nella lettera; dichiarava ordinatamente che negli altri suoi messaggi appresso al re si era sempre portato con fedeltà, e nondimeno aveva ottenuto da lui il bel premio di dovere essere ucciso , come aveva fatto di molti altri suoi servidori. Udirono ancora Pausania convenire di tutto ciò ; consigliare l' argiliese a non adirarsi per l' accaduto ; rassicurarlo affinchè si ritraesse dal luogo sacro, e pregarlo a partire speditamente per non frastornare le sue pratiche.

Gli efori udito il tutto diligentemente e chiariti ormai con sicurezza , cercavano di arrestar Pausania in città. Dicesi che essendo per essere arrestato in istrada, ed avanzandosi un eforo incontro a lui , dall' aria del viso comprendesse a chè veniva ; e che avvertito con furtivo cenno da un altro eforo il quale lo amava, corresse alla volta del tempio di Minerva Calcieca , e vicino com' era il sacro recinto , prima d' esser giunto dagli efori, vi si ricovrasse. Per non patire incomodo stando allo scoperto, éntrò in una celletta appartenente al tempio , ed ivi si

tratteneva. Quei che lo inseguivano non poterono per allora raggiungerlo : ma avendo osservato essere egli nella celletta e coltovelo dentro, ne tolsero il tetto e le imposte dell? uscio che rimurarono, ed ivi fermatisi lo assediarono colla fame. Poscia accortisi che così come si trovava nella celletta , era sul punto di esalar l' anima, lo traggono prima che spirasse fuori del luogo sacro, donde appena tolto morì. Volevano gettarlo nel Ceade} ove solevano gettarsi i malfattori, ma poi presero consiglio di sotterrarlo lì vicino. Appresso il Nume di Delfo ordinò ai Lacedemoni che lo dovessero seppellire nel luogo ove era morto : ed ora giace nel vestibulo del sacro recinto come può vedersi per l’epitaffio. Ordinò ancora che, siccome per quel fatto avevano commesso sacrilegio, così dovessero rendere alla Dea Calcieca due corpi in cambio di quel solo : infatti fecero essi due statue di bronzo e dedlcaroule alla Dea in compensazione di Pausania.

Gli Ateniesi pertanto, avvegnaché il Nume stesso avesse giudicato quell’ azione un sacrilegio , rendevano la pariglia ai Lacedemoni, imponendo loro di purgare la contaminazione. Questi inviarono legati ad Atene accusando anche Temistocle come complice di Pausania nel favorire il Medo, secondo che avevano trovato per il processo ; affermando per ciò dovere anch' egli per ugual modo essere punito. Accomodaronsi gli Ateniesi alle loro richieste ; e poiché Temistocle, quantunque fosse stato cacciato per ostracismo, ed avesse preso stanza in Argo , pur nondimeno frequentava anche le altre parti del Peloponneso , spedirono d' accordo coi Lacedemoni gente pronta ad inseguirlo, commettendo loro lo riconducessero donde che lo trovassero.

Pervenute tali pratiche a notizia di Temistocle fugge dal Peloponneso e cerca rifugio in Corfù di cui aveva meritato. Significarongli i Corfuotti che temevano, rieettandolo,

di incorrere nella inimicizia dei Lacedemoni degli Ateniesi, e lo scortarono sino in terraferma rimpetto alla loro isola. Ed egli perseguitato da coloro che avevano la commissione di cosi fare ovunque udissero che fosse , e ridotto in grandissima dubitazione dell' animo , si trova costretto a cercar ricovero presso Admeto re dei Molossi , che non gli era punto amico, e che allora per avventura era assente. Laonde si fece a supplicare la moglie di lui, la quale lo avverte di assidersi presso agli dei lari tenendo in collo un suo bambino. Tornato poco dopo Admeto, Temistocle gli dà contezza di sè, e lo prega a considerare che sebbene ei lo avesse forse contrariato nelle dimande che in altri tempi faceva agli Ateniesi, pure non sarebbe del suo decoro prender vendetta d’un fuggiasco, nè offendere chi al presente era cotanto più debole di lui, laddove è proprio degli uomini generosi vendicarsi degli eguali con parità di forze. Quanto a sè, continuava , essersi opposto in qualche altro affare, non mai nel caso di salvar la vita ; mentre se egli ora lo consegnasse (e qui dichiarò perchè e da chi era perseguitato) lo priverebbe del modo di procacciar salvezza a sè medesimo. Admeto a queste parole lo fece alzare col bambino che , sedendo presso agli dei lari, tuttavia teneva in collo ; e questo fu modo efficacissimo di supplicare.

Arrivarono poco dopo i messaggeri lacedemoni ed ateniesi, i quali con tutto che molto ne richiedessero Admeto , egli non consegnò loro Temistocle : anzi , sentendo che bramava di trasferirsi al re, lo fece accompagnare per la via di terra all’ altro lato del mare sino a Pidna città soggetta ad Alessandro. Ivi trovata una nave da carico pronta a far vela per la Ionia, imbarca ; e dalla tempesta fu spinto vicino al campo degli Ateniesi che era all’assedio di Nasso. Nessuno di quei che erano nella nave lo conosceva; ma costretto dal timore manifesta al piloto

chi egli sia , e per qual cagione si trovi esule : ed aggiunge che, se non lo salvasse, direbbe agli Ateniesi lui medesimo essere quel che lo trafugava , corrotto per denaro ; nò vedere altra via di salvezza che vietar ad ognuno di sbarcare , sino a che il mare non si abbonacciasse per ripigliare il cammino : se ciò facesse, si sarebbe egli ricordato di lui conforme meritava. Il piloto acchetovvisi, e dopo aver resistito alla tempesta un giorno ed una notte , colla nave all’ ancora, sopra il campo degli Ateniesi, giunge finalmente ad Efeso : e da Temistocle fu presentato con denaro pervenutogli per mezzo dei suoi amici da Atene e da Argo , ove nascosamente lo aveva depositato. Avanzatosi poscia nell’ interno del paese con uno di quei persiani che abitavano le coste , scrive una lettera al re Artaserse figliolo di Serse poco fa succeduto al trono, in questo tenore, « Io Temistocle che più di tutti gli altri Greci apportai danni alla tua casa , tutto quel tempo che fui astretto a far fronte alle invasioni di tuo padre, ricorro ora a te. Nondimeno benefizii assai maggiori feci a lui, da che io cominciai ad essere in sicuro, ed egli in pericolo per la ritirata, e sono però creditore di benefizio ». Ciò diceva perchè lo aveva per tempo fatto consapevole che i Greci avevano risoluto di ritirarsi da Salamina, e perchè per opra sua, come ingannevolmente si attribuiva , non era stato disfatto il ponte, « Ora poi perseguitato dai Greci a cagione della tua amicizia, mi trovo qui avendo in mano di poterti moltissimo giovare. Ma voglio prima soprassedere un anno, e poi dichiararti in persona il motivo della mia venuta ».

Il re, come si dice , si maravigliò del proponimento di lui, e gli permise di far cosi. Intanto nel tempo che si trattenne apprese quanto potè di lingua persiana e di costumanze del paese ; e passato l'anno presentossi al re , appo il quale fu grande e tenuto in tanto onore ,

quanto niun altro greco giammai, non solo per la dignità ond’ era innanzi fregiato , ma ancora per la speranza che in lui nutriva di soggettargli la Grecia , e soprattutto perchè mostravasi uomo di grande accorgimento. Aveva infatti Temistocle manifestato la forza del suo ingegno nel modo il più evidente , e perciò meritava di esser particolarmente ammirato sovra tutti. Conciossiachò col penetrativo intelletto che aveva sortito dalla natura , e non già corredato di anteriori studi o accresciuto da posteriori, discemeva ottimamente, dopo brevissima deliberazione, quel che di presente abbisognava , e benissimo congliietturava gli eventi nascosti nel più remoto avvenire. Destro nel condurre a buon fine gli affari che avesse tra mano , non era però inabile a dar giudizio soddisfacente anche su quelli dei quali non era perito ; e benché le cose fossero tuttora nella più oscura incertezza , antivedeva egli stupendamente il meglio e il peggio di quelle : e brevemente , egli fu senza dubbio per forza d’ingegno e per celerità di consiglio , l' uomo il più valente a dichiarare all’ improvviso ciò che meglio si confacesse alle varie occorrenze. Fini per malattia i suoi giorni. Avvi chi dice essersi col veleno procacciato spontaneamente la morte disperando potere adempiere le promesse aveva fatte al re. Del resto si vede tuttora il suo monumento nella piazza di Magnesia città dell'Asia ; conciossiachò egli governasse cotesta provincia ; avendogli il re dato per il pane Magnesia , che rendeva cinquanta talenti Tanno, per il vino Lampsaco tenuta allora per la provincia più abbondante di tal prodotto , e Miunte per il companatico. I parenti di lui dicono le sue ossa essere state trasportate in patria per comandamento di esso , e sepolte nell’Attica senza saputa degli Ateniesi ; avvegnaché non fosse permesso seppellirvelo perchè cacciatone per tradimento. Questo fine ebbero Pausania lacedemone e Temistocle ateniese, i più celebri capitani greci dei loro tempi.

Tali furono gli ordini dati dai Lacedemoni colla prima loro ambasceria, e tali all5 incontro quelli ricevuti circa al purgare le contaminazioni. Andarono poi nuovamente ad Atene, richiedendo ritirassero l’esercito da Potidea, e rilasciassero Egina in libertà. Ma con maggior calore ed a più chiare note protestavano non insorgerebbe guerra se annullassero il decreto fatto contro i Megaresi, per cui questi venivano esclusi dai porti del dominio di Atene e dal mercato dell’Attica. Gli Ateniesi non gli obbedirono in nessuna delle altre cose, nè abolirono quel decreto; anzi accusavano i Megaresi di coltivare la terra sacra e non iscompartita dai termini di proprietà , e di ricettare i servi fuggitivi. Vennero finalmente da Sparta gli tdtimi legati Ramfio , Melesippo ed Agesandro ; i quali, senza parlar punto di ciò che solevano per l'innanzi, si ristrinsero a dire queste parole : « I Lacedemoni bramano la pace, e vi sarà purché voi lasciate i Greci nelle loro leggi ». Adunaronsi gli Ateniesi e proposero il partito tra loro soli, ove fu risoluto doversi dare la risposta, fatta una sola deliberazione che tutto comprendesse. Molti furono quelli che parlarono, ma non concorrevano in una medesima sentenza , opinando alcuni si facesse la guerra , altri si cassasse il decreto piuttostochè permettere che fosse d; impedimento alla pace. Allora fattosi avanti Pericle figliolo di Xantippo , personaggio il più ragguardevole di quel tempo tra gli Ateniesi, bellissimo dicitore ed il più esperto in trattar gli affari , propose i suoi avvertimenti in questi termini.

« Ateniesi, io sono sempre fermo nel mio primo proposito di non cedere ai Peloponnesi. E benché io sappia che l'ardore concepito dall’ uomo all' invito di guerra, ei non lo mantiene ove si venga ai fatti, e che cangia pensiero secondo gli avvenimenti ; nulladimeno penso dovervi dare anche adesso consigli somiglianti e non punto differenti da quei d‘ allora. E prego quei tra voi che sicno

per concorrere nella mia senteuza (poniamo pur ci toccasse qualche sinistro), a sostenere le risoluzioni prese io comune, e non appropriarsi il vanto di sagace accorgimento se l’esito sarà felice. Poiché pur troppo addiviene che i fortunevoli casi degli affari camminano per vie incomprensibili , egualmente che le cogitazioni degli uomini : il perchè siamo usati ad incolpar la fortuna per ogni strano accidente che ci sorprenda. Ma i Lacedemoni mostravansi chiaramente anche di prima rivolti ad insidiarci, ed ora più che mai. È detto negli accordi che, insorgendo qualche differenza, si renda e si offra scambievolmente ragione, e che da entrambi si ritengano i luoghi di che siamo in possesso : tuttavia essi non han voluto mai chieder ragione, nè esibita da noi accettarla. Vogliono che le querele si decidano colle armi piuttosto che coi ragionari ; e vengono qua^ oggimai non più facendo amichevoli rimostranze, ma comandando imperiosamente. Ci ordinano di ritiraroi da Potidea , lasciare libera Egina, cassare il decreto dei Megaresi ; e questi ultimi venuti ci aggiungono di rilasciar nelle loro leggi anche i Greci. Or nissuno di voi si faccia a credere di intraprender la guerra per cosa di piccol momento, se noi non aboliremo il decreto dei Megaresi. È questo un pretesto col quale vogliono principalmente aonestarsi , dicendo che tolto quello di mezzo non vi sarà guerra. Nè resti in voi ombra di rimorso , quasi che l' abbiate intrapresa per lieve oggetto : perchè su cotesto lieve oggetto è fondata la riprova sicura della fermezza dell’animo vostro. Se cederete a quei comandi, incontenente ne avrete dei maggiori, dandosi essi a credere che per timore obbedirete anche a questi j laddove persistendo nel vostro rifiuto , insegnerete ad essi procedere con voi più alla pari.