History of the Peloponnesian War

Thucydides

Thucydides. Della storia di Tucidide volgarizzata libri otto. Anonymous translator. Florence: Tipografia Galileiana, 1835.

« Pertanto deliberate (ino da questo momento o di obbedire prima di essere offesi, o volendo noi far

guerra , come io credo il meglio , di tioti cedere a qualsivoglia costo , e diportarci da gente che sdegna ritenere il suo con paura. Imperciocché qualunque richiesta, piccola o grande che sia, intimata da un eguale in suono di comando, innanzi alla determinazione del giudizio , importa l’istesso che un vero servaggio. Che poi non saremo inferiori quanto alle cose pertinenti alla guerra e a tutti gli altri apparecchi onde siamo entrambi forniti, ne andrete convinti, dopò averne udito da me il ragguaglio particolare. I Peloponnesi lavorano da sé le loro terre, non hanno denaro né pubblico nè privato , né pratica di guerre diuturne e marittime, posciaché oppressi dall9 indigenza muovonsi solamente le armi contro loro stessi e per breve durata. Gente si fatta non possono spedire al di fuori nè navi armate nè soldatesche di terrà sostenute da nuove leve, perchè ad un medesimo tempo dovrebbero allontanarsi dai loro fondi, e spendere nondimeno del proprio , mentre sarebbero per noi anche esclusi dal mare. Or le ricchezze che s’abbiano in avanzo, meglio delle forzate contribuzioni sostengono le guerre : e la gente addetta alla coltivazione delle terre , è più pronta a guerreggiare colla persona che col denaro ; perchè quanto alla persona sperano di scampar dal rischio, ma nulla vi è che gli assicuri dal non consumare il denaro prima che cessi la guerra, specialmente se ella si prolunghi, come è verosimile , più che non credevano. Imperocché sono certamente i Peloponnesi con gli alleati in istato di resistere in una sola battaglia a tutti i Greci insieme ; non gih a stare in guerra contro chi abbia apparati e regole affatto diverse. Infatti non usa tra loro un solo corpo deliberante per eseguir sollecitamente ciò che richiede il momento, ma essendo tutti eguali nel diritto del suffragio, e divisi in varie popolazioni, ciascuno si studia per il proprio vantaggio j e quindi deriva che nulla si conduca a compimento.

Vogliono alcuni al tutto vendetta d’un tale ; altri soffrire il minor danno possibile nelle loro terre ; sono lenti a radunarsi ; spendono pochissimo tempo a deliberar delle cose pubbliche, il più a brigarsi delle private ; e ciascuuo crede non esser per nuocere la sua trascuratezza , sperando che altri si darà cura di ciò che ad esso toccherebbe a prevedere : cosicché con questa opinione comune a tutti in particolare va in rovina , senza che alcuno se ne accorga, l’universa Repubblica.

ce Con tutto ciò l' impedimento maggiore sarà per loro la penuria di denaro ; essendoché la difficoltà di procacciarlo deve portare indugio : ma le occasioni di guerra non vogliono indugi. Quanto poi ai battifolli o alle flotte loro , ciò non è da temere. Poiché se la edificazione di quelli riuscirebbe difficile anche in tempo di pace a città di potenza pari alla nostra , quanto più sarà malagevole in paese nemico , e mentre noi pure siamo non meno di loro afforzati ? E se pur faranno qualche propugnacolo, potranno danneggiare alcuna parte del nostro suolo col fare scorrerie e col ricettare disertori : ma ciò non basterà a circondarci di mura, ad impedirci di navigare contro il loro territorio, per prenderne vendetta colla flotta , in che siamo potenti. Conciossiaché giova più a noi l’esperienza di mare per combattere in terra , clic non a loro quella di terra per combattere in mare, potranno alla perizia delle guerre terrestri aggiugnere facilmente quella delle marittime ; giacché nè pur voi che sino dal tempo del Medo vi ci siete sperimentati, perveniste peranche alla perfezione. E come mai gente usata a coltivare il terreno, e senza cognizione di marina , e di più nell’ impossibilità di esercitarvisi, perchè sempre minacciata dalle nostre numerose flotte , come mai ? io dico , potrà riuscire a qualche dignitosa impresa ? Si arrischieranno forse contro poche navi che gli bloccassero,

rendendo audace la loro imperizia colla moltitudine ? ebbene ; stretti da molte , dovranno ristarsi , cosicché non esercitandosi, saranno più imperiti e perciò più lenti. Or la perizia marittima è un mestiere come qualunque altro, nè può impararsi con accidentale esercizio o come per soprappiù , ma piuttosto nissun’ altra cosa può andarle congiunta come per appendice.

« Se poi toccheranno il denaro d’Olimpia o di Delfo, e tenteranno di sviare da noi con maggior soldo i nostri marinari forestieri, sarebbe una vergogna che montando sulle navi noi stessi in un con gli stanziati in Atene, non fossimo da tanto per far loro fronte. Ma ciò siamo in grado di fare, e (che più di tutto rileva) abbiamo tra i nostri stessi cittadini piloti e ciurme più numerose ed esperte di quello che non ha tutto il rimanente di Grecia. Nè alcuno dei nostri soldati esterni vorrà (dovendo in ogni modo esporsi al pericolo) prendere le armi coi Peloponnesi per pochi giorni di maggior soldo, e trovarsi per ciò cacciato di patria e a combattere per essi, presso i quali sono più piccole le speranze. Tali appunto o pressappoco mi sembrano essere le cose dei Puloponnesi; laddove il nostro stato scevro dai difetti notati in essi, parmi avere altri vantaggi, grandi senza paragone. E se essi verranno contro il nostro territorio con eserciti terrestri, noi navigheremo contro il loro : nè il guasto di qualche parte del Peloponneso sarà allora da agguagliarsi a quello anche di tutta l’Attica. Imperocché i Peloponnesi senza combattere, non troveranno altre terre da prendere in cambio delle perdute, mentre noi molte ne abbiamo nelle isole , molte in terraferma. Gran vantaggio è l' impero del mare ; consideratelo da voi stessi. Ed infatti se noi fossimo isolani, chi più inespugnabile di noi ? Questo è adunque il momento di avvicinarsi il più possibile col pensiero allo stato di isolani, lasciare in abbandono la campagna colle

sue case, contentandovi di tener guardato il mare e la città ; e senza adirarvi coi Peloponnesi per la perdila di quelle, non venire a battaglia con essi che sono in tanto maggior numero di voi. Perocché vincendo, ci troveremo di nuovo a combatterli non punto diminuiti di numero ; perdendo, si aggiugnerà per noi anche la perdita degli alleati , nerbo principale delle nostre forze : i quali al vederci ridotti inabili a marciar contro di loro, non istaranno pia all' obbedienza. Ah ! serbiamo i nostri pianti per le persone in vece che per le ville e per le campagne, avvegnaché non queste degli uomini, ma si bene gli uomini sono di quelle i possessori. Che s’io credessi che fosse seguito il mio consiglio , vi conforterei ad uscire a devastarle da voi stessi; e mostrare ai Peloponnesi, che per risparmiar quelle non avrete mai la viltà di obbedirli.

c« Molte altre cose avrei a dirvi le quali ci affidano della vittoria, purché non cerchiate di aumentar P impero durante la guerra , nè vogliate sopraccaricarvi di volontari pericoli, giacché più degli stratagemmi del nemico io temo dei nostri sbagìi. Ma tali cose vi saranno da me dichiarate altra fiata , quando elle saranno appoggiate ai fatti. Per ora congediamo questi ambasciatori rispondendo — permetteremo ai Megaresi di frequentare il mercato e i porti nostri, solo che anche i Lacedemoni nel bando dei forestieri non comprendano né noi nè i nostri alleati, due punti che non hanno divieto nei capitoli. Lasceremo libere le città se libere le ritenevamo al tempo degli accordi, e purché anche i Lacedemoni concedano ad esse di governarsi conforme alle proprie leggi e secondo il piacimento di ciascuna, e non conforme al vantaggio di Sparta. Noi siamo pronti a render ragione per via giuridica secondo che è detto negli accordi : non saremo i primi a muovere la guerra, ma sapremo rispingere chi la incominci —. Tale è la risposta che richiede la giustizia

ed il decoro della nostra Repubblica ; ma siate convinti che la guerra è inevitabile: che se la imprenderemo di buona voglia, troveremo i nemici meno ostinati : e che dai più grandi pericoli risultano alle città ed ai privati i più splendidi onori. E se i padri nostri, i quali resisterono al Medo mossisi con forze non cosi grandi, e dopo aver abbandonato ciò che avevano, per consiglio più che per fortuna, e per ardimento superiore alle loro forze, non solo ri spinsero il barbaro, ma ancora avanzarono lo stato a tanto alto segno ; noi non dobbiamo mostrarci da meno di loro, ma a qualunque patto resistere al nemico , ed adoprarci al possibile per non trasmettere ai posteri lo stato diminuito in nulla della sua grandezza ».

Di tal forza fu l' arringa di Pericle ; e gli Ateniesi giudicarono ottimi i suoi consigli, confermarono col voto le sue proposizioni, risposero ai Lacedemoni giusta la sua sentenza, e come egli aveva suggerito intorno a ciascuna cosa. La somma fu : ch' ei non farebbero nulla in forza dei loro comandamenti, e che erano pronti a diffinire le imputazioni per via giuridica, salvo ogni uguaglianza secondo gli accordi. I Lacedemoni udito ciò tornarono alla patria ; nè altra ambasciata venne dipoi da Sparta.

Queste furono da ambe le parti le rimostranze e le differenze insorte prima della guerra , appena seguiti i fatti di Epidamno e di Corfù. Nulladimeno pendenti quelle erano in commercio e praticavano scambievolmente senza il caduceo , non però senza sospizione ; imperocché le cose che accadevano in quel tempo altro non erano che turbamento d’accordi e materia di guerra.

Di qui ornai incomincia là guerra degli Ateniesi e Peloponnesi, e dei loro scambievoli alleati, nel processo della quale non praticavano più tra loro senza il Caduceo ; ma intrapresa che l' ebbono, guerreggiavano continuamente. Ella è esposta, secondo l’ordine dei fatti accaduti, per estati e per inverni.

La tregua dei trent9 anni, fatta dopo la presa di Eubea, dvea durato quattordici : ma nel decimoquinto, essendo Criside già da quarantott’ anni sacerdotessa in Argo, Enesio eforo in Sparta, e Pitodoro ancora per un bimestre arconte in Atene, sei mesi dopo la battaglia di Potidea, al cominciar della primavera poco più di trecento Tebani, guidati da Pitàngelo figliolo di Filida, e da Diemporo di Onetoride, ambidue Beotarchi, sul primo sonno entrarono armati in Platea della Beozia, città confederata con Atene, invitati da alcuni Plateesi che apersero loro le porte (ciò furono Nauclide e i suoi partigiani), i quali a procacciarsi potenza, volevano trucidare i cittadini della

fazione contraria, e soggettare la città ai Tebani. La trama riuscì, favoreggiandoli Eurimaco figliolo di Leonziade, personaggio potentissimo in Tebe: perocché i Tebani, prevedendo insorgerebbe la guerra , innanzi che ella manifestamente scoppiasse, e mentre ancora durava la pace, bramavano preoccupare Platea città mai sempre loro nemica. Il perchè, non essendovi di prima posta guarnigione , agevolmente e non avvertiti vi entravano : e fermatisi armati nella piazza, non vollero, secondo che gli confortavano quci che li avevano introdotti, venir subito ai fatti ed investire le case dei nemici. Erano anzi di avviso di usare gride discrete, e piuttosto indurre ad amichevole accomodamento la città, stimando che per queste maniere ella si sarebbe più facilmente accostata alla loro parte. Promulgavano adunque per il banditore , che qualunque , conforme la patria usanza di tutti i Beozii, volesse entrar nella lega, prendesse le armi coi Tebani.

Come i Plateesi sentirono essere i Teban» già dentro le mura, ed occupata improvvisamente la città, credettero vi fossero entrati in numero assai maggiore, perché essendo notte non li scorgevano : ed impauriti calarono agli accordi, accettarono le condizioni, e restarono tranquilli ; tanto più che i Tebani non facevano contro chicchessia stranezza veruna. Ma mentre ancora trattavano ciò, osservarono non esser molti i Tebani, e giudicarono facile la vittoria, assalendoli ; essendo che il popolo di Platea mal volentieri ribellavasi agli Ateniesi. Risolvettero adunque esser ciò da tentare ; e per tener colloquio tra loro sfondavano le pareti comuni delle case per non esser visti correr le strade, a traverso delle quali mettevano carri senza giumenti per servir di barricate, e accomodavano le altre cose come e dove credevano che sarebbe utile pel momento. Ordinato tutto il meglio potevano, si scagliarono dalle case sopra i Tebani, cogliendo il ponto

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che era ancor notte, e propio in sull’ albeggiare, perchè temevano di trovarli più arditi in piena luce, e perchè e' non potessero oppor loro egual resistenza. Anzi rendendosi essi nella notte più formidabili per la pratica che avevano della città, speravano resterebbero i Tebani sopraffatti : però li assalirono immantinente e vennero tosto alle mani.

I Tebani conosciuto lo sbaglio si ristrignevano tra loro, e respingevano gli assalitori dalla parte onde gli investissero. Due o tre vohe gli ributtarono; ma finalmente, serrandosi loro addosso i Plateesi con furia strepitosa, e ad un’ora stessa le donne e i servi tra gli schiamazzi e gli urlamenti percuotendoli dalle case con sassi e tegole, e di più caduta essendo nella notte dirotta pioggia , impaurirono; e voltata faccia fuggivano per la città tra il fango ed il buio (perchè la cosa accadde sul finir del mese) senza sapere i più ove scampare , ed incalzati da gente ben pratica da non lasciarli scapolare ; così che per la maggior parte erano trucidati. Un plateese serrò la porta onde erano entrati, la sola che fosse aperta, mettendo negli anelli per catenaccio la punta della lancia, talché neppure per quella potevano uscire. Perseguitati adunque per la città alcuni salirono sulle mura e si precipitarono fuori, morendovi i più ; alcuni con una scure prestata loro da una donna ruppero di soppiatto la sbarra di una porta abbandonata, e pochi ne uscirono perchè la cosa fu presto risaputa ; altri erano qua e là uccisi sparsamente per la città. Ma il maggior numero,e sopra tutto quelli che si erano ristretti insieme, si cacciano in un gran torrione delle mura, la ^ porta per avventura non era chiusa, credendo esser quel torrione una porta della città, e che sicuramente desse usata per fuori. I Plateesi vedendoveli incappati deliberavano, se così come si trovavano ve li avessero a bruciare dando fuoco al torrione, ovvero trattarli altramente.

Finalmente costoro, e tutti gli altriTebani che restavano ancora vagando per la città, convennero co’ Plateesi di rendersi a discrezione, ponendo giù le armi. Così procederono le cose per quelli entrati in Platea.

Gli altri Tebani poi che col corpo dell’esercito dovevano giugnervi prima che finisse la notte, caso che per gli entrati andasse qualche cosa in sinistro, udito per via l' accaduto ( già che Tebe è distante da Platea settanta stadi) si avanzavano per soccorrerli. Ma l’acqua caduta nella notte li rese più lenti nel cammino ; imperocché il fiume Asopo aveva menato gran corrente, ed era difficile guadarlo. Marciando pertanto con la pioggia, e passato il fiume a gran pena, arrivarono troppo tardi, quando già quei di dentro erano stati parte trucidati, parte fatti prigioni. Appena i Tebani riseppero ciò, pensarono di tendere agguati ai Plateesi che erano fuori di città ; conciossiachè , come suole intervenire in un disastro inaspettato ed accaduto duranti le tregue, la gente con le masserizie era sparsa alla campagna. Era anche loro intendimento , ove arrestassero qualcuno , di ritenerlo in iscambio dei loro rimasti prigioni in città, posto che alcuno sopravvivesse. Ciò andavano ravvolgendo nell’animo : ma i Plateesi, mentre che costoro stavano tuttora deliberando, vennero in sospetto di ciò che poteva accadere, e temendo per quei di fuori, spedirono un araldo ai Tebani , richiamandosi dell’ ingiuria fatta loro per aver tentato di occupar Platea in tempo di tregua, ed intimando non malmenassero le cose di fuori : altramente, soggiugnevano, ucciderebbono quei di loro gente che ritenevano vivi, dove, ritirandosi dal territorio, li restituirebbero. In questa guisa raccontano il fatto i Tebani, e dicono che i Plateesi vi aggiunsero il giuramento. I Plateesi, all’opposto , non convengono d’aver promesso di rendere addirittura i prigionieri, ma solo quando nell’abboccamento

che doveva tenersi prima tra loro si fossero, in qualche modo, trovati d' accordo ; e negano d' avervi aggiunto il giuramento. Comunque sia, i Tebani si ritirarono dal ter» ritorio, senza averlo punto danneggiato. E i Plateesi, introdotto prima frettolosamente in città tutto ciò che era in campagna, ammazzarono subito i prigioni i quali erano cent’ottanta, tra questi Eurimaco con cui avevano condotto il maneggio quei che volevano tradir la patria.

Fatto ciò mandarono avviso ad Atene, restituirono con salvocondotto i cadaveri ai Tebani, ed ordinarono lo stato della città nel modo il più acconcio alle cose presenti. Gli Ateniesi ragguagliati tostamente dei fatti di Platea y arrestarono subito quanti Beozi erano nell’Attica, e spedirono araldo ai Plateesi con ordine di dir loro che non facessero innovazione su quei Tebani che avevano prigionieri, prima che anche in Atene si fosse risoluto qualche cosa intorno ad essi. Ignoravano gli Ateniesi che i prigioni erano stati morti, essendo partito il primo nunzio in subentrar dei Tebani, ed il secondo appena ch' ei furono vinti e rinchiusi : laonde erano, interamente all’ oscuro dei fatti posteriori, e però avevano mandato quell’ araldo, che al suo arrivo trovò coloro già uccisi. Allora gli Ateniesi mandarono delle truppe a Platea, portaronvi vettovaglie , lasciaronvi presidio, e condussero via gli invalidi colle donne ed i bambini.

Dopo questo fatto di Platea essendo manifestamente rotta la tregua , gli Ateniesi si preparavano alla guerra : preparavano co’ loro alleati anche i Lacedemoni, ed erano entrambi in su lo spedire ambasciate al re ed altrove ai barbari, donde che potesse sperarsi di trarre qualche soccorso, e si imivano con quelle città che erano fuori del loro dominio. I Lacedemoni, in aggiunta allo navi avevano nel Peloponneso, commettevano ai popoli die seguitavano la parte loro in Italia di costruirne un numero

proporzionevole alla grandezza delle città, talché in tutte sommassero a cinquecento: di avere in pronto il denaro imposto , starsene dèi rimanente tranquilli, e non ricettare gli Ateniesi, salvo che con una sola nave, fino a che queste cose fossero tutte apparecchiate. Gli Ateniesi recavano a novero gli alleati che avevano ; ma erano principalmente intesi a spedire ambasciatori nei luoghi attorno al Peloponneso, cioè a Corfù, a Cefallene, agli Acamani, a Zacinto ; perchè vedevano che avendo amici cotesti luoghi , sosterrebbero certamente con superiorità la guerra nei contorni del Peloponneso.

Grandi pensieri ravvolgevano entrambi nella mente,, e con tutto l’ardore si disponevano alla guerra : nè meraviglia; perchè tutti nel cominciamento delle cose hanno maggior veemenza. Era allora il tempo che la numerosa gioventù del Peloponneso e d’Atene di buona voglia intraprendeva la guerra, perchè di essa inesperta ; e tutto il rimanente di Grecia era in gran sollevazione dell’animo, in vedendo le due primarie Repubbliche venir tra loro a contesa. Molto si udiva parlare di risposte d’oracoli, molti presagi in versi cantavano gli indovini, sì nei luoghi oy’ era bramosia di guerra, sì negli altri. Senza di che poco innanzi a. questi avvenimenti fu scossa da terremoto Deio, che a memoria dei Greci non aveva mai per lo addietro sofferto ciò; e dicevasi e credevasi comunemente essere quello stato il segnale delle future calamità ; e qualunque cosa di simil fatta accadesse, tutto particolarmente si investigava. Ciò non pertanto la benevolenza dei popoli inchinava maggiormente ai Lacedemoni, tanto più ch’ei si spacciavano per liberatori della Grecia : e ciascuno in particolare e le città insieme , tutti travagliavansi ansiosamente per cooperare con esso loro con parole o con fatti, avvisando ognuno dover restare impediti gli affari là appunto, ove mancasse l’opera sua. A tal seguo

]a maggior parte avevano in odio gli Ateniesi ; desiderando alcuni d’esser liberati dal loro dominio, altri temendo di non esservi sottoposti. Con tale apparecchio e concitamento dell’animo erano in su le mosse.

Or le due parti si misero in guerra avendo confederate queste città. Dei Lacedemoni erano alleati tutti i Peloponnesi dentro dell’ istmo, eccetto gli Argivi e gli Achei che erano in amiciria con entrambi : nondimeno gli Achei unirono poscia le loro armi con Sparta ; in principio solamente quei di Pailene , quindi tutti gli altri. Fuori del Peloponneso poi, i Megaresi, i Locrii, i Beozii, i Focesi, li Ambracioti, i Leucadii, gli Anattorii. Tra questi somministravano la flotta i Corintii, iMegaresi, i Sicìonii, i Pelleni, gli Elei, gli Ambracioti, i Leucadii ; la cavalleria i Beozii, i Focosi, i Locrii : le altre città davano la fanteria. Questi erano i confederati dei Lacedemoni. Degli Ateniesi lo erano i Chii, i Lesbii, i Plateesi, i Messemi di Naupatto, la maggior parte degli Acarnani, i Corfuotti, li Zacintii, ed altre molte città che tra tanti popoli erano loro tributarie ; la Caria marittima, i Dorii confinanti co’Cani, l’Ionia, l'Ellesponto, le città di Tracia , tutte l' isole che infra il Peloponneso e Creta guardano a levante , e tutte le altre Gcladi salvo Melo e Tera. Fra questi somministravano la flotta i Chii, i Lesbii ed i Corfuotti ; gli altri fanteria e denaro. Tale era da ambe le parti lo stato dell’ alleanza e l’apparecchio per la guerra.

I Lacedemoni subito dopo i fatti di Platea mandarono in giro alle città alleate nel Peloponneso e fuori ordine, di allestir gente e provvisioni rispondenti ad una spedizione fuori del proprio paese, dovendosi portar la guerra nell’Attica. Quando poi al tempo prescritto ebbero tutto in pronto, i due terzi di ciascuna città si riunivano sull' istmo. E poiché fu congregato tutto l' esercito, Archidamo re dei Lacedemoni, generale di questa spedizione,

convocati i capitani di tutte le citta, le persone di maggiore stato, e tutti quei che più meritavano d’inter« venire, prese a parlar cosi.

« Valorosi Peloponnesi e confederati : quantunque anche i padri nostri abbiano fatto molte spedizioni sì dentro che fuori il Peloponneso, e tra noi i più attempati non sieno inesperti della guerra ; nondimeno sino ad ora non siamo mai usciti con apparecchio più grande. Considerate però che potentissima è la città , contro cui andiamo adesso noi in numero grandissimo e col fiore delle nostre truppe. Il perchè non abbiamo a mostrarci nè minori dei padri, nè della propria nostra reputazione : avvegnaché Grecia tutta per la nostra mossa è sollevata ed a noi dirizza l’animo suo, anelando, per odio verso gli Ateniesi, al felice riuscimento dei nostri disegni. Ma con tutto che sembri andar noi contro al nemico con esercito grandissimo, ed esservi gran sicurezza da credere che non oserà venire a battaglia con noi ; non vuoisi però marciare meno circospetti e preparati : anzi e capitano e soldato di ogni città si aspetti quanto a sè ad ogn’ ora il cimento ; conciossiachè incerte sono le cose della guerra, e gli assalti d’ordinario si fanno ad un tratto e col bollore delibammo. Sovente un esercito più piccolo ma circospetto ne rispinse con maggior vantaggio uno più numeroso, ma trascurante per disprezzo. In paese straniero debbono i soldati aver pieno l' animo di ardimento, ma tenersi pronti alla zuffa con cauto timore : cosi saranno più generosi nell' assalire il nemico, e meno pericolanti nel sostenerne l’impeto. Or noi non andiamo contro una città mancante di forze a segno da non resisterci, ma di tutto completamente fornita. Però , sebbene mentre che siamo tuttora lontani, gli Ateniesi non si sieno mossi , pur dobbiamo indubitatamente aspettarci che verranno a battaglia, quando ci veggano guastar le loro terre e distruggere

i beni loro. Imperocché al vedersi sotto gli occhi una repentina insolita sciagura , ognun s’ accende di rabbia ; e quei che meno usano della riflessione » vengono ai fatti col più gran furore. Così più d’ogni altro è da credere che adopreranno gli Ateniesi, pei quali é puntiglio d’onore il comandare altrui, ed assaltare e devastare le terre degli altri, più presto che vedere il guasto delle loro. Persuasi adunque di far guerra a Repubblica sì potente, e di dovere, nell'alternar delle conseguenze, riscuoterne p^r noi e pei nostri maggiori riputazione del più gran rilievo f marciate per le vie che vi additino i vostri capitani, gelosi sovrattutto della buona ordinanza e cautela, e pronti agli ordini che riceviate : poiché il mostrare che in numeroso esercito una è la militar disciplina, si é ciò che maggiormente procaccia onore e sicurezza ».

Archidamo ciò detto e sciolta l’adunanza, prima di tutto spedisce ad Atene Melesippo, cittadino spartano, figliolo di Diacrita , per tentare se gli Ateniesi, al vederli già in cammino, più facilmente cedessero in qualche cosa. Ma egli non fu ricevuto in Atene e molto meno in consiglio , essendo innanzi prevalsa l’opinione di Pericle, di non ammettere araldo nè ambasceria dei Lacedemoni, condotto che avessero l' esercito in campagna. Lo rimandano adunque prima di udirlo , intimandoli uscisse dai confini il giorno 6tesso ; e per l’avvenire i Lacedemoni, quando fossero rientrati nelle loro terre, mandassero pure le ambascerie che volevano : spediscono quindi gente con Melesippo ad accompagnarlo, affinchè non si abboccasse con alcuno. Giunto egli ai confini ed essendo presso a dipartirsi , proseguì la sua gita dette queste sole parole : « Questo medesimo giorno sarà principio ai Greci di grandi calamità ». AI suo ritorno, quando Archidamo ebbe inteso che gli Ateniesi non cederebbero in nulla, levò il campo, e s' avanzava coll' esercito verso il loro territorio. I Beo-

^ii, che uniti in questa spedizione davano ai Pelopotmesi parte dei loro fanti c cavalli, andarono col rimanente a Platea e saccheggiavano la campagna.

Ma intanto che i Pelopoimesi si andavano adunando sull5 istmo ed erano in cammino , prima che assaltassero l’Attica, Pericle di Xantippo , uno dei dieci capitani ateniesi, persuaso che l’invasione sarebbe accaduta , venne in sospetto che Archidamo suo ospite lascerebbe intatte, c non gli guasterebbe le possessioni ; sia che volesse così gratificarlo di propria volontà ; sia che potesse ciò accadere pei conforti dei Lacedemoni che bramavano screditarlo, e che, mirando a lui, avevano intimato si purgasse la contaminazione. Laonde divulgò nell’ adunanza degli Ateniesi , essere Archidamo suo ospite, ma ciò non dover causare alcun detrimento alla Repubblica ; e se le sue terre e ville non fossero guastate dai nemici come quelle degli altri , ei I9 rilasciava in mano del popolo, acciò non vi fosse alcun argomento di sospetto contro di lui. Ed anche adesso li confortava come per l’innanzi a prepararsi alla guerra, a trasportare in città quel che era in campagna; non far sortite contro i nemici, ma ridursi in città e guardarla ; metterò compiutamente in ordine la flotta, loro forza principale, e tenere in pugno gli alleati. Dimostrava, su i tributi di questi esser fondata la loro potenza, e ordinariamente l’intelligenza e la copia del denaro procacciare superiorità in guerra : li esortava a rincorarsi, atteso che la città, senza contare le altre entrate, aveva d’ordinario la rendita di seicento talenti l’anno per tributo degli alleati , e vi restavano anche presentemente nella rocca seimila talenti d’argento coniato, essendo la maggior somma stata di novemila settecento, dai quali erano state levate le spese per gli antiporti della rocca, per altre fabbriche e per Potidea. Okre di che, di argento e d’oro non coniato, tra privati e pubblici voti, tra tutto il resto del va-

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sellarne per le sacre pompe e pei pubblici giuochi, e tra spoglie dei Medi e cose di simil fatta, non vi era meno di cinquecento talenti. Aggiungeva di più, le grandi ricchezze degli altri templi, delle quali si servirebbero ; e qualora fossero affatto impediti dall9 usar tutte queste, gli aurei ornamenti posti intorno al simulacro di Minerva stessa , il quale aveva il peso di quaranta talenti d’oro purgatissimo che tutto poteva spiccarsi ¿’attorno. Avvertiva nondimeno, che quantunque l' avrebbono impiegato per la pubblica salvezza , conveniva poi rimettervelo di peso non inferiore. Cosi li rincorava quanto al denaro. Per ciò che riguarda l' esercito, mostrava esservi tredicimila soldati di armatura grave, senza gli altri sedicimila delle guarnigioni e degli spaldi : tanti appunto, tolti dai più vecchi e dai più giovani con tutti gli inquilini armati alla grave , erano quelli che vi stavano di guardia sino da principio , quando i Lacedemoni erano per assaltare l’Attica. Imperciocché di trentacinque stadii erano le mura di Falera sino al recinto della città , del qual recinto la parte guernita è di quarantatrè , restando senza presidio la porzione che è di mezzo tra le mura faleree e le lunghe. Queste poi sino al Pireo erano di quaranta stadii, e tutte guardate dalla parte esterna. L'intero circuito del Pireo , compresovi Munichia , era di sessanta stadii, ma solo la metà guarnita. Di cavalleria poi mostrava esservi mille dugento , contando gli arcieri a cavallo ; seicento arcieri a piedi, è trecento triremi buone a navigare. Tale e non minore era l' apparecchio che di ciascuna cosa avevano gli Ateniesi, quando i Peloponnesi erano da prima per assaltar VAttica , e quando si misero in guerra. Altre dichiarazioni andava facendo Pericle al suo solito , tendenti tutte a dimostrare che in questa guerra sarebbono vincitori.

Gli Ateniesi, udito che l'ebbero, seguirono il mio consiglio, e dalla campagna introducevano in città i

bambini, le donne , le masserìzie di cui usavano in casa f e sino il legname delle case che demolivano ; e facevano passare nell’ Eubea e nelle isole circonvicine gli armenti e le bestie da soma. Fastidioso però riusciva loro lo sgombero, essendo i più avvezzi a vivere continuamente alla campagna.