History of the Peloponnesian War

Thucydides

Thucydides. Della storia di Tucidide volgarizzata libri otto. Anonymous translator. Florence: Tipografia Galileiana, 1835.

Ma intanto viene da Cauno la nuova dell’arrivo delle ventisette uà vi e de’ consiglieri lacedemoni. Il perché Astioco stimando esser da posporre ogni altra cosa al dovere di accompaguarli con flotta si grande, acciocché ella più sicuramente signoreggiasse iti sul mare, e potessero tragittar senza pericolo i Lacedemoni venuti a sorvegliarlo, lasciato in tronco l’aflare di Chio moveva verso Cauno. E piaggia piaggia sceso a Co Meropide saccheggiava la città sguarnita di mura, e rovinata da un terremoto ivi accaduto grandissimo sopra ogni altro a nostra

memoria, per cui la gente era fuggita alle montagne ; c con le scorrerie depredava la campagna rilasciando però illese le persone di condizione liliera. Da Co pervenuto di notte a Cnido fu astretto dalle istanze degli Cnidii a, non isbarcare le sue genti , ma senz:altro far vela tostamente contro le venti navi degli Ateniesi, colle quali Carmino uno de’capitani di Samo spiava il passaggio delie ventisette navi che venivano dal Peloponneso, per proteggere le quali era in mare lo stesso Astioco. Gli Ateniesi in Samo aveano ricevuto avviso da Mileto che quelle navi erano in corso ; e Carmino informato che già elle erano a Cauno stava alle vedette incrociando tra Sione, Calce, Rodi e la Licia.

Astioco adunque senza più , innanzi d'essere scoperto , indirizzossi alla volta di Siine per veder di sorprendere in qualche luogo le navi nemiche nell’alto. Ma la pioggia e le dense nuvole onde il cielo era coperto fecero in quella oscurità andare smarrita e disordinata la sua flotta. E sul far del giorno trovandosi essa divisa col corno sinistro ornai sotto la vista degli Ateniesi, e coll’altro smarrito tuttora intorno all’ isola , Carmino e le sue geuti andavano ad incontrarla con meno di veuti navi, credendo esser quella Farnnia di Cauno contro la quale stavano in osservazione ; ed assaltatala senza indugio ne affondarono tre navi e conciaron malamente le altre. Erano.gli Ateniesi vincitori in quel combattimento ; quando comparvero inaspettatamente un maggior numero di legni netnici , dai quali furono per ogni banda accerchiati. Allora datisi alla fuga vi perdono sei navi ; e col resto si ricovrano nell’ isola Teutlrissa ; e di lì ad Alicarnasso. Dopo questo i Peloponuesi approdarono a Cnido , e riunitesi a loro le ventisette navi di Cauno, andarono con tutte inMenie a Sime; ove ersero il trofeo, e ritornarono a pigliar porlo a Cuido.

E gli Ateniesi poiché seppero l' esito di quel combattimento navale, recaronsi a Sime con tutte le navi di Santo; e senza assalire la flotta di Cnido od esser da quella assaliti, presero gli attrezzi delle navi restate in Sime ; quindi dato l' assalto a Lorima in terraferma si ricondussero a Samo. Le navi peloponnesie che tutte erano già a Cnido si andavano raddobbando secondo che bisognava ; e gli undici consiglieri dei Lacedemoni tenevano parola con Tissaferne arrivato colà , intorno alle cose operate , se qualcuna nou attagliava loro , e intorno al modo onde potrebbesi guerreggiar meglio e più utilmente per entrambi. Rifletteva Lica principalmente alle operazioni presenti, e diceva i due concordati (senza escluder quello di Teramene) non essersi stipulati con dignità di Sparta ; essere anzi cosa strana che il re pretenda di signoreggiar tutte quelle terre le quali egli adesso ed i suoi maggiori prima signoreggiavano ; essendoché quest’ articolo porterebbe nuovamente al servaggio tutte le isole , e la Tessaglia ed i Locrii con gli altri luoghi fino a’ Beozii ; ed i Lacedemoni invece che in libertà metterebbero i Greci sotto il dominio de’ Medi. Però proponeva che altri patti migliori si stabilissero, od egli certamente non istarebbe a questi ; che a tali condizioni non avea bisogno de'suoi stipendii. Questi discorsi turbarono l’animo di Tissaferne che partì sdegnato senza effettuata cosa alcuna.

E i Lacedemoni, invitati per solenne ambasciata a Rodi da’ più ragguardevoli cittadini, avevano in animo di navigarvi, sperando di aggiugnere alla parte loro quell’isola potente per forze mariuime e terrestri ; ed insieme stimando che coll’alleanza di essa si procaccerebbero il mezzo di alimentare la fiotta senza addomaudare il denaro a Tissaferne. Laonde subito in quel medesimo inverno fatto vela da Cnido approdarono per primo a Gainiro sulle coste di Rodi con novantaquattro navi, e misero lo

spavento nei popolani, che ignari di quella pratica si erano messi a fuggire, tanto più che la città era senza mora. Poi convocati a parlamento da1 Lacedemoni insieme cogli altri Rodiani delle due città chiamate Lindo ed Ielisso , si indussero tutti a ribellarsi ad Atene. Così Rodi si accostò ai Peloponnesi. Gli Ateniesi risaputo ciò, in quei giorni mossero colle navi da Samo per prevenir quella ribellione ; e comparvero in alto mare. Se non che vedendosi giunti un po’ tardi , retrocederono immantinente a Calce, e quindi a Samo ; e poi facendo delle sortite da Calce. da Co e da Samo, guerreggiavano Rodi. I Peloponnesi ricevettero dai Rodiani trenta talenti in moneta; e tirate le navi al secco stettero del rimanente quieti per ottanta giorni.

Ma in questo mezzo tempo , ed anche prima che i Lacedemoni andassero a Rodi , accadevano le cose seguenti. Alcibiade, dopo l'uccisione di Calcideo e la giornata diMileto, era divenuto sospetto ai Peloponnesi ; i quali con una lettera spedita da Sparla ordinavano ad Astioco che l’uccidesse, giacché era in odio ad Agide, e d’altronde compariva uomo di mala fede. Laonde intimoriio, primieramente si era ricovrato presso Tissaferne , c quindi danneggiava a tutto polere le cose de’ Peloponnesi presso di lui. E fattosi in tutto consigliere di esso diminuì gli stipendii, sicché invece della dramma attica si davano tre oboli , ed anche questi non sempre ; e lo confortava a dire ai Peloponnesi, che gli Ateniesi da maggior tempo esperti nella marinaresca disciplina , davano ai loro soldati tre oboli. Lo che facevano non lauto per povertà , quanto perché le ciurme insolentendo uella dovizia , non guastassero i loro corpi spendendo le paghe in cose pregiudicevoli alla sanità , o deteriorassero la flotta coll' abbandonarla; rilasciando per mallevadoria di loro ritorno la mercede non per anche pagata. Fu parimeule insegnamento

di Alcibiade che, largheggiando coi trierarci)i ed i capitani , li persuadesse a convenire in questa riforma , senza però impacciarsi dei Siracusani. Anzi tra questi il solo Ermocrate si opponeva a nome di tutta la lega , e ripulsava le città che dimandassero denari, protestando a favor di Tissaferne che sfacciati sarebbero i Chii se ( essendo i più ricchi fra i Greci, e ciò nonostante trovandosi salvi per le truppe degli alleati ) pretendessero che altri dovesser mettere a repentaglio le persone e gli averi per la libertà di loro. Quanto alle altre città poi soggiugneva che esse aveano il torto, se laddove prima di ribellarsi spendevano per gli Ateniesi, ora poi non volessero contribuire altrettanto, e più ancora, per sè medesime ; dichiarava che Tissaferne a ragione usava risparmio al presente , dovendo sostener la guerra co’ propri denari ; e che se mai il re mandasse le paghe, allora darebbe loro intero il soldo, e aiuterebbe le città come conveniva.

Inoltre Alcibiade consigliava Tissaferne che non si desse troppa pena di terminare la guerra ; nè, col far venire le navi fenicie che andava lentamente preparando, e pagar cosi gli stipendii a un maggior numero, volesse riunire in un sol popolo l' imperio marittimo e terrestre ; lasciasse anzi che fosse diviso tra due , acciocché il re potesse spingere l’uno contro l'altro che gli fosse molesto. Gonciossiachè riunito che sia in un solo il dominio di terra e di mare , egli non avrà con chi associarsi ad abbatterne il possessore ; a meno che non voglia , quando che sia , moversi da per sè a quell’ impresa con suo gran dispendio e pericolo. Ma i pericoli ai quali si va incontro con tenue spesa sono più leggeri ; e di più il re potrà con sua sicurezza lasciare i Greci logorarsi tra loro. A partecipar poi con lui dell’ imperio , mostrava gli Ateniesi esser più a proposito, perchè meno aspiravano al dominio di terra , e guerreggiavano con mire e modi ad esso confacentissimi.

Imperocché essi vorranno assoggettarsi le terre marittime, e lasceranno in potere del re quanti Greci abitano ne’suoi stati; laddove i Lacedemoni all’opposto verrebbero per liberarli : e non era da credere che costoro i quali intendon di liberare i Greci dai Greci, non vogliano sottrarli dal giogo dei barbari Persiani, quand’ anche non riescano a cacciare i barbari stessi : però lo consigliava a lasciare primieramente logorarsi le due Repubbliche tra loro ; e tarpate l’ali più che potesse agli Ateniesi, allora finalmente rimandar da’suoi stati i Peloponnesi. E così, più che altro, la pensava Tissaferne , almeno per quanto si poteva conghietturare dal suo operare. Poiché abbandonatosi per queste ragioni alla fede di Alcibiade, come di buono consigliatore , teneva scarsi nelle paghe i Peloponnesi , nè consentiva che venissero a battaglia navale ; ma col dire che doveano arrivare le navi fenicie, e che allora combatterebbero con forze superiori , rovinò le cose loro, tolse all7 armata quel vigore grandissimo che ella avea acquistato, c nel resto mostrassi contrario anche troppo apertamente per potersi celare.

Tali consigli porgeva Alcibiade a Tissaferne ed al re quando si trovava con loro, sì perchè gli stimava i migliori, sì eziandio perchè voleva procurarsi il ritorno in patria, avvisando che se non la rovinasse del tutto potrebbe col tempo persuadere gli Ateniesi a lasciarvelo tornare , e che il modo di ottener ciò era principalmente quello di mostrarsi intrinseco di Tissaferne. E così avvenne. Imperciocché quando l' esercito ateniese di Samo ebbe inteso che egli era innanzi appresso Tissaferne, si invogliò grandemente di abolire lo stato popolare. La qual volontà era fomentata da Alcibiade die mandava a dire ai più potenti cittadini che di lui facessero menzione ai migliori, significando esser sua intenzione di ritornare alla patria perchè ella fosse retta dal senno di pochi, invecechè

dalla malvagità e dalla plebaglia che lo avea bandito ; e rendendo loro amico Tissaferne, di aver parte con loro nel governo. Senza di che già assai inchinavano spontaneamente a questa parte i trierarchi ateniesi di Samo, ed i cittadini più ragguardevoli.

La cosa fu primamente agitata negli accampamenti di Samo , e di dlì poi in città. E siccome alcuni da Samo erano andati a trovare Alcibiade e si erano sentiti promettere da lui che prima di tutto renderebbe amico di Atene Tissaferne (se abolissero lo stato popolare), e quindi anche il re che allora meglio si fiderebbe, cosi essendo essi i più potenti tra9 cittadini ed anche i più travagliati , si levavano a grandi speranze di potersi recare in mano le redini della Repubblica , e di abbattere la parte contraria. E tornati a Samo si unirono in cospirazione colle persone loro aderenti, e spargevano apertamente nel volgo che il re sarebbe loro amico e somministrerebbe i denari, se Alcibiade fosse rimesso in patria , e si abolisse la democrazia. La moltitudine benché di presente sentisse un po’ male quelle pratiche, nondimeno per la molta speranza che il re darebbe gli stipendii, stavasi quieta. Ma quei che cospiravano a stabilir l’oligarchia dopo aver conferito ciò colla moltitudine , di nuovo tra loro e colla maggior parte degli amici stavano esaminando le proposizioni di Alcibiade ; le quali tuttoché agli altri sembrassero facili e sincere, non andavano punto a genio di Frinico che era tuttora il generale. Anzi egli opinava, come infatti era vero, che Alcibiade nulla più si curasse dell’ oligarchia che della democrazia ; e che non altro cercasse che il modo (qual che si fosse) di mutare l’attual reggimento della città per esser richiamato in patria dagli amici. Però badassero bene di non suscitar discordie. Diceva inoltre che mentre i Peloponnesi occupavano il mare non meno che gli Ateniesi,

e possedevano città non dispregevoli negli stali del re, a questo non tornerebbe conto comperar briglie per udirsi con Atene della quale non si fidava, quando poteva farsi amico il Peloponneso dal quale non aveva sofferto alcun male. Quanto alle città confederate (alle quali avean promessa l’oligarchia mentre essi pure abolirebbero il governo popolare) veder lui chiaro, proseguiva , che le già ribellate non per questo piegherebbero maggiormente alla parte d’Atene, e quelle che tuttora stanno all’obbedienza, non diverrebbero più ferme nell1 amicizia. Perciocché o coll’oligarchia, o colla democrazia, elle non vorranno chinare il capo sotto il giogo, innanzichè aver libertà; qual che si sia il governo che lor possa toccare. Aggiugneva poi che anche quelli i quali hanno nome di uomini probi andranno convinti che gli ottimati di quelle città daranno loro delle molestie non meno che il popolo, essendo essi operatori e apportatori al popolo stesso di mali, dai quali sperano ricavar per sé grandi vantaggi ; e che avendo costoro in mano il governo, i cittadini saranno esposti a morti violente e senza processo ; laddove il popolo suol essere il refugio di questi, ed il moderatore di quelli. E finiva con dire che quanto a sè era sicuro che le città istruite dai fatti la penserebbero in questo modo, e che però nulla piacevagli di ciò che presentemente si trattava da Alcibiade.

Con tutto questo i cospiratori intervenuti a quel congresso approvarono quelle proposizioni di Alcibiade, conforme innanzi aveano risoluto, e si disponevano a spedire in ambasceria ad Atene Pisandro con alcuni altri per trattare del ritorno di Alcibiade e dello scioglimento del governo popolare, e per render Tissafeme amico agli Ateniesi.

Conoscendo Frinico che ad Atene si terrebbe parola della tornata d’Alcibiade, e che i cittadini l’approcrebbero,

e temendo per le cose dette in contrario che ritornandovi non nuocesse a lui come ad oppositore, si volge a questo compenso. Manda segretamente una lettera ad Àstioco ammiraglio de" Lacedemoni che tuttora era intorno a Mileto, significandogli come Alcibiade col render Tissaferne amico agli Ateniesi guastava le cose de’ Peloponnesi : e mettendolo al chiaro del resto degli affari lo pregava a compatirlo se si studiava di far del male ad uu nemico anche con pregiudizio della sua Repubblica. Astioco non pensò neppure a punire Alcibiade, tanto più che non avea più che far nulla con lui, siccome prima. Ma andato in Magnesia a trovar lui e Tissaferne, narra e mostra ad entrambi la lettera scrittagli da Samo ; e , come correva voce, cercò di attaccarsi a Tissaferne per privati interessi non in questa cosa sola ma in altre ancora : e però si dava poca cura degli stipendii non pagati interamenle. Ed avendo Alcibiade spedito subito una lettera ai magistrali di Samo colla quale li ragguagliava delle operazioni del loro generale, e chiedeva che fosse condannato a morte ; tro-\ossi Frinico sconcertato da quella denunzia ed in perìcolo veramente grande. Nondimeno riscrisse ad Astioco dolendosi che non avea per lo passato tenuto il segreto come doveva ; ed aggiugnerido che ora era disposto a dar nelle mani de’Peloponnesi tutto l'esercito ateniese di Samo perchè lo trucidassero. Gli esponeva poi minutamente il modo di metter ciò ad effetto, essendo Samo senza mura ; e diceva non dover essergli ascritto a delitto se dopo aver arrischiato la propria vita per colpa de’suoi, s’induceva a far questa e qualunque altra cosa, innanzi che lasciarsi manomettere dai più fieri nemici. Anche questa lettera fu da Astioco mostrata ad Alcibiade.

Ma Frinico presentito il tradimento di Aslioco, e conoscendo che in breve verrebbero lettere da Alcibiade concernenli queste cose, si fece innanzi dichiarando

egli stesso all’esercito che essendo Samo senza mura e le navi non tutte dentro il porto, i nemici avean risoluta di assalirli, e che egli sapeva ciò di sicuro ; e però bisognava fortificar Samo prestissimamente, e stare ben guardati su tutto il resto. E poiché egli era il capitano ed aveva autorità di operar cosi, i soldati si accingevano a fabbricar quelle fortificazioni : talché tra per questo stratagemma , e per esser già preparati i materiali, le condussero prestamente a fine. Non molto dopo venne la lettera di Alcibiade che Frinico tradiva l’esercito, e che i nemici erano per assalirlo ; ma fu creduto che Alcibiade non meritasse fede , e che essendo egli iuformato delle intenzioni de’Peloponnesi volesse per inimicizia dar colpa a Frinico che s’intendesse con loro. Onde questa dmunzia non pregiudicò punto al generale ateniese, ma gli servì piuttosto di bella testimonianza.

Dopo questo Alcibiade disponeva e moveva all’amicizia degli Ateniesi Tissaferne il quale temeva dei Peloponnesi che si trovavano presenti con flotta più numerosa di quelli, e voleva ad ogni costo mantenersene la confidenza quanto fosse possibile , specialmente da che avea saputo la controversia insorta a Cnido circa il concordato di Teramene. Questa controversia avea già avuto il suo principio allora quando i Peloponnesi erano a Rodi; e nella discussione di essa Lica aveva dimostrato la verità del discorso già fatto da Alcibiade, intorno alla intenzione loro di mettere in libertà le città tutte, ed affermato non doversi ricever tra i patti che il re signoreggiasse sulle città, cui già per l’innanzi od egli o i suoi padri avessero domi nafte. Alcibiade adunque siccome trovavasi in lizza per cose importanti, stava al fianco di Tissaferne usandogli studiosamente officiose maniere.

Intanto gli ambasciatori degli Ateniesi spediti da Samo insieme con Pisandro erano arrivati ad Atene e tenevan

discorso al popolo di molte cose in succinto, di cui la principale fu che stava in facoltà loro Pavere alleato il re e vincere i Peloponnesi, purché rimettessero in patria Alcibiade e cessassero dal governo popolare. Molti furono i contradittori intorno al cangiamento del governo, ai quali si aggiunsero i nemici di Alcibiade gridando , che indegna cosa sarebbe il rimettere in patria un violatore delle leggi ; e con essi gli Eumolpidi ed i Cerici, testimoniando dei profanati misteri, cagione del suo bando, e scongiurando per gli Dei perchè non fosse riammesso. Per 10 che Pisandro, nonostante le molte contradizioni e querimonie, fattosi avanti e pigliando ad uno ad uno i contradittori domandava loro: qual mai speranza di salvezza restasse alla Repubblica , se non fosse quella di trarre alla sua parte il re, ora che i Peloponnesi avevano in mare una flotta non punto minore di fronte a loro, e maggior numero di città confederate e denari dal re stesso e da Tissaferne, mentre essi Ateniesi più non ne avevano ? E poiché a tale dimanda rispondevano di non aver speranza veruna; allora Pisandro apertamente soggiugneva: « Questa salvezza adunque non può otteuersi ove non mettiamo maggio. moderazione nel reggimento politico, e menomiamo il numero de'magistrati, acciocché il re si fidi di noi ; ove al presente non vogliamo darci pensiero piuttosto della salute nostra che non della forma del governo , poiché in seguito starà in nostro arbitrio cambiar quello che non ci piaccia ; ed ove non rimettiamo in patria Alcibiade , il solo tra’ viventi sufficiente a render l’opera compiuta ».

Il popolo che da principio sentiva di mal animo il progetto dell’oligarchia, avvertito chiaramente da Pisandro che non vi era altro modo di scampo, cedè ; parte mosso dalla paura, parte anche sperando che le cose potrebber mutarsi. Poscia fu decretato clic I isandro con

altri dieci personaggi partisse per trattare degli affari nel miglior modo possibile con Tissaferne ed Alcibiade ; e per le accuse di Pisandro stesso Frinico fu deposto del comando unitameute al suo collega Scironida, e furono sostituiti ammiragli Diomedonte e Leone. Pisandro avea accusato Frinicó come traditore di Iaso e di Amorge, perchè lo stimava contrario alle pratiche che si facevano con Alcibiade. Ricercò inoltre tutti i cospiratori che di prima erano in città, e che faceano la parte di oppositori ne’giudizi contro i magistrati, e li confortò a riunirsi insieme con gli altri, e deliberare in comune l’abolizione della democrazia. Finalmente dopo aver disposto il rimanente delle cose, come richiedevano i tempi presenti, acciò non fosse ritardato il corso agli affari, s’imbarcò co’suoi dieci compagni per recarsi a Tissaferne.

Ma Leone e Diomedonte arrivati già nel medesimo inverno alla flotta degli Ateniesi, la. condussero sopra Rodi ; e trovate le navi de’ Peloponnesi tirate a secco, sbarcarono in qualche parte di quelle terre, vinsero in battaglia i Rodiani che erano accorsi alla difesa, e retrocederono a Calce. E d’allora in poi facevano la guerra piuttosto dal lato di Co ; perchè di qui restava ad essi più facile l’osservare , se l’armata peloponnesia movesse da Rodi verso qualche luogo. Intanto giungeva in Rodi Xenofantide laconico cui Pedarito avea da Chio spedito colà, con la nuova che gli Ateniesi aveano ornai condotto a termine il muro, e però se non fossero andati in soccorso con tutte le navi, Chio era perduta. Fu risoluto adunque di soccorrerla. In quel mentre Pedarito, con tutto l’esercito che avea seco composto di truppe ausiliarie e di milizie chie, andò ad assaltare il riparo con che gli Ateniesi avean circondato la loro flotta, ne espugnò una parte e s’impadronì di poche navi che erano state tirate sul lido. Ma gli Ateniesi accorsi alla difesa, fugarono primieramente

i Chii, vinsero il rimamente dell’esercito con Pedarito, uccisero lui stesso con molti Chii, e presero gran quantità di armi.

Dopo questi fatti erano i Chii assediati più strettamente di prima per terra e per mare, e grande vi era la fame. E gli ambasciatori ateniesi con Pisandro pervenuti da Tissaferne mossero parola intorno ài patti. Ma Alcibiade ( il quale non poteva far capitale con sicurezza di Tissaferne , perchè questi temeva più i Poloponnesi che non gli Ateniesi, e voleva secondo gl9 insegnamenti del medesimo Alcibiade lasciarli logorarsi tra loro ) immaginò questo compenso ; cioè, che Tissaferne facendo agli Ateniesi richieste troppo grandi non rimanesse d’ accordo. Ed io per me credo che Tissaferne ed Alcibiade avessero le medesime mire ; quegli perchè temeva ; questi perchè, vedendo che Tissaferne con tutta quell’ ambasceria non inclinava ad accordarsi, non voleva esser creduto dagli Ateniesi inabile a persuaderlo, ma dare a vedere che gli Ateniesi stessi non facevano sufficienti offerte a Tissaferne già persuaso e disposto a fare accordo. Infatti Alcibiade, che parlava per Tissaferne ivi presente, tanto rincarò nelle dimande, che sebbene gli Ateniesi per un pezzo gli menassero buono quel che domandava , pure alla fine ebbero la colpa di non aver voluto concludere l’accomodamento, Perciocché pretendeva egli la cessione di tutta la Ionia , e poi delle isole adiacenti ed altre cose , alle quali gli Ateniesi non si opposero. Alla fine nel terzo abboccamento, temendo davvero di essere scoperto per uomo senza credito presso Tissaferne, domandava che al re fosse permesso fabbricar navi , e scorrere le loro costiere con quante gli piacesse. Allora poi fu che gli Ateniesi giudicando niente meno che ineseguibili quelle proposte , e tenendosi beffati da Alcibiade, si levarono indispettiti dall’abboccamento , e tornarono a Samo.

Subito appresso queste cose , durante l' inverno, Tissaferne recossi a Cauno perchè desiderava di ricondurre i Peloponnesi a Mileto , e di pagare gli stipendii fatti che avesse con loro altri patti ne9 termini che potesse , acciò e’ non venissero intieramente debellati. Temeva egli che i Peloponnesi, mancando di viveri per la numerosa flotta, ed astretti dagli Ateniesi a combattere , non rimanessero vinti ; o che abbandonate le navi, e privi del suo soccorso , non dessero occasione agli Ateniesi medesimi di arrivare al loro intento. Oltre di che stava in grandissima apprensione che andando a foraggiare non guastassero la terraferma. Mosso adunque dalla considerazione e provvedimento di tutte queste cose, perchè voleva tener bilanciate le forze de’Greci, manda a chiamare i Peloponnesi, dà ad essi le paghe, e per la terza volta pattuisce questi accordi.

« L’anno tredicesimo del regno di Dario, essendo eforo in Sparta Alessippide fu fatto concordato nella pianura del Meandro , tra i Lacedemoni ed alleati per una parte , e Tissaferne, Ieramene ed i figlioli di Farnace per l'altra , intorno agli affari del re e a quelli de' Lacedemoni e degli alleati, in questo tenore. Primo, che tutto il territorio del re che è nell’Asia appartenga al re, e del territorio suo proprio il re disponga a suo talento. Secondo, che i Lacedemoni e gli alleati non entrino nel territorio del re a farvi danno veruno, nè il re in quello de' Lacedemoni e degli alleati a farvi alcun male. Terzo, se alcuno de’ Lacedemoni o degli alleati entrerà nel territorio del re per nuocervi, i Lacedemoni e gli alleati debbano impedirlo ; e se alcuno degli stati del re vada per nuocere ai Lacedemoni od agli alleati, il re debba impedirlo. Quarto, che Tissaferne, secondo U convenuto , dia le paghe alle navi ora presenti, sino all’arrivo della flotta del re. Quinto , che dopo arrivata la flotta del re stia in

facoltà dei Lacedemoni e degli alleati di dare, se vogliano, le paghe alle navi ; ma se piacerà loro pigliarle da Tissaferne, Tissaferne le sborsi, con questo però che a guerra finita egli debba essere rimborsato dai Lacedemoni e dagli alleati del denaro che avranno preso» Sesto, che arrivata la flotta del re, le navi de’ Lacedemoni, degli alleati e del re facciano in comune la guerra, secondochè piacerà a Tissaferne, ai Lacedemoni ed agli alleati; e se vorranno scioglier la guerra cogli Ateniesi, si debba sciogliere di comune consentimento ».

Tale fu questo concordato, dopo il quale Tissafeme si accingeva a far venire le navi fenicie siccome erasi stabilito, e ad eseguire tutte le altre cose promesse, volendo almeno far veder chiaro che di ciò si occupava.

Ma i Beozii, essendo ornai quel verno al suo termine, presero per tradimento Oropo presidiato dagli Ateniesi ; e in ciò prestarono loro mano alcuni di Eretria e d’Oropo stesso, i quali macchinavano la ribellione di Eubea. Imperciocché , quella terra dominando l’Eretria , era impossibile finché la ritenevano gli Ateniesi, che non facessero gravi danni ad Eretria stessa ed al resto dell’Eubea. Gli Eretriesi adunque già padroni di Oropo vanno a Rodi per invitare i Peloponnesi a passar nell’ Eubea. I quali, siccome erano piuttosto infiammati per il soccorso di Chio travagliata, salpando da Rodi con tutta la flotta , colà si avviarono. Arrivati intorno a Triopio scorgono in alto le navi ateniesi che venivano da Calce ; ma nissuna delle due flotte si mosse incontro. Cosicché gli Ateniesi recaronsi a Samo, ed i Peloponnesi a Mileto, vedendo l’impossibilità di soeeorrer Chio senza venire a battaglia navale. Finiva intanto l’inverno e l’anno ventesimo di questa guerra descritta da Tucidide.