History of the Peloponnesian War

Thucydides

Thucydides. Della storia di Tucidide volgarizzata libri otto. Anonymous translator. Florence: Tipografia Galileiana, 1835.

« Valorosi soldati ateniesi e voi altri alleati : l' imminente combattimento deciderà per tutti noi egualmente, non meno che pei nemici, della salvezza e della patria di ognuno ; perciocché se vinceremo ora colle navi , potrà chicchessia rivedere indubitatamente quella che è sua propria città. Ma non bisogna disanimarsi né aver la pecca dei più inesperti tra gli uomini, che vinti nelle prime pugne, nutrono poi continovamente un pauroso pensiero simile a quel delle sconfitte. Anzi quanti qui siete Ateniesi che ornai avete esperienza di molte battaglie, e quanti alleati che con noi sempre militaste, ricordate la stravaganza delle guerre ; e confidando che la fortuna sarà ancora con noi, preparatevi a rinnovar la pugna nel modo dicevole a cotanto vostro esercito, quanto da voi stessi ne vedete.

« Quelli argomenti poi che nella strettezza del porto abbiam visto doverci essere utili contro la moltitudine delle navi che ci verranno addosso, e contro i loro soldati di sovraccoperta, donde prima fummo danneggiati ; tutti questi li abbiamo ora anche noi considerati coi piloti , ed allestiti secondoché il permettevano le cose presenti. Imperocché saliranno sulle navi molti arcieri e lancintori, e tutta quella turba di che non useremmo se avessimo a combattere in mare aperto, perchè la gravezza delle navi nuoce alla perizia del governarle : le quali cose nondimeno ci saranno utili ora che saremo costretti a far battaglia terrestre di sulla flotta. Abbiamo anche trovato di che contrarmare le navi nostre ; ed a difenderle dai grossi orecchioni delle nemiche (dai quali avemmo grandissimo danno), scaglieremo delle branche di ferro,

le quali i soldati adoperando a quell’uopo a che sono state fatte, atterreranno la nave assai itrice sì che non possa retrocedere ; giacche a tal necessità siam venuti da dover far battaglia terrestre di sulle navi. E ci si mostra utile il non dar uoi indietro, e il non permetterlo a loro, tanto più che abbiam nemica la spiaggia, salvo quel tratto che occupano i nostri fanti.

« Le quali cose considerando , fa d’uopo che persistiate combattendo con tutta la virilità dell’animo , nè vi lasciale ributtar sulla spiaggia ; anzi quando siate venuti all’abbordaggio, abbiale per viltà il separarvi prima d’aver traboccati giù dalla coverta nemica i soldati gravi. Avvertimento eli’ io porgo ai combattenti più che ai nocchieri, in quanto che questa è opera piuttosto di quelli che pugnano di sul palco della nave. In voi pure, o soldati da terra, consiste anche adesso la maggior parte della vittoria. Ed io esorto e prego insieme voi marinari a non sbigottirvi troppo per le sofferte sciagure, ora che avete miglior apparato sulle coverte ; e voi che senza essere Ateniesi siete reputati tali sì per la perizia del nostro linguaggio, sì per l’imilazione delle maniere, voi, dico, scongiuro a considerare quanto sia da esser conservata quella gjioia che sentivate dall’essere l’ammirazione della Grecia, e dal partecipare non meno di noi del nostro imperio rispetto ai vantaggi di esso, non tanto per il terrore che incutevate ai nostri vassalli, quanto perchè eravate al coperto dalle loro offese. Laonde se voi soli siete liberamente a parte del nostro imperio, è ben giusto che non dobbiate ora tradirlo. Che anzi dispregiando i Corintii cui più volte vinceste , ed i Siciliani dei quali nissuno mentre fioriva la nostra flotta osò nemmeno di starci a fronte, respingeteli ; e mostrate loro che a dispetto della debolezza e delle disgrazie, il saper vostro è maggiore della forza altrui sull’ali della fortuna.

« Ed a quelli di voi che siete propio Ateniesi torno a rammentar che non vi rimangono negli arsenali altre navi pari a queste, nè gioventù militare. Che se altro vi avverrà che il vincere, i nemici di qui navigheranno Subito ad Atene, e la nostra gente ivi restata non potrà resistere ai nemici di là, ed a quelli che sopravverranno. Così voi cadrete subito sotto il giogo de’Siracusani, contro dei quali ben sapete con qual animo veniste; ed i vostri di là sotto quello dei Lacedemoni. Laonde trovandovi a questo certame pel bene vostro e de' vostri concittadini, durate (se altre volte mai) virilmente; e considerate tutti e singoli che quanti di voi saliranno or or sulle navi, sono per gli Ateniesi e fanti e flotta e il residuo della Repubblica, ed il gran nome d’Atene; per le quali cose se uno avanza l'altro d'un poco in perizia e in coraggio, non potrà mostrarlo in occasione più rilevante di questa, per giovare a sé stesso, e salvare r universale ».

Avendo Nicia esortato sì caldamente i suoi, ordinò subito che salissero sulle navi. Gilippo ed i Siracusani , che erano stati spettatori di tale apparecchiamento, avean ben potuto accorgersi che gli Ateniesi vorrebbero combattere in mare ; ed inoltre erano stati per tempo informati del macchinamento delle branche di ferro. Però siccome si erano forniti di che guarentirsi da tutte le altre cose , fecero altrettanto contro quell’ordigno, vestendo di cuoio le prue e le parti più elevate delle navi, affinchè la branca scagliata sdrucciolasse, e non potesse afferrare. E poiché fu tutto in ordine, Gilippo e gli altri generali inanimarono le sue genti con queste parole :

« Che belli fossero i passati fatti, o Siracusani ed alleati, e che per belle cagioni or or verremo a battaglia , ci pare che la maggior parte di voi il sappiate ; essendoché non vi ci sareste messi con animo sì pronto. Se

poi alcuno noi sa quanto bisogna, noi glielo dimostreremo. Diciamo adunque che gli Ateniesi, padroni di un imperio senza dubbio il più grande dei passati Greci e dei presenti, venuti essendo contro questo paese primieramente per soggettarsi la Sicilia, e poi, se vi fossero riasciti, il Peloponneso e il rimanente di Grecia , voi primi tra i mortali vi opponeste loro sulla flotta colla quale aveano essi occupato tutto, e li vinceste in diverse battaglie navali ; e probabilmente li vincerete ora anche in questa. Imperciocché quando gli uomini si trovano repressi in ciò di che pretendono il primato, allora la opinione che loro resta di sé è minore di quello che se prima non avessero neppure avuto tal concetto ; e viste inaspettatamente andare a vuoto le loro giattanze, si avviliscono anche più che non vorrebbero le forze che hanno. E questo pare ora il caso degli Ateniesi.

« All’opposto, quel valor nostro primiero, col quale, sebben tuttora inesperti, osammo far fronte al nemico, fatto ora più stabile, ed accompagnato dalla opinione di esser fortissimi perchè su fortissimi avemmo vittoria, porge a ciascuno di noi doppia speranza. Or per lo più, grandissima speranza desta grandissimo vigore per le imprese. Quanto all’avere i nemici contraffatto alcune parti del nostro apparecchio, desse sono ornai consuete alle vostre maniere, e non mancheremo di difesa contro ciascuna di quelle. Ma quando molti de’ loro soldati gravi saranno, contro il solito, sulle coverte ; quando saran saliti sulle navi molti lanciatori terrestri, per così dire, acarnani ed altri, i quali sedendo non troveranno nemmeno il modo di scagliare la freccia ; come non pregiudicheranno alle navi, o come non si troveranno tutti fra sé in disordine, dovendo fare avvolgimenti ai quali non sono usati ? Inoltre la moltitudine delle navi (se vi ha chi teme per avere a combattere con numero non eguale) non sarà

di loro vantaggio ; poiché le molte in luogo angusto riusciranno più lente alle manovre, e più facili ad esser danneggiate dagl’ingegni onde siamo forniti. Tuttavia il vero stato delle cose loro apprendetelo da ciò che noi avvisiamo saper chiaramente. Poiché sopraffatti essi dai mali, e stretti dalle presenti difficoltà, son ridotti alla disperazione di gettarsi nel rischio in quel modo che possano, confidando più nella fortuua che nell’apparecchio delle forze ; per tentare o d’uscire a viva forza dal porto, o di ritirarsi per terra se ciò non riesca ; giacché vedono di non potersi trovare in condizione peggiore della presente.

« Azzuffiamoci adunque animosamente come c’invita siffatto disordine e la fortuna di uomini nimicissiini che spontanea si è posta nelle mani nostre ; e pensiamo che non solo é atto legittimissimo il saziare lo sdegno dell’animo contro avversari che a propria giustificazione alleghino d'esser venuti a punir l' aggressore ; ma che anche sta in poter nostro quella che comunemente dicesi la più dolce delle cose , la vendetta de’ nemici. Che gli Ateniesi ci sieno nemici e nemici mortali voi tutti il sapete , poiché son venuti per fare schiavo il paese nostro ; e se vi fossero riusciti, arebber martoriato crudelmente gli uomini, svergognati i figli e le donne, e posto a tutta la città la più turpe denominazione. Il perché non deve chicchessia allenirsi, né reputar guadagno la loro partita senza nostro pericolo, che certo partiranno egualmente ancor che vincano. Bella impresa sarà per noi (recando ad effetto, come è da credere, i nostri disegni) il punir costoro, e rendere a tutta quanta la Sicilia più stabile quella libertà che anche prima godeva ; e rarissimi son quei cimenti che avendo cattivo esito arrechino piccolissimi danni ; e sortendo buon fine, vantaggi grandissimi ».

I generali siracusaui e Gilippo avendo anch’essi con tali parole confortato le sue genti, ordinarono dal

canto loro che si armassero le navi; da che vedevano gli Ateniesi fare altrettanto. E iSicia costernato per le presenti cose , e vedendo quanto grande e quanto vicino ornai fosse il perìcolo, giacché i nemici erano in sul momento di avanzarsi incontro, temeva, come avviene nei grandi cimenti , quanto al fatto i propri apparecchi essere ancora manchevoli, e quanto alle parole non aver per anche detto abbastanza. Però richiamava ad uno ad uno i trierarchi, appellandoli col nome del padre, e col loro proprio e con quello della tribù, e scongiurava ciascuno a non tradir la chiarezza alla quale era da per sé pervenuto ; e quelli i cui maggiori erano illustri, a non offuscare le virtù degli avi. Rammentava una patria liberissima, e il liberissimo vivere che in quella a tutti era concesso, nè ometteva veruna delle altre cose che dagli uomini si sogliono dire in simili frangenti, non già quelle che a tal uopo si serbano per comparire in faccia a chicchessia narratori di memorie antiche, o quelle che in tutte le occasioni son quasi le stesse, rammemorando le mogli, i figlioli ed i patrii numi ; ma quelle che in siffatto sbigottimento si reputano utili, e ad alta voce s’inculcano. Dopo questa esortazione , che pure ei stimava non bastevole ma quale permetteva quell’urgenza, si ritirò ; e condotto l’esercito di terra sulla costa del mare, lo schierò nella maggior lunghezza possibile , acciò servisse di grandissimo incoraggiamento a quei della flotta. E Demostene, Menandro ed Eutidemo saliti sulle navi ateniesi, delle quali avevano il comando , partirono dal loro accampamento , e vogarono subito alla bocca del porto, dove i nemici avevan formato una serra colle navi e dove restava ancora un passaggio , per vedere di uscirne fuori a viva forza.

E già i Siracusani e gli alleati si erano mossi con un numero di navi pressoché eguale a quello di prima, c con una parte di esse guardavano l’uscita, e con

le altre si misero in giro al rimanente del porto, per assaltare ad un tempo da tutti i lati gli Ateniesi, ed insieme per avere il soccorso della fanteria , dovunque le navi approdassero. Erano ammiragli della flotta siracusana Sicano ed Agatarco ; ciascuno dei quali reggeva un’ala di tutta l’armata, e Pitene coi Corintii il centro. Poiché gli Ateniesi si avvicinarono alla serra, spingendosi innanzi vinsero iu quel primo empito le navi schieratevi a difesa, e si sforzavano di rompere l’ordinanza di quelle che serravano il porto. Dopo di chc, vogando addosso a loro da ogni parte i Siracusani e gli alleati, non solo si combatteva presso la serra , ma anche nel porto la battaglia era feroce e più accanita delle passate. Imperocché quinci e quindi molta era la premura dei marinari per investire il nemico, ovunque fosse comandato, e molto il gareggiamento e l'artificio scambievole dei timonieri; ed i soprassaglienti, quando una nave s’abbordava con l’altra, usavano ogni sforzo perchè il servigio loro di sulle coverte non fosse da meno dell’arte degli altri. Insomma ognuno studiavasi di comparire il primo negli uffici a lui commessi. Ma per la gran quantità delle navi che in angusto spazio si cozzavano insieme (ed angustissimo era lo spazio e mollissime queste navi che vi combattevano perchè tra deiruna parte e dell’altra poco mancava che non arrivassero a dugento), raro era che si andasse all’abbordaggio, non v’essendo modo di trarre addietro per darsi l’abbrivo e traversare le file nemiche ; laddove più frequenti erano gl’ incontri delle navi che casualmente s’imbattevano insieme o volendo fuggire od assalirsi l’una l’altra. E mentre la nave spingevasi contra alcuna delle nemiche, quei di sulle coverte scagliavano contr’essa un’infinità di giavéllotti, saette e pietre ; quando poi trovavansi accosto, i soprassaglienti venendo alle mani sforzavansi scambievolmente di saltare all’arrembaggio. E molte volte accadeva per la
strettezza del luogo di assalire altrui da una parte e trovarsi assalito dall’altra, e che due navi e talvolta anche più fossero costrette ad aggrapparsi intorno ad una ; ed i piloti non in un punto solo , ma in molti e da ogni lato , doveano aver l’occhio a guardarsi da questi e ad assaltar quelli. Inoltre il gran frastuono di tanti legni che si urtavano insieme metteva terrore ed impediva l’udita di ciò che ordinassero i comiti delle due armate, i quali esortavano ed animavano i suoi, per le regole dell’arte e per l’ostinata gara attuale» Gridavano agli Ateniesi, che forzassero l’uscita, che ora più che altre volte mai si dessero premura per tornare a salvamento in patria; ai Siracusani ed agli alleati, che era di loro decoro impedir la fuga al nemico , e che colla vittoria ciascuno accrescerebbe l’onore della sua patria. Di più gli ammiragli da ambedue le parti, se vedevano qualche nave rinculare senza necessità, chiamavano per nome il trierarca ; e quei degli Ateniesi domandavano se indietreggiassero, credendosi padroni di una terra nimicissima più che del mare con tante fatiche acquistato; quei de’Siracusani, se mentre sapevano bene che il nemico facea di tutto per iscappare, essi medesimi fuggissero da chi fuggiva.

Mentre combattevasi in mare con dubbiosa sorte, l’esercito di terra di amendue le parti era in grande smania ed oppressione d’animo : quello del paese perchè anelava ornai di accrescere la gloria ; quello degli Ateniesi, che era venuto di fuori, perchè temeva di trovarsi a condizione anche peggiore della presente. Ed invero riposando tutta sulle navi la fortuna degli Ateniesi, aveano essi una paura del futuro quale non altra mai ; ed appunto perchè la battaglia mantenevasi indecisa, non potevano di sulla costa vederla altro che indistintamente. Conciossiachè essendo quello spettacolo a poca distanza, e non potendo tutti osservarlo sul medesimo punto , se alcuni vedevano iu qualche

parte vincitori i suoi, ripigliavano coraggio, e si voltavano ad invocare gli Dei che non volessero privarli della salvezza: altri, se li miravano soccombere, davano in lamenti ed in strida, e per la sola vista delle cose aveano l'animo più abbattuto di quelli che erano nel fatto. Quelli poi che riguardavano ove la battaglia durava ancor bilanciata , per la continua indecisione di quella gara mostrando con gli atteggiamenti il grave timore ond’erano affetti, si trovavano ansiatissimi, perchè sempre incerti tra lo scampo e la morte. E mentre la pugna si sosteneva con egual calore, nel solo campo ateniese si udivano tutti insieme e lamenti e grida : siam vincitori, siam vinti : e quant’altre voci d’ogni maniera è forza che si ascoltino in un grande esercito in pericolo grandissimo. Lo stesso a un dipresso interveniva a quelli delle navi; finché dopo molto durare di quel combattimento, i Siracusani e gli alleati cacciarono in fuga gli Ateniesi, e manifestamente incalzandoli con alte grida, e l’un l’altro incoraggiandosi, li perseguirono fino sulla costa. Allora i soldati navali, salvo quelli che furon presi nell’alto, chi qua chi là recandosi al lido si ridussero agli alloggiamenti ; e le genti di terra non più svariatamente, ma tutte in una medesima agitazione, con gemiti ed urli dolenti fino all’anima dell’accaduto, chi correva a soccorso delle navi, chi a guardia delle rimanenti fortificazioni , chi (e questi erano i più) pensava a trovar modo di salvezza ; nè fuvvi mai verun altro sbigottimento maggiore di quello. E presso a poco trovaronsi gli Ateniesi nel caso stesso al quale avevan ridotto i Lacedemoni in Pilo ; imperciocché siccome colà erano state conquassate le navi spartane, ed uccise tutte le milizie tragittate nella Sfatteria , così ora erano essi disperati di potersi salvare per la via di terra senza un qualche prodigio.

Dopo sì feroce battaglia, ove da tutte e due le parti molte navi e persone erano perite, i Siracusani e

gli alleati vincitori ripresero i rottami ed i cadaveri, e tornati in città alzarono il trofeo. Gli Ateniesi, per la grandezza delle presenti calamità , non pensarono neppure a domandare la restituzione dei rottami e dei morti, e deliberavano di ritirarsi subito nella notte. Ma Demostene andato a trovar Nicia proponeva che si armassero quante navi ancora restavano, e sul far dell’aurora si tentasse a forza d’uscire del porto ; e diceva che tuttora rimanevano ad essi più navi servibili che non ai nemici, poiché agli Ateniesi ne erano avanzate da sessanta , ed ai Siracusani meno di cinquanta. E quantunque Nicia fosse in ciò d’accordo con lui, e volessero entrambi armare le navi, i marinari ricusarono di salirvi, sì per la costernazione di quella rotta, sì per l’opinione di non poter più aver vittoria. Onde tutti ornai applicavano l’animo a far la ritirata per terra.

Del qual divisamento venuto in sospetto Ermocrate siracusano , e stimando esservi gran pericolo che esercito sì grande ritiratosi per la via di terra si fermasse in qualche luogo di Sicilia, e volesse rinnovar loro la guerra, va dai magistrati ; e tra l’altre cose che gli parvero da dirsi, dichiarò ad essi che non doveansi lasciar partire gli Ateniesi nella notte , ma uscire tutti immantinente, Siracusani ed alleati, e serrar loro le strade, e preoccupare e guardare i passaggi più angusti. Non dissentivano punto i magistrati da Ermocrate iu quella risoluzione, e giudicavano esser da recare ad effetto : contuttociò avvisavano che siccome i soldati di recente pigliavano volenterosi respiro della gran battaglia navale, e di più ricorreva per avventura la festa (per cui in quel giorno facevansi sacrifizi ad onore di Ercole), così non vorrebbero agevolmente obbedirli. Conciossiachè per la soverchia gioia della vittoria la maggior parte dì essi nell’occasione della festa essendosi dati a sbevazzare, tutt’altro era spcrabile

che il persuaderli al presente di pigliare le armi ed uscire contro il nemico. Per queste considerazioni parendo ai magistrati ineseguibile quel disegno, e non avendo Ermocrate potuto indurveli, immaginò egli per ripiego quest’astuzia. Per la tema che gli Ateniesi a bell’agio e senza esser disturbati riuscissero a valicar nella notte i luoghi più difficili, manda sull’ imbrunire del giorno verso il campo ateniese pochi suoi amici con dei cavalieri , che , avvicinandosi tanto da potere esser sentiti, chiamassero alcuni ; e fingendosi amici degli Ateniesi ordinassero di dire a Nicia (il quale invero aveva di quelli da cui risapeva lo stato interno di Siracusa ) che non levasse il campo nella notte, perchè i Siracusani guardavano le strade ; ma che preparatosi a suo bell’agio partisse di giorno. Ciò detto, coloro tornarono indietro ; e quei che li sentirono ne porsero avviso ai generali ateniesi.

I quali a tale annunzio, non pensando che vi fosse sotto alcuna frode soprastettero quella notte. E giacché non si erano mossi pensarono di soprassedere anche il giorno seguente, per dare ai soldati il maggior comodo possibile di far fagotto ; e prendendo seco le sole cose necessarie al mantenimento della persona, lasciar tutte le altre, e partire. Ma i Siracusani e Gilippo prima della loro partita usciti fuori con la fanteria, serrarono le strade del paese, per dove conghietturavano che gli Ateniesi passerebbero, tenevan guardati i guadi de1 torrenti e de’fiumi, e si schierarono nei siti opportuni per far fronte all’esercito nemico, risoluti di contrastargli il passaggio. Inoltre si appressarono colle navi a quelle degli Ateniesi per ritirarle dalla spiaggia , ne abbruciarono alcune poche , come avean pensato di fare gli Ateniesi medesimi ; e le altre, dovunque ciascuna si trovasse sbalzata , comodamente e senza veruno impedimento, col rimurchio le tiravano .alla città.

Dopo queste cose, poiché a Nicia ed a Demostene parve che tutto fosse sufficientemente apparecchiato , movevasi finalmente il campo tre giorni dopo la battaglia navale. Nè solamente facea pietà il complesso di tanti iafortunii, cioè il partire colla perdita di tutta la flotta, e col pericolo proprio e della patria , invece delle grandi speranze prima concepute, ma ancora nell’abbandonare gli alloggiamenti interveniva ad ognuno di vedere e sentire cose dolorose. Imperciocché qualora tra gl’insepolti cadaveri ciascun vedesse giacere qualche suo amico, era preso da tristezza e timore ; ed i vivi abbandonati, feriti o malati, arrecavano ai vivi maggior afflizione dei morti, ed erano più infelici di questi ; essendo che rivoltisi alle preghiere ed ai pianti facean cascare il cuore , con alte grida scongiurando a condurli via ogni compagno o parente che scorgessero, e si avvinghiavano ai camerati che partivano, e finché aveano forza li seguitavano. E se ad alcuni falliva la lena del corpo restavano derelitti mandando imprecazioni e gemiti ; talché tutto l'esercito pieno di lagrime e straziato da diversi affetti, non sapeva di leggeri indursi a partire da quella terra benché nemica, dove avea sofferto sciagure maggiori d’ogni pianto , e dove altre temea di soffrirne nascoste ora nell’ incertezza. Da per tutto era una cupa malinconia, da per tutto udivansi scambievoli rimproveri, poiché non altro assembravano che un popolo scappato da una città espugnata , e questa non piccola; non essendo minore di quaranta migliaia tutta la moltitudine che marciava insieme. Fra tutti questi ognuno portava addosso quel che poteva di ciò che fosse necessario, ed i soldati gravi ed i cavalieri sebbene carichi dell’armi portavano fuor dell’usato da sé i viveri, parte per mancanza , parte per diffidenza dei galuppi, molti dei quali erano innanzi disertati, e moltissimi allora disertavano ; e con tutto ciò quel che portavano non bastava , perchè nel

campo era venuta meno la vettovaglia. Oltre di che l’avvili mento in tutto il reato, e quella ugual porzione di mali che pure ha in sè qualche sollievo quando siam molti a soffrire, non riusciva al presente leggera, specialmente al riflettere da quale splendore e da qual fasto primiero eran venuti a sì oscuro termine ed a cotanta bassezza. E certo grandissimo fu questo rovescio per l’esercito dei Greci, a’quali andati a soggettare gli altri, accadde invece di partire colla paura di trovarsi essi a quel caso ; invece di salpare in mezzo ai voti ed ai canti militari , svignare tra clamori aflatto contrari ; e invece di salir sulle navi, marciare a piedi, e attendere all’armi, innanzi che alla flotta. Nondimeno per la grandezza del pericolo che ancor sovrastava , tutte queste cose parevan loro tollerabili.

E Nicia vedendo in quel gran cangiamento di fortuna scoraggiato l’esercito, percorreva le file, e lo inanimiva e lo coasolava, adoprando maggior voce del solito con tutti quelli ai quali si accostasse; o fosse per la premura , o fosse per produrre il maggiore effetto possibile con la robustezza della voce.

« Ateniesi ed alleati, ei gridava , anche al presente bisogna avere speranza, che già alcuni salvaronsi da mali più gravi di questi ; nè dovete vituperar troppo voi stessi per le sofferte sconfitte, nè per queste non meritate disavventure. E anch’ io nè più forte di veruno di voi, ma ridotto dal male al termine che mi vedete, nè inferiore mai a chicchessia sì nella prosperità di mia vita privata che in tutto il resto, mi trovo ora sull’ orlo del medesimo pericolo con la gente la più meschina. Eppure molti sono stati gli atti di pietà da me praticati verso gli Dei, molti quelli di giustizia e generosità verso gli uomini ; onde nonostante le presenti sciagure confido dellavvenire. Certo queste disgrazie non meritate mi fanno temere ; ma forse presto cesseranno, che i nemici sono

stati prosperati a bastanza : e se noi abbiamo impresa la guerra in ira a qualche nume , siamo già stati più che a sufficienza puniti. Pur troppo alcuni altri invasero il suolo altrui, e per avere umanamente fallito ne ebbero tollerabili pene ; onde anche a noi lice sperare più miti gli Dei, perchè più del loro sdegno meritiamo ornai la compassione. E voi medesimi al vedervi quali e quanti soldati marciate insieme ordinati, non vogliate sbigottirvi troppo, ma considerate che dovunque vi fermiate, da voi stessi componete subito una città, e che nissun’altra città di Sicilia potrebbe agevolmente reggere al vostro assalto, nè farvi sloggiare di là ove vi foste fermati. Attenda ognu^ no che quanto sta in lui, la marcia sia sicura e bene ordinata ; ed a questo solo pensi, che in qualunque luogo venga astretto a combattere, vincendo, avrà quello invece di patria e di mura. Ci affretteremo di marciare e giorno e notte, perchè abbiamo scarsi viveri ; e se arriveremo a qualche terra amica dei Siculi che per tema dei Siracusani stanno ancor fermi per noi, allor fate ragione d’essere al sicuro. Già si è mandato loro a dire che ci vengano incontro con rinfrescamento di vettovaglia. Insomma intendete , o soldati, che vi è forza esser valorosi, perchè non v’ ha luogo vicino nel quale , se incodardite, possiate salvarvi ; e che se ora scampate dai nemici, voi alleati conseguirete ciò che certamente bramate di rivedere, e voi Ateniesi raddrizzerete, sebben decaduta, la gran potenza della città ; poiché la città sono gli uomini, e non le mura o le navi d’uomini vuote ».

Mentre Nicia faceva queste esortazioni andava percorrendo l’esercito, ed ove vedesse qualche parte distaccata non marciare in buon ordine, la riuniva e la riordinava. E Demostene con non minor calore diceva presso a poco le medesime cose ai suoi. Le genti di Nicia marciavano io ordinanza quadrata , seguivano poi quelle di

Demostene; ed i saccomanni c l’altra gran moltitudine stavano in mezzo ai soldati gravi. E poiché giunsero al passo del fiume Ànapo , trovarono attelate sulla riva delle troppe di Siracusani e di alleati, fugate le quali e impa^ dronitisi del guado, andavano innanzi, ma sempre incalzati dalla cavalleria siracusana e saettati dalle genti leggere. E in questo giorno avendo gli Ateniesi progredito circa quaranta stadii, si fermarono la notte vicino ad una collina , doude partiti il di seguente di buon mattino , e avanzatisi da venti stadii scesero in una pianura e vi si accamparono, con intenzione di pigliar dalle case dei commestibili (giacché quel luogo era abitato), e di portar seco dell’acqua , di che vi era penuria per lo spazio di molti stadii inoltrandosi nella via che doveano tenere. Frattanto i Siracusani spintisi innanzi tagliarono loro con un muro la strada onde doveano passar oltre, la quale era una forte collina chiamata la rupe Aerea, con borri scoscesi da ambe le parti. Il giorno appresso gli Ateniesi proseguivano il cammino , ed i Siracusani e gli alleati coi cavalli e con molti laociatori vi si opponevano, e li saettavano e cavalcavano da vicino. Pugnarono lunga pezza gli Ateniesi, ma poi tornarono indietro al medesimo alloggiamento ; e non potevano più come prima procacciarsi i viveri, perché i cavalli nemici non li lasciavano più dilungare.

La mattina dipoi levato il caiiipo marciavano nuovamente , e si sforzavano di arrivare alla collina munita dal muro, ove furono prevenuti dalla fanteria nemica schierata al di là del muro stesso con pochi di fronte, perché il luogo era stretto ; e datovi l’assalto, e feriti con frecce da molti di sulla collina che era acclive, e che però porgeva a quei di sopra il modo di colpire più facilmente, non poterono espugnarla ; onde retrocederono e stavano quieti. Sopravvennero inoltre al tempo stesso alcuni tuoni e piogge, come suole accadere quando l’anno volge all’autunno ,

per le quali cose gli Ateniesi si persero maggiormente di animo, e stimavano che esse tutte fossero a segnale di loro perdizione. E mentre soggiornavano inoperosi, i Siracusani e Gilippo spedirono una parte dell'esercito a interchiuderli alle spalle con un muro sulla strada per la quale s’erano avanzati ; ma essi mandarono dal canto loro alcuni de’suoi e l' impedirono. Dipoi ritiratisi con tutto l’esercito più verso la pianura vi pernottarono, e il di vegnente ripresero il cammino. Quand’ecco i Siracusani li assaltavano e li accerchiavano da ogni banda; e se gli Ateniesi venivan loro incontro , essi davano indietro ; se retrocedevano , gl' incalzavano, e gl’infestavano specialmente alla coda per vedere se a poco a poco, fugata questa, potessero spaventare tutto l’esercito. Durarono un pezzo gli Ateniesi combattendo in questo modo ; poi andati innanzi cinque o sei stadii si riposarono nella pianura ; ed anche i Siracusani si staccarono da loro, e tornarono al proprio alloggiamento.

Ma Nicia e Demostene vedendo giunte a mal termine le loro genti si per la mancanza ornai totale dei viveri, sì per esser molti gravemente feriti nei molti assalti dati dai nemici, si consigliarono di accendere nella notte quanti più fuochi potessero, e ritirar l’esercito, non già per la medesima strada che avevano determinato, ma per quella che va al mare opposta all’altra ove i Siracusani eransi appostati ; tutta la quale strada, invece di condur l' esercito a Catana , lo conduceva in altra parte di Sicilia verso Camarina e Gela, e verso le città greche c barbare di quei luoghi. Accesi adunque molti fuochi marciavano nella notte ; e come suole avvenire in tutti gli eserciti, specialmente grandissimi, di esser presi da tema e paura, tanto più se facciano via di notte in terra nemica e poco distanti da’ nemici, erano in preda allo smarrimento. Le genti di Nicia che precedevano , mantenevansi

unite ed avanzarono molto innanzi ; ma quelle di Demostene , quasi mezze ed anche più, si sbandarono e marciavano in gran disordine. Nondimeno all’aurora giungono in sul mare, ed entrati nella via chiamata Elorina camminavano ; perchè giunti che fossero al fiume Cacipari, volevano , secondando il corso di esso, inoltrarsi nei luoghi più mediterranei, ove speravano di dover essere incontrati dai Siculi che avean mandati a chiamare. Pervenuti al fiume trovarono anche qui una banda di Siracusani occupati a chiuder loro il passo con muro e palizzate; respinta la quale tragittarono alla riva opposta, e proseguirono il cammino verso l’altro fiume detto Erineo, per dove aveano a passare secondo gli ordini dei generali.