History of the Peloponnesian War

Thucydides

Thucydides. Della storia di Tucidide volgarizzata libri otto. Anonymous translator. Florence: Tipografia Galileiana, 1835.

Ma in Samo quelli che erano al governo delle cose, e specialmente Trasibulo, da che ebbe cambiato gli affari, fermo sempre nel suo pensiero di rimettere in patria Alcibiade, riuscì con un’arringa a tirar nella sua opinione la più gran parte dei soldati. I quali avendo decretato ad Alcibiade il ritorno alla patria e l’impunità, Trasibulo ondato da Tissaferne ricondusse a Samo Alcibiade medesimo , stimando non esservi altra salvezza se non quella che egli recasse alla parte loro Tissaferne. E tenutasi una dieta, Alcibiade fece grandi querele e lagnanze del suo bando, e iutertenendosi molto a parlare della Repubblica destò in loro non piccole speranze suiravvenire, e magnificò oltre modo il suo credilo presso Tissafcrne, per farsi temere da chi in Atene reggeva l’oligarchia, per disciogliere più facilmente le congiure, per essere onorato maggiormente da quei di Samo e rincorarli meglio ; e per screditare al più possibile i nemici dinanzi a Tissaferne, e farli decadere dalle concepute speranze. Vantava egli adunque quesle grandissime promesse, che Tissaferne, qualora potesse fidarsi degli Ateniesi, si era impegnato con lui di non far loro mancare in verun modo gli stipendii finché gli restasse qualche cosa del proprio, anche a costo di vendere il letto per far denari ; che agli Ateniesi non a’ Pelopounesi condurrebbe le navi fenicie già arrivate in Aspendo; ma che solo si fiderebbe di loro quando esso Alcibiade tornato in patria ne stesse mallevadore.

I soldati al sentir queste e molte altre cose lo elessero subito generale insieme cogli altri di prima; rimisero in lui il governo di tutti gli affari, e nissuno di essi avrebbe commutato con qualsivoglia altro bene la speranza presentemente conceputa di salvarsi, e di pigliar vendetta de’quattrocento. E per le cose dette da Alcibiade erano pronti in quel primo impelo a navigar sopra il Pireo, mettendo in non cale gli attuali nemici, ove egli, non ostante le istanze di molti, non avesse al tutto impedito che, lasciando addietro i nemici più vicini, facessero quella mossa. Disse anzi che essendo egli stato creato generale, volea recarsi da Tissaferne per trattare delle bisogne di guerra ; e appena sciolta l'adunanza vi andò; sì perchè volea parere di comunicar tutto con lui, sì eziandio perchè bramava venirgli in maggior estimazione, e farsi bello d’essere ornai stato eletto generale, e di trovarsi in grado di procacciargli del bene e del male. Cosicché venne fatto ad Alcibiade d’incuter paura agli Ateniesi col nome di Tissaferne , ed a Tissaferne col nome degli Ateniesi.

Ma i Peloponnesi di Mileto udito il ritorno d’Alcibiade, se per lo passato non avean fede in Tissaferne , allora sì che vie più se ne disgustarono. Imperciocché (in da quando si erano essi tenuti di venire a battaglia contro la flotta ateniese uscita sopra Mileto, era accaduto che Tissaferne andava assai più a rilente nel dare le paghe, e che anche prima di questi fatti, per gl’ intrighi di Alcibiade, era incorso a gran passi nel loro sdegno. Laonde i soldati nei loro capannelli (e non solo i soldati, uìa ancora altre persone di conto) ritornavano sulle riflessioni di prima ; cioè, che non ricevevano mai intera la paga, che piccola era quella che veniva data e neppur questa si dava sempre, che se non si tentasse un decisivo combattimento navale, o non si andasse in altro luogo donde cavar si potessero i viveri, le truppe avrebbero abbandonata la flotta . e

die di tu Ite queste cose era cagione Astioco, il qunle per privati guadagni secondava gli umori di Tissaferne.

Mentre che essi erano in queste considerazioni, avvenne riguardo ad Astioco questo tumulto. I marinari dei Siracusani e de’Turii, quanto erano la più gran moltitudine di gente lìbera, altrettanto con più audacia si affollavano a dimandar la paga. Astioco rispose loro arrogantemente anzi che no, ed alzò il bastone minacciando Dorieo che patrocinava le sue ciurme. A tal vista la moltitudine desoldad, da truppa marinaresca com’erano, alzarono le grida e si avventarono addosso ad Astioco per batterlo; ed egli previsto ciò ricovrossi ad un altare. Nè già fu ferito, ma la calca si dileguò. Ed i Milesii assalirono furtivamente ed espugnarono un forte fabbricato da Tissaferne in Mileto, e cacciarono via il presidio che vi era ; operazione che riscosse l’approvazione degli alleati e specialmente de’ Siracusani, ma che dispiacque a Lica ; il quale diceva che i Milesii doveano, con discrete condizioni star sotto Tissaferne come pure gli altri che trovavansi nelle terre del re, e tenerselo caro finché non avessero bene acconciata la guerra. Ma i Milesii erano ornai sdegnati con Lica ; e per questi motivi ed altri consimili, quando egli venne a morire per malattia, non permisero ai Lacedemoni che si trovavano a Mileto ch’e’ fosse seppellito nel luogo che desideravano.

Nel tempo appunto che nel campo peloponnesio bollivano questi mali umori contro Astioco e contro Tissaferne , arrivò da Sparta Mindaro per succedere nell’ammiragliato ad Astioco, c rccossi in mano il comando. Astioco imbarcò per andarsene ; e Tissaferne spedì con lui in qualità d’ambasciatore un tale del suo seguito, per nome Ganlete, della Caria, perito delle due lingue, il quale accusasse i Milesii del fatto del castello, ed insieme purgasse lui dalle imputazioni che gli venivano date : perchè sapeva bene

che anche i Milesii si erano messi in cammino col fíne principalmente di querelarlo, in compagnia d' Ermocrate che dovea denunziarlo come uomo doppio ed unito con Alcibiade a rovinar le cose dei Peloponnesi. Qui è da sapere che Ermocrate nutriva mai sempre l’inimicizia conceputa con Tissaferne a cagion del pagamento degli stipendii. E in ultimo quando e1 fu bandito da Siracusa, e vennero a Mileto pel comando delle navi siracusane altri generali, cioè, Potami, Miscone e Demarco, Tissaferne si mise con più ardore a perseguitarlo come bandito, e fra laltre lo incolpava che si fosse fitto in testa d’odiar lui, da che chiesti una volta i denari non gli avea ottenuti. Astioco adunque , i Milesii ed Ermocrate s'imbarcarono per Sparta, ed Alcibiade già da Tissaferne era ripassato a Samo.

Partiti da Deio i legati de quattrocento già spediti a Samo per attutire ed informare l’esercito, vi giungono quando v’era presente Alcibiade; e tenutasi adunanza si sforzavano di pigliar la parola. I soldati da prima non volevano udirli; e gridavano che si uccidessero i disfacitori dello stato popolare : ma poi quetatisi s' indussero ad ascoltarli. Allora i legati annunziavano che la mutazione del governo non era stata fatta a perdizione ma a salvezza della Repubblica, e non per darla in mano ai nemici, ai quali si sarebbe potuta dare quando e’l’assalirono essendo in carica i quattrocento ; che a tutti toccherebbe la sua volta di entrare nel numero de’cinquemila ; che i loro congiunti non erano insultati (siccome avea calunniosamente riferito Cherea), e non che ricevessero alcun male, stava ciascuno di essi al suo posto padroni de’propri beni. Molte altre cose poi aggiunsero a queste che non furono punto meglio udite dai soldati, i quali invece s’infastidirono, e proponevano chi un partito, chi un altro , e specialmente quello di navigare contro il Pireo. Allora fu che Alcibiade riscosse la opinione d’aver il primo e non meno di qualunqu’altro

giovato alla Repubblica. Conciossiachè, essendo risoluti gli Ateniesi di Samo di navigar contro quelli d’Atene (nel qual caso i nemici a dirittura avrebber sicuramente occupato la Ionia e l’Ellesponto), egli ebbe il vanto di essersi opposto a quella furia, nella quale nissuno sarebbe stato atto a contenere la moltitudine; distolse l’esercito da quella mossa, e garrì e represse quelli che si versavano contro ai legati. I quali egli medesimo rimandò con questa risposta; che non impedirebbe a’cinquemila di ritenere il governo , ma che ordinava loro di deporre i quattrocento, e di rimettere come prima il consiglio de’cinquecento. Se poi per economia fosse stata fatta qualche riforma, ad oggetto che i soldati fossero meglio pagati, in ciò li lodava sommamente. Del resto li confortava a tener il fermo e non cedere ai nemici ; perciocché, mantenendosi salva la Repubblica, vi era molta speranza di accomodarsi tra loro ; ma una volta che una delle due parti, o quella di Samo o quella d’Atene soccombesse, non vi resterebbe più nemmeno con chi rappacificarsi. Trovavansi presenti a questo dibattimento anche gli ambasciatori degli Argivi, i quali promettevano di soccorrere i popolani ateniesi che erano in Samo. Di che Alcibiade, colmatili di lodi, disse loro che si dovessero presentare quando fossero chiamati, e cosi li accomiatò. Questi Argivi erano venuti a Samo con quei della nave Paralo, i quali al tempo soprallegato erano stati destinati dai quattrocento a volteggiare intorno all’Eubea con una nave da trasporto, e doveano condurre a Sparta per parte de’quattrocento gli ambasciatori ateniesi, Lespodia, Aristofonte e Melesia. Se non che quando navigando furono presso ad Argo arrestarono gli ambasciatori, e come principali sovvertitori dello stato popolare li consegnarono agli Argivi. Né già ritornarono ad Atene, ma conducenda seco gli ambasciatori, da Argo arrivarono a Samo colla nave sulla quale erano.

Nella medesima estate volendo Tissaferae (come di fermo fu creduto) sventare le imputazioni dategli da’ Peloponnesi, i quali tra le altre, a cagione del ritorno d’Alcibiade, erano scorrubbiati con esso lui quasi la tenesse apertamente da Atene, si dispose a portarsi ad Aspendo per le navi fenicie, e comandò a Lica di essergli compagno in quel viaggio. E quanto all’esercito disse che lascerebbe ordine a Tamo suo luogotenente di pagar gli stipendii, in quel tanto ch'ei stesse assente. La cosa però uon si racconta in un medesimo modo, nò è facile intendere perchè andasse ad Aspendo , e poi andatovi non ronducesselenavi. Conciossiachè egli è cosa indubitata che, centoquarantasette navi fenicie erano arrivate ad Aspendo ; e d’altronde molte sono le congetture del perchè non venissero. Alcuni tengono che Tissaferne andasse ad Aspendo per logorar con questa sua partenza i Peloponnesi, come veramente era suo pensiero. Ed infatti Tamo suo luogotenente pagava gli stipendii non punto meglio, ma anzi peggio di lui. Altri opinano che dopo aver fatti venire i Fenicii sino ad Aspendo ei volesse cavarne denari congedandoli; poiché non aveva intenzione di valersi di loro. Altri poi son d avviso che facesse ciò mosso dalle male voci giunte fino a Sparta, acciocché si dicesse che la sua condotta non era disleale, ma che egli andava apertamente per una flotta al certo equipaggiata. Con tutto questo a me pare che il motivo più chiaro del non aver condotto quella flotta fosse per indebolire e tener sospese le cose de1 Greci ; per farli consumar tra loro mentre egli era assente e si tratteneva colà ; e per tenere in bilancia i loro interessi senza farla preponderar da alcuna parte colla sua aggiunta ; perchè è manifesto che, se lo avesse voluto , arebbe posto fine alla guerra ; e l’esito non sarebbe stato dubbioso. Essendoché, conduceudo la flotta fenicia ai Lacedemoni, avrebbe ragionevolmente dato la viltoria ad essi, i quali anche

di presente stavano a fronte degli Ateniesi con eguali forze marittime piuttostochè minori. Lo scusarsi poi del non aver condotto quelle navi, col dire che erano state accolte iu più piccol numero di quello che il re avea ordinato, fu un parlare da sonnolento; perchè in tal caso arebbe meglio incontrato il gradimento del re spendendo non molti denari, e con più sottile spesa avrebbe conseguito l'istesso. Ma (qual che si fosse la sua intenzione) Tissaferne arriva ad Aspendo e si abbocca coi Feuicii ; ed i Peloponnesi per ordine di lui vi spediscono Filippo gentiluomo lacedemone con due triremi, persuasi che gli dovessero esser conseguale quelle navi.

Non si tosto sentì Alcibiade la partenza di Tissaferne per Aspendo che anch’egli si mise in mare con tredici navi, promettendo di sicuro a quei di Samo un di questi due importantissimi servigi ; o condurrebbe le navi fenicie agli Ateniesi, o impedirebbe al certo che venissero ai Peloponnesi. Sapeva egli di lunga mano, com’è da credere , non essere intenzione di Tissaferue condurre quelle navi; e di più voleva screditarlo sommamente appresso i Peloponnesi, per conto ddl'amicizia che Tissaferne medesimo aveva con lui c con gli Ateniesi; affinchè così fosse maggiormente costretto ad accostarsi alla parte ateniese. Laonde fatto vela direttamente da Samo per alla volta di Cauuo e di Faselide proseguiva la sua gita verso Aspendo.

Ma i mandatari de’quattrocento tornati da Samo ad Atene, e riferite le risposte di Alcibiade con cui ordinava di persistere e non cedere ai nemici , giacché egli avea molta speranza di riconciliar con loro l’esercito e di superare i Peloponnesi, ispirarono assai maggior coraggio a coloro, i quali, tuttoché avesser parte al reggimento oliparchico, pure ne erano (li prima indispettiti , e volentieri avrebber preso qualche via di sicurezza per uscir da quell'intrigamento.

E già si accoglieano in brigate , e biasimavano quello stato di cose, avendo in ciò per capi generali ragguardevolissimi addetti alloligarchia e costituiti in carica, come Teramane di Agnone, Aristocrate di Sicelio ed altri, che avean mano tra’primi al governo degli affari, e che temendo (per quanto dicevano) dell’esercito di Samo e di Alcibiade , ed anche de’ loro ambasciatori a Sparta, man -daron dicendo a quest’ultimi che badassero bene di non recar danno alla patria, ove qualche trattato concludessero seuza il consenso del maggior numero de’cittadini. Credevano essi che con questo temperamento libererebbero la Repubblica dal cadere sotto il governo di troppo pochi ; e dicevano che bisognava creare i cinquemila non in parole ma in fatti, e ridurre lo Stato a maggiore eguaglianza. Tutto questo però era im pretesto politico delle loro mire, e la maggior parte di essi, mossi da private ambizioni, erano attaccali a tal forma di governo, in cui l’oligarchia , più che altro, nata dalla democrazia è un sogno. Essendoché nel primo giorno stesso del governo oligarchico , ciascun pretende di primeggiar di gran lunga sugli altri, non che di essere eguale: laddove negli squittinii che si fanno dal popolo, ognun si accomoda più facilmente al resultameuto senza credersi soverchiato, perché é opera di cittadini eguali. Quello poi che manifestamente sollevò gli animi di costoro fu la ferma autorità che aveva Alcibiade in Samo, e la opinione in cui essi erano , che il reggimento de pochi non potesse durare stabilmente. Laonde ciascuno faceva oltremodo a gara per essere il principal protettore dello stato popolare.

Quelli però tra i quattrocento che erano graudissimamente avversi a tal forma di governo, e che avevano maggiore autorità, come Frinico, il quale anche nel tempo del suo generalato a Samo avea contrariato Alcibiade, ed Aristarco uno dc’più accaniti ed invecchiati nemici del popolo,

e Pisandro ed Anlifonte ed altri de più potenti, già fin da prima appena essi furono assunti al governo, e poi quando i fautori che aveano a Samo passarono alla democrazia , spedivano a Sparta ambasciatori del loro numero ; e si davano ogni cura pel reggimento oligarchico ; e costruivano un muro nel sito chiamato Etionea. Le quali cose con sollecitudine anche maggiore facevano, dopo che .per i loro ambasciatori tornati da Samo ebbero compreso che la plebe e quelli che prima sembravano fedeli avean mutato mantello. E temendo delle cose d’Atene e di Samo spedirono prestamente Antifonte e Frinico con altri dieci , ordinando loro di accomodarsi co’ Lacedemoni in qualunque modo si fosse tollerabile, e con premura più grande edificavano il muro di Etionea. La loro intenzione nel fabbricar questo muro era (come diceva Teramene e quelli della sua parte) non d’impedire ai soldati di Samo l’entrata nel Pireo, qualora venissero ad assaltarlo colla flotta ; ma piuttosto di ricevervi dentro i nemici colle navi e coi fanti, quando loro piacesse ; imperciocché Etionea é come iin gomito del Pireo , e presso di lei si trova l’ingresso delle navi. Attaccavano adunque questo muro all’altro che vi era di prima e che guardava terraferma ; in modo che con poche genti le quali vi stessero sopra f erano padroni dell’ ingresso ; perchè il muro vecchio verso terraferma , e dalla parte interna il muro nuovo che andava al mare, terminavano entrambi ad una delle due torri sulla bocca del porto che è angusto. Edificarono inoltre una grandissima loggia che si estendeva immediatamente nella maggior vicinanza a questo muro nel Pireo ; e di essa erano eglino i padroni, ed astringevano tutti a scaricarvi il grano del paese e quello die veniva dalla parte del mare, ed a cavarlo di lì per venderlo.

Teramene pertanto da molto tempo facea gran romore di queste cose ; e dopo che furono ritornati da Sparta

sii ambasciatori senza nessun:» conclusione di accomoda' mento circa lo somma degli affari, diceva che con quel muro vi era il pericolo di rovinar tutta la città. Essendoché si dava il caso che quarantadue navi (alcuna delle quali erano italiane e siciliane cioè di Taranto e di Locri) venute circi questo tempo dal Peloponneso a petizione degli Eubeesi, aveano dato fondo in sulle coste della Laconia, e si preparavano a navigar per FEubea capitanate da Egesandrida spartano. Quest’armata, diceva Teramene, esser diretta piuttosto verso queMi i quali fabbricavano il muro ad Etionea, die non verso l’Eubea ; e però, se non si pensasse a mettersi tosto in guardia, resterebbero tutti sterminati quando men se l’aspettavano. Tal sospizione era in parte vera rispetto a quelli su ctii cadeva, e tali parole non erano al tutto una mera maldicenza. Conciossiachè i fortificatori di Etiooea bramavano principalmente col l’oligarchia avere impero sugli alleati ; se no, ritenendo le navi e le mura, essere gli arbitri del governo ; e posto che questo non riuscisse, non volgano trovarsi a cadere i primi sotto Pungili e del popolo quando avesse ripreso il suo grado, a patti anche d’introdurre i nemici e di rimettere la città nella loro discrezione, cedendo le mura e le navi, purché le proprie persone fossero salve.

Il perchè si affrettavano a costruir quel muro con postierle ed ingressi per introdurvi i nemici , volendo terminarlo innanzi d essere impediti dalla fazione contraria. Tali discorsi pertanto da principio si comunicavano a pochi , e piuttosto di soppiatto ; ma poiché Frinico tornando dalla sua ambasceria di Sparta fu a posta fatta ferito in pena piazza da uno della ronda, e venuto non molto lungi dalla curia morì ; e poiché, fuggito essendo l’uccisore, un tal di Argo suo complice arrestato e torturato da quattrocento non volle palesare il nome di nessuno che avesse ordinato quel delitto, e solo disse che si faceano molte radunanze presso il capo delle ronde e altrove per le case;

nllor daddovero, siccome quell’accidente non avea partorito veruna novità, Terainene ed Aristocrate, e quanti tra’quattrocento e fuori dequattrocento eran del medesimo parere , si misero tosto con più ardire all’ impresa. Impercioo che in quel tempo appunto le navi nemiche dalla spiaggia laconica volteggiando si erano fermate ad Epidauro, ed aveano fatto delle scorrerie sopra Egina ; e Teramene diceva non esser consentaneo, se esse andavano verso l’Eubea, che avesser piegato il corso al golfo d’Egina, e quindi presa stazione ad Epidauro ; qualora non fossero state invitate a quel fine ch’ei sempre annunziava : e però non doversi più stare inoperosi. Alla fine moltiplicati i discorsi sediziosi e cresciuti i sospetti Teramene ed i suoi partigiani misero mano all’impresa. Conciossiachè i soldati gravi che nel Pireo fabbricavano il muro di Etionea (e tra questi era anche Aristocrate centurione colla sua centuria) arrestano Alessicle capitano degli oligarchici e sommamente inclinato alla parte contraria a Teramene ; e condottolo a casa lo tennero prigione. E tra gli altri cooperatori che avevano vi era Ermone uno de’comandanti delle ronde di Munichia ; e , quel che più rileva, il corpo de’soldati gravi stava per loro. Appena fu recato avviso di ciò ai quattrocento adunati a consesso nella sala del senato , tutti, salvo quelli ai quali non piaceva il presente governo, erano pronti a correre all’armi, e minacciavano Teramene edi suoi aderenti. Egli per discolparsi disse d’esser pronto a recarsi a liberare Alessicle ; e preso seco un capitano che era della medesima congiura di lui, si avviava verso il Pireo, sostenuto da Aristarco e da’giovani cavalieri. Frattanto grande e spaventevole era il tumulto ; poiché quei di città pensavano che il Pireo fosse già occupato, e messo a morte l’imprigionato Alessicle ; e quei del Pireo temevano di trovarsi or ora addosso quelli di città. Già per Atene correasi furiosamente allarmi, ed i più vecchi si paravano innanzi a’loro
eoncittadini per impedirli, e Tucidice farsalico, ospite della città ed ivi preseti te, entrando animosamente di mezzo ritenea ciascuno, e gridava che non volessero rovinar b par tria co’nemici d’appresso ed alle vedette ; cosicché a gran pena si quetaronaé tion si venne all’arini. Teramene che era uno degenerali arrivato al Pireo mostrassi a parole adirato co’soldati gravi; ma Aristarco e gli altri della parte contraria erano sdegnati veramente. Con tutto ciò la magi» gior parte di quelle milizie, non che si pentissero del fatto tiravano innanzi, e domandavano a Teramene se credeva egli vantaggiosa la fabbrica del muro, e se meglio fosse demolirlo. E Teramene rispondeva che se piacesse loro demolirlo e’ piaceva anche a lui. Laonde tostamente i soldati gravi e molti di quei del Pireo salirono sul muro e lo spianavano, esortandosi tutti l’un l’altro con queste parole et deve prestar mano all’opera chi vuole il comando de’cinquemila , anziché quello de ’quattrocento »; avvegnaché tutti coloro che bramavano ristabilito il governo popolare si andassero ancora celando sotto il nome de’cinquemila onde non nominare apertamente il popolo; perchè temevano che i cinquemila veramente esistessero, e che dicendo qualche cosa ad alcuno di essi senza conoscerlo , non avessero a trovarsi perduti. Ed i quattrocento non volevano nè che i cinquemila esistessero, nè che fosse manifesto che non esistevano, per questo appunto perchè giudicavano che il metter tanti a parte del governo sarebbe una vera democrazia, e che d’altronde con l’incertezza si seminerebbe la paura tra’cittadini.

Il giorno seguente i quattrocento, benché sconcertati si assembrarono nella sala senatoria; ed i soldati gravi del Pireo, lasciato in libertà l’arrestato Alessicle e demolito il muro, vennero al teatro di Bacco presso Munichia , e posate le armi fecero adunanza, e secondo la risoluzione presa marciavano a dirittura verso la città, od

ivi fecero alto nel sacro recinto de’Dioscurk Quivi vennero a trovarli alcuni deputati de ’quattrocento, e discorrevano testa testa con loro ; e persuadevano quelli che vedessero più docili a mettersi in calma e contenere anche gli altri; promettendo che si promulgherebbero i cinque mila, e che dal uumero di questi si creerebbero a vicenda i quattrocento, secondo che piacesse ai cinquemila medesimi; e intanto li pregavano che non volessero in alcun modo perdere la Repubblica nè darle la spinta a cadere in mano de’nemici. Cosicché per i molti discorsi che si facevano a molti, il maggior numero de’soldati gravi divennero più ammansati di prima, e sopra tutto temevano del pericolo universale della Repubblica. Convennero adunque che in un certo giorno si tenesse una dieta nel tempio di Bacco intorno all’accomodamento.

Arrivato il giorno della dieta nel tempio di Bacco, mentre erano per adunarsi venne la nuova che Egesandrida con le quarantadue navi fatto vela da Megara rasentava Salamina. Allora tutti i soldati gravi giudicavano esser questo ciò che tempo fa dice vasi da Teramene e dai suoi seguaci, cioè che la flotta nemica era diretta al muro ; e tenevano per vantaggiosa la demolizione di esso. E forse Egesandrida si tratteneva intorno ad Epidauro ed in cotesti luoghi per essersi indettato co’quattrocento ; ma è ancora probabile che vi si fermasse sperando dover essere opportuno il suo arrivo all’occasione della presente sedizione degli Ateniesi. Questi però a tal nuova accorrevano subito a stormo al Pireo, giudicando più della domestica guerra formidabile quella de’nemici, che non da lontano ma sulla bocca del porto si faceva ; ed alcuni montavano su le navi già pronte , altri le varavano in mare , ed altri sctmdeano precipitosi a difendere le mura e la bocca del porto.

Ma le navi de’ Peloponnesi seguitarono il corso ; e fatto il giro di Sunio fermaronsi fra Torico e Prasia , e

poi giunsero ad Oropo. Gli Ateniesi in mezzo a quelle sedizioni astretti frettolosamente a valersi di ciurme non ordinate , e desiderosi di provveder con prestezza a cosa tanto rilevante (poiché bloccata l’Attica , l' Eubea era per loro il tutto) spediscono delle navi ad Eretria sotto il comando di Timocari. Le quali arrivate colà e riunitesi con quelle che di prima erano nell’ Eubea compirono il numero di trentasei, e furon subito costrette a venire a battaglia. Imperocché Egesandridadopo il pranzo aveva mossola flotta da Oropo che è distante circa sessanta stadii di mare dalla città degli Eretrii ; e gli Ateniesi nel tempo di quella mossa armavano tostamente le navi, credendo che i soldati fossero appresso di quelle. Essi invece erano andati a comprarsi il mangiare non alla piazza del mercato (ove gli Eretrii premeditatamente non aveano esposto nulla a vendere) ma alle case situate alla fine della città , affinchè mentre le navi si armavano lentamente , i nemici fossero in tempo ad assalirle, e potessero forzare gli Ateniesi a movere loro incontro così come si trovavano. Inoltre fu da Eretria alzato il segnale verso Oropo ai Peloponnesi, per avvertirli quando doveau recarsi nell’alto. Pertanto venuti in mare gli Ateniesi con sì meschino apparecchio, ed appiccata la battaglia al di là del porto di Eretria, ressero nondimeno qualche tempo ; ma poi voltatisi in fuga erano perseguitati fin sulla costa. E quanti di loro si rifugiarono nella città degli Eretrii credendola amica, vennero trattati crudelissimamente e messi a morte dai cittadini ; e gli altri che ricovravansi nella fortezza di Eretria, che si tenea per loro , si salvarono ; come pure quelle navi che arrivarono a Calcide. I Peloponnesi presero agli Ateniesi veutidue navi ; parte delle persone uccisero parte le tennero prigioni, ed alzarono il trofeo ; e non molto dopo ribellarono tutta P Eubea (eccetto Oreo che ritenevano gli Ateniesi) è diedero ordine a tutto quello che al governo di lei apparteneva.

Pervenuta agli Ateniesi la nuova dei fatti dell’Eubea vi sorse sbigottimento grandissimo oltre ogni altro di prima ; nè la disfatta di Sicilia, tuttoché allora paruta grande, nè verun altro caso finora gli atterrì mai cotanto. Imperciocché essendo accaduta sì grave sciagura nella quale avean perduto le navi, e (che grandissima cosa era) l’Eubea, da cui traevano vantaggi maggiori che dall9Attica, mentre era già ribellato l’esercitò di Samo, e non avean più navi nè genti da empirle , e mentre bollivano le fazioni nè vedevasi quando si sarebber potute mai riconciliare; come non era ragionevole il loro scoraggiamento? Sopra tutto poi li turbava l’imminentissimo pericolo che i nemici usando della vittoria osassero spinger subito la flotta contro il Pireo sguarnito di navi, e già li credean poco meno che presenti. Lo che sarebbe loro agevolmente riuscito se fossero stati più ardimentosi, ed assediando Atene l’avrebber divisa maggiormente, ed astrette le navi della Ionia, sebbene nemiche del governo de’pochi, a correre in soccorso de’ propri parenti e di tutta quanta la città ; ed in questo l' Ellesponto, la Ionia, le isole e quanto v’è di spazio fino all’Eubea, insomma tutto l’imperio ateniese sarebbe venuto nelle loro mani. Nè già in questa sola occasione, ma in altre molte ancora, i Lacedemoni f uron per gli Ateniesi quelli, contro a’quali guerreggiarono più comodamente. Imperciocché essendo diversissimi d’indole , gli uni pronti, gli altri tardi, questi intraprendi tori quelli dubitosi, specialmente nel governo delle flotte, procuravano agli Ateniesi vantaggi grandissimi. E la cosa è stata comprovata dai Siracusani, che essendo di maniere consimili agli Ateniesi li combatterono bravissimamente.

A tali nuove pertanto gli Ateniesi, quantunque sbigottiti, armarono venti navi, e allora subito da primo tennero un adunanza nel luogo chiamato Pnice, ove ancora

altre volte eran soliti adunarsi ; nella quale abolirono il magistrato de’quattrocento, e decretarono di affidar lo stato ai cinquemila, del qual numero dovessero esser quei soli che prestassero servizio nella milizia, e che riissimo per qualsivoglia carica dovesse aver pensioni; altrimenti fosse dichiarato esecrabile. Si tennero in seguito altre frequenti adunanze con le quali stabilirono i conservatori delle leggi, ed altre cose pertinenti al reggimento del Comune. E par mi che, almeno a mia ricordanza , gli Ateniesi in questo primo tempo si sieno ben governati ; perciocché vi fu un moderato temperamento tra gli ottimati ed il popolo , ciò che fu cagione principale che le cose loro si rialzassero dal cattivo stato in che erano cadute. Decretarono altresì il ritorno d’Alcibiade e de’suoi seguaci ; e spedirono a lui e all’esercito di Samo pregandoli efficacemente ad applicarsi al governo degli affari.

In tal rivoluzione Pisandro, Alessicle e quanti erano primari sostenitori dell'oligarchia si trafugarono a Decelia. E solo fra essi Aristarco, uno dei generali, tolti seco prestamente alcuni arcieri dei più barbari, marciava verso Enoa fortilizio degli Ateniesi sulla frontiera della Beozia, il quale era assediato da’Corintii (rinforzati da alcuni volontari Beozii) per vendicare l’uccisione operata dagli Ateniesi usciti da Enoa sulle genti loro che ritornavano da Decelia. Aristarco adunque comunicato il suo disegno agli assedianti inganna il presidio di Enoa, dicendo che siccome quelli d’Atene si erano del resto accordati coi Lacedemoni, così essi dovean render quella terra a’Beozii, giacché erasi fatto l’accomodamento a questi patti. Quelli del presidio fidandosi di lui come generale, e nulla sapendo dell’accaduto perchè assediati, uscirono sotto la pubblica fede. In tal maniera i Beozii riebbero Enoa lasciata dagli Ateniesi ; e cosi cessò in Atene il governo de’pochi, e la sedizione.

In questa estate verso i medesimi tempi, ai Peloponnesi che erano a Mileto non venivan pagati gli siipendìi da veruno dei luogotenenti lasciali da Tissaferne quando partì per Aspendo, nè si vedean comparire le navi fenicie con Tissaferne stesso. E Filippo spedito con lui, ed anche Ippocrate gentiluomo spartano che era a Faselìde, aveano scritto all’amuiiraglio Mindaro che le navi fenicie non comparirebbero, che i Peloponnesi erano in tutto trattati male da Tissaferne, e che Farnabazo li invitava, ed era pronto a condurre a loro la sua flotta, e a ribellare egli stesso (siccome dovea fare Tissaferne) le altre città della sua provincia agli Ateniesi, ripromettendosi da ciò qualche profitto maggiore. Per le quali cose Mindaro con molta regola e con subito ordinamento, onde celarsi alla flotta ateniese di Samo, salpò da Mileto con settantatre navi, e veleggiava alla volta dell1 Ellesponto, ove in questa medesima estate ne erano inuanzi arrivate sedici, ed aveano corso qualche parte del Chersoneso. Se non che colto da burrascoso vento fu astretto a pigliar terra ad lecaro ; ove trattenuto cinque o sei giorni dalla contrarietà del tempo, giunse poi a Chio.

Appena seppe Trasillo la partenza di Mindaro da Mileto, mosse anch’egli da Samo con cinquantacinque navi, affrettandosi, per non esser prevenuto, ad arrivar nelr Ellesponto. Ma sentendo che Mindaro era a Chio, e stimando che vi si tratterrebbe, collocò degli speculatori a Lesbo e sull’opposto lido, acciocché, se mai le navi nemiche movessero in qual che luogo, fossero osservate ; ed egli audò costeggiando fino a Me ti ama , ed ordinò provvisioni di farine e di altri viveri col fine di far delle sortite da Lesbo contro Chio , qualora l’ammiraglio peloponnesio vi si trattenesse più a lungo. Voleva inoltre vedere se navigando ad Ereso già ribellata da Lesbo potesse espugnarla. Conciossiachè alcuni fuorusciti di Metimna , non già delPinfima

classe, avendo condotti da Cuma circa cinquanta soldati di grave armatura affezionati a loro per ispirito di parte, e presi a soldo alcuni di terraferma, tanto che in tutti furono da trecento , eran venuti primieramente a dar Tassalo) a Metimna, capitanati da Anassarco tebano per affezione di parentela. E ributtali indietro dal presidio ateniese uscito da Mitilene, e nella battaglia occorsa cacciati nuovamente fuor di città, si erano condotti per la via del monte ad Ereso e Favean fatta ribellare. Laonde Trasillo recatosi per mare colà pensava di assalirla colle navi, e prima di lui vi era con cinque navi arrivato da Samo Trasibulo, appena si seppe la nuova del tragitto di que’banditi a Metimna. Ma non essendo stato a tempo a raggiuguerli, venne ad Ereso e fermossi sull’ancore. Vi si aggiunsero poi altre due navi che dall9Ellesponto tornavano a casa, ed anche quelle di Metimna. Talché in tutte vi se ne trovavano presenti sessantasette; e colle truppe che aveano a bordo, gli Ateniesi si preparavano ad espugnare Ereso a viva forza , o con le macchine od in qualunque altra maniera.