History of the Peloponnesian War

Thucydides

Thucydides. Della storia di Tucidide volgarizzata libri otto. Anonymous translator. Florence: Tipografia Galileiana, 1835.

I quali a tale annunzio, non pensando che vi fosse sotto alcuna frode soprastettero quella notte. E giacché non si erano mossi pensarono di soprassedere anche il giorno seguente, per dare ai soldati il maggior comodo possibile di far fagotto ; e prendendo seco le sole cose necessarie al mantenimento della persona, lasciar tutte le altre, e partire. Ma i Siracusani e Gilippo prima della loro partita usciti fuori con la fanteria, serrarono le strade del paese, per dove conghietturavano che gli Ateniesi passerebbero, tenevan guardati i guadi de1 torrenti e de’fiumi, e si schierarono nei siti opportuni per far fronte all’esercito nemico, risoluti di contrastargli il passaggio. Inoltre si appressarono colle navi a quelle degli Ateniesi per ritirarle dalla spiaggia , ne abbruciarono alcune poche , come avean pensato di fare gli Ateniesi medesimi ; e le altre, dovunque ciascuna si trovasse sbalzata , comodamente e senza veruno impedimento, col rimurchio le tiravano .alla città.

Dopo queste cose, poiché a Nicia ed a Demostene parve che tutto fosse sufficientemente apparecchiato , movevasi finalmente il campo tre giorni dopo la battaglia navale. Nè solamente facea pietà il complesso di tanti iafortunii, cioè il partire colla perdita di tutta la flotta, e col pericolo proprio e della patria , invece delle grandi speranze prima concepute, ma ancora nell’abbandonare gli alloggiamenti interveniva ad ognuno di vedere e sentire cose dolorose. Imperciocché qualora tra gl’insepolti cadaveri ciascun vedesse giacere qualche suo amico, era preso da tristezza e timore ; ed i vivi abbandonati, feriti o malati, arrecavano ai vivi maggior afflizione dei morti, ed erano più infelici di questi ; essendo che rivoltisi alle preghiere ed ai pianti facean cascare il cuore , con alte grida scongiurando a condurli via ogni compagno o parente che scorgessero, e si avvinghiavano ai camerati che partivano, e finché aveano forza li seguitavano. E se ad alcuni falliva la lena del corpo restavano derelitti mandando imprecazioni e gemiti ; talché tutto l'esercito pieno di lagrime e straziato da diversi affetti, non sapeva di leggeri indursi a partire da quella terra benché nemica, dove avea sofferto sciagure maggiori d’ogni pianto , e dove altre temea di soffrirne nascoste ora nell’ incertezza. Da per tutto era una cupa malinconia, da per tutto udivansi scambievoli rimproveri, poiché non altro assembravano che un popolo scappato da una città espugnata , e questa non piccola; non essendo minore di quaranta migliaia tutta la moltitudine che marciava insieme. Fra tutti questi ognuno portava addosso quel che poteva di ciò che fosse necessario, ed i soldati gravi ed i cavalieri sebbene carichi dell’armi portavano fuor dell’usato da sé i viveri, parte per mancanza , parte per diffidenza dei galuppi, molti dei quali erano innanzi disertati, e moltissimi allora disertavano ; e con tutto ciò quel che portavano non bastava , perchè nel

campo era venuta meno la vettovaglia. Oltre di che l’avvili mento in tutto il reato, e quella ugual porzione di mali che pure ha in sè qualche sollievo quando siam molti a soffrire, non riusciva al presente leggera, specialmente al riflettere da quale splendore e da qual fasto primiero eran venuti a sì oscuro termine ed a cotanta bassezza. E certo grandissimo fu questo rovescio per l’esercito dei Greci, a’quali andati a soggettare gli altri, accadde invece di partire colla paura di trovarsi essi a quel caso ; invece di salpare in mezzo ai voti ed ai canti militari , svignare tra clamori aflatto contrari ; e invece di salir sulle navi, marciare a piedi, e attendere all’armi, innanzi che alla flotta. Nondimeno per la grandezza del pericolo che ancor sovrastava , tutte queste cose parevan loro tollerabili.

E Nicia vedendo in quel gran cangiamento di fortuna scoraggiato l’esercito, percorreva le file, e lo inanimiva e lo coasolava, adoprando maggior voce del solito con tutti quelli ai quali si accostasse; o fosse per la premura , o fosse per produrre il maggiore effetto possibile con la robustezza della voce.

« Ateniesi ed alleati, ei gridava , anche al presente bisogna avere speranza, che già alcuni salvaronsi da mali più gravi di questi ; nè dovete vituperar troppo voi stessi per le sofferte sconfitte, nè per queste non meritate disavventure. E anch’ io nè più forte di veruno di voi, ma ridotto dal male al termine che mi vedete, nè inferiore mai a chicchessia sì nella prosperità di mia vita privata che in tutto il resto, mi trovo ora sull’ orlo del medesimo pericolo con la gente la più meschina. Eppure molti sono stati gli atti di pietà da me praticati verso gli Dei, molti quelli di giustizia e generosità verso gli uomini ; onde nonostante le presenti sciagure confido dellavvenire. Certo queste disgrazie non meritate mi fanno temere ; ma forse presto cesseranno, che i nemici sono

stati prosperati a bastanza : e se noi abbiamo impresa la guerra in ira a qualche nume , siamo già stati più che a sufficienza puniti. Pur troppo alcuni altri invasero il suolo altrui, e per avere umanamente fallito ne ebbero tollerabili pene ; onde anche a noi lice sperare più miti gli Dei, perchè più del loro sdegno meritiamo ornai la compassione. E voi medesimi al vedervi quali e quanti soldati marciate insieme ordinati, non vogliate sbigottirvi troppo, ma considerate che dovunque vi fermiate, da voi stessi componete subito una città, e che nissun’altra città di Sicilia potrebbe agevolmente reggere al vostro assalto, nè farvi sloggiare di là ove vi foste fermati. Attenda ognu^ no che quanto sta in lui, la marcia sia sicura e bene ordinata ; ed a questo solo pensi, che in qualunque luogo venga astretto a combattere, vincendo, avrà quello invece di patria e di mura. Ci affretteremo di marciare e giorno e notte, perchè abbiamo scarsi viveri ; e se arriveremo a qualche terra amica dei Siculi che per tema dei Siracusani stanno ancor fermi per noi, allor fate ragione d’essere al sicuro. Già si è mandato loro a dire che ci vengano incontro con rinfrescamento di vettovaglia. Insomma intendete , o soldati, che vi è forza esser valorosi, perchè non v’ ha luogo vicino nel quale , se incodardite, possiate salvarvi ; e che se ora scampate dai nemici, voi alleati conseguirete ciò che certamente bramate di rivedere, e voi Ateniesi raddrizzerete, sebben decaduta, la gran potenza della città ; poiché la città sono gli uomini, e non le mura o le navi d’uomini vuote ».

Mentre Nicia faceva queste esortazioni andava percorrendo l’esercito, ed ove vedesse qualche parte distaccata non marciare in buon ordine, la riuniva e la riordinava. E Demostene con non minor calore diceva presso a poco le medesime cose ai suoi. Le genti di Nicia marciavano io ordinanza quadrata , seguivano poi quelle di

Demostene; ed i saccomanni c l’altra gran moltitudine stavano in mezzo ai soldati gravi. E poiché giunsero al passo del fiume Ànapo , trovarono attelate sulla riva delle troppe di Siracusani e di alleati, fugate le quali e impa^ dronitisi del guado, andavano innanzi, ma sempre incalzati dalla cavalleria siracusana e saettati dalle genti leggere. E in questo giorno avendo gli Ateniesi progredito circa quaranta stadii, si fermarono la notte vicino ad una collina , doude partiti il di seguente di buon mattino , e avanzatisi da venti stadii scesero in una pianura e vi si accamparono, con intenzione di pigliar dalle case dei commestibili (giacché quel luogo era abitato), e di portar seco dell’acqua , di che vi era penuria per lo spazio di molti stadii inoltrandosi nella via che doveano tenere. Frattanto i Siracusani spintisi innanzi tagliarono loro con un muro la strada onde doveano passar oltre, la quale era una forte collina chiamata la rupe Aerea, con borri scoscesi da ambe le parti. Il giorno appresso gli Ateniesi proseguivano il cammino , ed i Siracusani e gli alleati coi cavalli e con molti laociatori vi si opponevano, e li saettavano e cavalcavano da vicino. Pugnarono lunga pezza gli Ateniesi, ma poi tornarono indietro al medesimo alloggiamento ; e non potevano più come prima procacciarsi i viveri, perché i cavalli nemici non li lasciavano più dilungare.

La mattina dipoi levato il caiiipo marciavano nuovamente , e si sforzavano di arrivare alla collina munita dal muro, ove furono prevenuti dalla fanteria nemica schierata al di là del muro stesso con pochi di fronte, perché il luogo era stretto ; e datovi l’assalto, e feriti con frecce da molti di sulla collina che era acclive, e che però porgeva a quei di sopra il modo di colpire più facilmente, non poterono espugnarla ; onde retrocederono e stavano quieti. Sopravvennero inoltre al tempo stesso alcuni tuoni e piogge, come suole accadere quando l’anno volge all’autunno ,

per le quali cose gli Ateniesi si persero maggiormente di animo, e stimavano che esse tutte fossero a segnale di loro perdizione. E mentre soggiornavano inoperosi, i Siracusani e Gilippo spedirono una parte dell'esercito a interchiuderli alle spalle con un muro sulla strada per la quale s’erano avanzati ; ma essi mandarono dal canto loro alcuni de’suoi e l' impedirono. Dipoi ritiratisi con tutto l’esercito più verso la pianura vi pernottarono, e il di vegnente ripresero il cammino. Quand’ecco i Siracusani li assaltavano e li accerchiavano da ogni banda; e se gli Ateniesi venivan loro incontro , essi davano indietro ; se retrocedevano , gl' incalzavano, e gl’infestavano specialmente alla coda per vedere se a poco a poco, fugata questa, potessero spaventare tutto l’esercito. Durarono un pezzo gli Ateniesi combattendo in questo modo ; poi andati innanzi cinque o sei stadii si riposarono nella pianura ; ed anche i Siracusani si staccarono da loro, e tornarono al proprio alloggiamento.

Ma Nicia e Demostene vedendo giunte a mal termine le loro genti si per la mancanza ornai totale dei viveri, sì per esser molti gravemente feriti nei molti assalti dati dai nemici, si consigliarono di accendere nella notte quanti più fuochi potessero, e ritirar l’esercito, non già per la medesima strada che avevano determinato, ma per quella che va al mare opposta all’altra ove i Siracusani eransi appostati ; tutta la quale strada, invece di condur l' esercito a Catana , lo conduceva in altra parte di Sicilia verso Camarina e Gela, e verso le città greche c barbare di quei luoghi. Accesi adunque molti fuochi marciavano nella notte ; e come suole avvenire in tutti gli eserciti, specialmente grandissimi, di esser presi da tema e paura, tanto più se facciano via di notte in terra nemica e poco distanti da’ nemici, erano in preda allo smarrimento. Le genti di Nicia che precedevano , mantenevansi

unite ed avanzarono molto innanzi ; ma quelle di Demostene , quasi mezze ed anche più, si sbandarono e marciavano in gran disordine. Nondimeno all’aurora giungono in sul mare, ed entrati nella via chiamata Elorina camminavano ; perchè giunti che fossero al fiume Cacipari, volevano , secondando il corso di esso, inoltrarsi nei luoghi più mediterranei, ove speravano di dover essere incontrati dai Siculi che avean mandati a chiamare. Pervenuti al fiume trovarono anche qui una banda di Siracusani occupati a chiuder loro il passo con muro e palizzate; respinta la quale tragittarono alla riva opposta, e proseguirono il cammino verso l’altro fiume detto Erineo, per dove aveano a passare secondo gli ordini dei generali.