History of the Peloponnesian War

Thucydides

Thucydides. Della storia di Tucidide volgarizzata libri otto. Anonymous translator. Florence: Tipografia Galileiana, 1835.

Alla fine i Siracusani combattendo in questa guisa vigorosamente furono vincitori, e gli Ateniesi volti alla fuga, cercavano rifugio nella loro stazione di mezzo alle onerarie fin dove furono inseguiti dall’armata nemica: la quale fu impedita di procedere più oltre dalle antenne che ritte sulle onerarie stesse, ed armate di un ordigno di piombo'fatto a modo di delfino, difendevano gli spazi onde si andava all’alloggiamento. E due navi siracusane, che gonfie della vittoria si appressarono a quelle, furono spezzate, ed un’altra presa con la ciurma. I Siracusani colarono a fondo sette navi ateniesi, e molte ne guastarono ; e fatti molti prigioni ed uccisa molla gente si ritirarono ; alzarono i trofei delle due battaglie navali , ed avevano ornai ferma speranza di essere superiori nella flotta, e stimavano che vincerebbero ancora l’esercito di terra. Però si preparavano ad assalire nuovamente il nemico da amendue le parti.

In questo arrivano Demostene ed Eurimedonte col rinforzo degli Ateniesi, cioè, settantatrè navi in circa contando anche quelle forestiere, e cinque migliaia o in quel torno di soldatesca grave, tra di loro e degli alleati, e non pochi lanciatori barbari e greci, e frombolieri e arcieri, e sufficiente apparecchio d’ogni mauiera. Grande fu di presente lo sbigottimento de’Siracusani, quasi che non avessero mai a venire a capo di liberarsi da quel pericolo, vedendo che sebbene Decelia fosse stata munita , era giunto un altro esercito poco men che eguale al precedente, e le forze ateniesi per ogni lato comparivano molte. Ma l’oste degli Ateniesi che ivi era di prima riprese un po’ coraggio, secondo che il permettevano le sue disgrazie. E Demostene visto lo stato delle cose credè non

essere da indugiare, per non trovarsi al caso a che s’era trovato Nicia ; il quale in principio venuto colà formidabile ai nemici, poiché non assaltò subito Siracusa ma andò a svernare in Catana, era caduto in dispregio, ed era stato prevenuto da Gilippo arrivato colà colle forze del Peloponneso, le quali i Siracusani non avrebbero pur chiamate se egli tosto li avesse assaliti. Essendoché i Siracusani con tutta Topinione della propria sufficienza avrebbero imparato che eran da meno, e sarebbono stati riserrali dalle fortificazioni ; onde sebbene avessero fatto venire un rinforzo , non poteva più esser loro della medesima utilità. Demostene adunque considerando queste cose, e vedendo che anch’egli al presente era di grandissima paura ai nemici nel primo giorno, voleva al più presto valersi di quel loro sbigottimento. E però osservando che il muro trasversale de9 Siracusani, col quale aveano impedito agli Ateniesi di attorniarli, era scempio; e che potendo farsi padroni della montata d’Epipole e poi del campo che ivi era, facilmente si sarebbe espugnato (avvegnaché nissuno avrebbe fatto retta contr’essi), si affrettava di metter mano a quell’ impresa, e teneva che prestissimo arebbe fine la guerra. Perciocché, o riuscendo s’impadronirebbe di Siracusa, o altrimenti ritirerebbe l’esercito, e non si logorerebbero inutilmente gli Ateniesi, e con loro gli altri confederati, e tutta la Repubblica. Pertanto gli Ateniesi primieramente scesi dalle navi guastavano le circostanze dell’Anapo; ed il loro esercito, come la prima volta, fu vincitore in terra e in mare, stante che i Siracusani non uscirono contr’essi da veruna parte , salvo la cavalleria ed i lanciatori dall’Olimpico.

Volle poi Demostene tentar prima con le macchine le fortificazioni, ma le macchine appressatevi furono abbruciate dai nemici che di sul muro si difendevano , e il rimanente dell’esercito che dava l’assalto venne retro-

spinto. Laonde si dispose a non uieIter più tempo in mezzo, e persuasi ÓNicia e gli altri colleglli si accingeva ad assalire Epipole conforme avea divisato. Se non che giudicava impossibile l’accostarvisi e salirvi di giorno senza essere scoperto. Però intimato ai soldati di portare i viveri per cinque giorni , prese seco tutti i manovali e muralori ed ogni altro apparato di saettarne , e quanto facea bisogno per fabbricare se s’impadronissero del luogo ; e in sul primo sonno, seguito da Eurimedonte e Mennndro e da tutto l’esercito, marciava verso l'Epipole. INicia rimase dentro le trincee. Arrivarono presso YEpipole dalla parte di Eurielo (per dove sali la prima volta il precedente esercito) senza essere avvertiti dalle sentinelle siracusane; ed accostatisi al muro che ivi era lo espugnano, ed uccidono alcuni della guarnigione. Ma la maggior parte de’neraici rifugiatisi subito negli alloggiamenti che sull’ Epipole erano tre, uno de’ Siracusani, uno degli altri Siciliani ed uno degli alleati, annunziano l’assalto, c ne porgono avviso a quel secento Siracusani che da questo lato dell’Epipole erano il primo presidio. Accorrevano questi prontamente ; e Demostene e gli Ateniesi incontratisi in loro, nonostante una coraggiosa resistenza, li cacciarono in fuga, e tosto si spingevano innanzi, non volendo in quell’ impeto tardare ad eseguir ciò per cui erano verniti. Intanto altri compivano l’espugnazione del muro assaltato al primo arrivo, ove il presidio siracusano non tenne fermo, e ne svellevano i merli. Già i Siracusani e gli alleati, e Gilippo con le sue genti dai ripari della città correvano a soccorso , e sbigottiti dall’ imprevisto ardimento di quella notte si azzuffarono con gli Ateniesi, e da loro respiuti cominciavano a dare indietro. Ma poi gli Ateniesi avanzandosi troppo disordinatamente come viucitori, e volendo senza indugio spingersi contro tutto l’esercito nemico ove non si era combattuto, perchè non potesse rannodarsi
se rallentassero quella furia , trovaronsi a fronte i Beozii attestati, dai quali assaliti e rotti furono costretti a fuggire.

E già gli Ateniesi trovavansi allora in gran disordine ed imbrigamento, tra cui non era facile sapere gli uni dagli altri i particolari andamenti delle cose. Conciossiachè se di giorno allorché i fatti sono più appariscenti, nondimeno neanche quelli stessi che vi si son trovati non li sanno tutti, e solo ciascuno sa a fatica quello a che ebbe mano ; come mai in una battaglia notturna (che tra due grandi eserciti intervenne solo in questa guerra) poteasi aver certezza di nulla ? Splendeva, è vero, la luna ; ma come è solito al chiarore di essa vedevansi scambievolmente in modo da scorgere la figura di un corpo, senza però discemere con sicurezza se fosse quel d’un amico. Inoltre grande era la moltitudine de’ soldati gravi d'amendue gli eserciti, che si aggiravauo in quel luogo angusto. E già alcuni degli Ateniesi erano vinti, altri marciavano tuttavia interi col primo impeto, e grau parte del rimanente dell’esercito o erano saliti d’allora sull’ Epipole, od ancor vi salivano ; onde non sapevano dove rivolgersi, perchè le loro genti che prime aveau menato le mani erano ornai tutte fugate e sbaragliate , e difficile era il riconoscerle in mezzo a quelle grida. Imperciocché i Siracusani e gli alleati nel bollor della vittoria s’incoraggiavano con alti urli, non potendo di notte darsi altro segnale, ed insieme sostenevano l’incalzante nemico ; e gli Ateniesi si cercavano tra loro, e credevano nemici tutti quei che si avanzavano incontro, fossero anche amici, siccome lo erano quelli che già fuggivano addietro. E fitto fitto domandandosi la parola ( non v’essendosi altro modo di riconoscersi ), causavano a sè stessi grave disordine col domandarla tutti ad un tempo, tanto che la resero nota anche ai nemici, senza sapere del pari qual fosse la loro; perchè quelli, come

vincitori , combattendo riuniti, più agevolmente si conoscevano. Cosicché se gli Ateniesi anche superiori di forze s’abbattevano in alcuni dei nemici, questi si salvavano perchè sapevano la parola di loro ; all’opposto se essi non rispondevano venivano trucidati. Quello però che più d’ogni altro nocque loro grandissimamente fu la cantilena del Peana, che essendo quasi la stessa da tutte e due le parti, gli metteva nell' incertezza ; perciocché quando gli Argivi ed i Corfuotti, e quanti Dorici eran con gli Ateniesi , cantavano il Peana , incutevano loro timore del pari che i nemici. Onde alla fine poiché una volta si furono disordinati, raffrontandosi insieme in molte parti del campo , amici con amici, cittadini con cittadini, non solo recavansi in paura, ma venuti ancora alle mani tra loro a gran pena si separavano, ed inseguiti dal nemico, molti si precipitavano giù dalle rupi e morivano ; essendo angusta la via per ricalare dall’Epipole. La maggior parte di quelli che dall’alto poterono scender nella pianura a salvamento , e tutti quelli che erano del primo esercito , per la pratica che aveano del paese si ricondussero nell’alloggiamento ; gli altri però venuti dopo, o smarrite le strade vagavano per la campagna, o venuto il dì erano uccisi dai cavalli siracusani che scorrevano all’ intorno.

Il giorno appresso i Siracusani ersero due trofei, uno sull’ Epipole ove era salito il nemico, l’altro nel luogo ove i Beozii aveano i primi fatto resistenza. Gli Ateniesi riebbero i cadaveri con salvocondotto. Molti furono i morti di loro e degli alleati, e le armi prese furono in maggior quantità de9 cadaveri , perchè di quelli astretti a saltar giù da’dirupati, scossi degli scudi, alcuni perirouo, alcuni si salvarono.

Dopo ciò i Siracusani rinvigoriti, come la prima volta, da quella inaspettata fortuna y spedirono con quindici navi Sicauo ad Acragante che avea levato romore,

affinchè tentasse di sottomettere quella città. E Gilippo scorreva nuovamente per terra la Sicilia , per cavarne altre genti; perchè dopo il fatto dell' R pi poi e, era venuta nella speranza di espugnare anche le fortificazioni deeli Ateniesi.

Frattanto i generali ateniesi andavano discorrendo della passata sciagura e della presente universal debolezza dell’esercito. Vedevano tornati invano i loro sforzi, ed i soldati gravati di quella stanza, attesoché erano afflitti dalle malattie per due cagioni; sì perchè correva la stagione dell’anno nella quale principalmente gli uomini infermano , sì eziandio perchè il luogo ove erano alloggiati era paludoso ed insalubre ; ed a ciò si aggiugneva che tutti gli altri tentativi pareano loro disperati. Per lo che Demosteue giudicava non esser più da rimanere ; ma da che era fallita T impresa dell9 Epipole da lui disegnata e tentata , proponeva che senza indugio si cercasse una strada di mezzo ai nemici , mentre che potè vasi ancora tragittar il mare f e colKaggiunta almeno delle navi sopravvenute superare l’armata nemica. Diceva esser più vantaggioso alla Repubblica far la guerra contro quelli che edificavano munizioni nelle terre di lei, innanzi che contro i Siracusani, i quali ornai non potevano agevolmente sottomettersi ; e non esser ragionevole il fermarsi più a lungo in quell’ assedio spendendo senza prò gran copia di denaro. Tale era la mente di Demostene.

Nicia poi con tutto che egli stimasse giunte a mal termine le proprie cose , pure uon voleva allargarsi a parlare della debolezza di quelle; nè col decretare manifestamente la ritirata tra molti, darne sentore ai nemici ; avvegnaché così facendo, quando vi si risolvessero avrebbero maggior difficoltà a tenersi celati. E gli porgeva ancora qualche speranza il sapere ( per i ragguagli che avea più de’suoi colleghi) come lo stato de’ nemici

diverrebbe peggiore del suo o\e si persistesse neirassedio, perchè dovrebbero rifinirsi per mancanza di denaro; tanto più che gli Ateniesi, colle navi che ora avevano, signoreggiavano più ampiamente sul mare. Oltre di che vi erano in Siracusa alcuni che volevano voltare il governo in mano d’Atene, e a lui mandavano avvisi e lo confortavano a non partire. Le quali cose non ignorando Nicia stava in fatto tuttor con l’animo intra due, e differiva a decidersi, ma colle parole mostrava chiaro che non avrebbe levato il campo. Saper lui bene, diceva, che gli Ateniesi non approverebbero questa partita senza avterla essi da per sé decretata , poiché su i capitani sentenzeranno non quelli che com’ essi avessero avuto sott' occhio lo stato delle cose , o che non dessero retta alle altrui imputazioni, ma tali che si lasceranno persuadere dalle belle parole di chi voglia metter loro in discredito ; gridare ora molti, pròseguiva, anzi i più de’soldati, che si trovano in gravi mali, ma tornati in patria grideranno al contrario che i generali son partiti corrotti dal denaro. Però non voler lui che conosceva la natura degli Ateniesi morire per mano di loro con turpe accusa ed ingiustamente, più presto che per le mani de’nemici, ove bisogni correr questo rischio , lungi dai clamori d’nn giudizio. Aggiugneva che i Siracusani erano anche in peggior condizione di loro, poiché tra le paghe che avevano i soldati forestieri, tra le altre spese per i presidii delle circonvicine cittadelle, e tra il mantenimento di flotta considerabile che già durava da un anno, trovavansi in parte fin d’allora alle strette, in parte non avrebbero poi saputo come trarsi d'impaccio ; poiché avevano già speso duemila talenti, e molti più ne avevano in debito. Che se venissero a diminuirsi un nonnulla gli apparecchi col non pagare i soldi, le cose loro, consistenti in truppe ausiliarie più presto che stabili come le ateniesi, erano andate. Laonde egli diceva che doveasi continovare
l’assedio, e non levarsene vinti dal pensiero che i nemici fossero di gran lunga superiori in denaro.

Stava jNicia fermo nella sua proposta perchè era esattamente informato dello stato di Siracusa e della mancanza del denaro, e perchè ivi erano persone desiderose che il governo venisse in mano degli Ateniesi, le quali gli facevano intendere che non si levasse dall’assedio. Oltre di che si era lasciato vincere dalla fiducia che avea concepita maggiore di prima almeno quanto alle navi. Demostene però non approvava per verun conto il rimanere all’ assedio ; e se non si voleva ritirare l’esercito senza il decreto degli Ateniesi, ma trattenersi in Sicilia, diceva che bisognava far ciò col passare a Tapso ovvero a Catana, donde colla fanteria potrebbero voltarsi a correre gran parte della campagna, e danneggiare i nemici devastando le cose loro ; che colla flotta combatterebbero in alto mare ed all’aperto invece che in luogo angusto ( lo che era più vantaggioso al nemico ) ; che allora potrebbero giovarsi della propria perizia ; e che non dovendo fare impeto o vogare a terra in breve e circoscritto spazio , sarebbero padroni di ritirarsi e di assalire. Insomma protestava non piacerli in niun modo il rimanervi più a lungo, e voleva che fin d’allora presti ssi inamente si ritirasse l’esercito senza indugiare ; ed Eurimedonte era in ciò d’accordo con lui. Ma contradicendo Nicia , si sparse pel campo una certa indolenza ed irresolutezza, ed insieme l’opinione che egli stesse alla dura perchè ne sapesse più degli altri. In tal guisa gli Ateniesi temporeggiavano senza muoversi da quel luogo.

In questo erano venuti di ritorno a Siracusa Gilippo e Sicano ; questi fallita l’impresa d’Acragante, perché mentre era tuttora in Gela la fazione che teneva coi Siracusani si era composta all’amichevole ; quegli conducendo molte genti dalla Sicilia ed i soldati di grave armatura dal

Peloponneso, spediti nella primavera sulle onerarie, i quali erano arrivati a Selinunte dalla Libia , ove la tempesta li avea gettati. Ed ivi avute dai Cirenei due triremi e guide per la navigazione, nel loro tragitto si unirono agli Evesperiti assediati dai Libii cui vinsero : di là passarono a Napoli, emporio dei Cartaginesi, donde è brevissimo tragitto in Sicilia, alla distanza di due giornate ed una notte ; e quindi traversato il mare pervennero a Selinunte. Non sì tosto arrivarono queste genti che i Siracusani si preparavano ad assaltare gli Ateniesi da tutte e due le parti, colle navi e colle truppe di terra. Ma i capitani ateniesi vedendo sopravvenute ai nemici nuove milizie, e al tempo stesso, non che migliorare le proprie cose, farsi giornalmente peggiori per tutti i lati, e specialmente perii travaglio delle infermità de’soldati, si pentivano di non essersi ritirati prima. E poiché Nicia non si opponeva più come per l’avanti, ma solo voleva che la cosa non si decretasse in pubblico, intimarono a tutti quanto poterono segretamente che dovessero uscir colle navi da quella stazione, e tenersi pronti allorché fosse dato il segno della partenza. Quando però fu tutto in pronto, ed essi in procinto di partire, la luna che per avventura era in pieno, ecclissò. Di che pigliandosi ubbìa la maggior parte degli Ateniesi, confortavano i generali a sopraslare ; e Nicia, dedito anche un po’ troppo alle superstizioni e cose di tal fatta , disse che non si dovea pur deliberare di ciò, prima di essersi trattenuti tre volte nove giorni come gli arioli ordinavano. Il perchè quantunque gli Ateniesi fossero già in ordine, soprassedettero.

I Siracusani informati eglino pure di questo, tanto meglio si risvegliarono a non lasciar partire gli Ateniesi, sì perchè dalla macchinata partenza deducevano che essi medesimi non si credevano più superiori a loro nè per terra nè per mare , sì eziandio perchè non volevano

lasciarli fermare iu qualche altro luogo di Sicilia ove fosse più difficile il guerreggiarli, ma costringerli a combatter per mare quanto prima, in quel medesimo alloggiamento favorevole alle proprie armi. Però allestivano le navi e vi si esercitavano per alcuni giorni quanti credevano dover bastare; e quando fu tempo nel primo dì assaltarono i muri degli Ateniesi, donde esseudo usciti per una porta non molti fanti gravi e cavalli, i Siracusani interchiudono alcuni dei fanti, e messili in fuga gl’ inseguono ; e per la strettezza dell’accesso gli Ateniesi vi perdono settanta cavalli, e non molti dei soldati gravi.

Per quel giorno i Siracusani ritirarono l’esercito , ma nel seguente escono fuori colle navi in numero di settantasei, e al tempo stesso colle genti di terra marciarono verso i muri. Gli Ateniesi si mossero loro incontro con ottantasei navi , e si azzuffarono a battaglia ; ove i Siracusani con gli alleati, vinto prima il centro dell’armata nemica, nella parte concava e più interna del porto colgono Eurimedonte che tenea l’ala destra degli Ateniesi e che volendo chiudere in mezzo le navi opposte avea stangato la sua ordinanza troppo verso terra, e lo rompono insieme colle navi che lo seguivano. Dipoi davano ornai la caccia a tutta la flotta ateniese, e vigorosamente la spingevano a terra.

Gilippo al veder vinte le navi de’ nemici, le quali correvano a terra fuori delle palizzate e del suo alloggiamento, accorreva con parte dell’esercito alla costa con animo di trucidar quelli che sbarcassero, e di facilitare ai Siracusani il modo di trarre a sé le navi ateniesi collo spazzar dai nemici quella spiaggia. Ma i Tirreni che ivi erano di guardia per gli Ateniesi vedendo avanzarsi costoro disordinatamente, corrono ad incontrarli, ed avventatisi sui primi gli fugano, e li rispingono verso la palude chiamata Lisimelea. E siccome poi i Siracusani e gli alleati

vi tornarono più grossi, così gli Ateniesi accorsero ad opporsi loro; e temendo per le navi, appiccaronsi a battaglia con essi, li vinsero, li perseguitarono, uccisero non molli soldati gravi, salvarono la maggior parte delle navi, e le ridussero all’alloggiamento. Nondimeno diciotto di esse vennero in potere de’Siracusani e degli alleati, che trucidarono quante persone vi erano. Tentarono ancora di bruciare il rimanente della flotta , avendo a quest’oggetto piena di sarmenti e fiaccole una vecchia barca da carico; e poiché il vento soffiava verso gli Ateniesi, la lasciarono andare acciò vi appiccasse il fuoco. Gli Ateniesi impauriti per le proprie navi, trovarono dal canto loro degli argomenti per ispegnere il fuoco, estinsero la fiamma , provvidero che la barca non potesse avvicinarsi di più, e così libera ronsi da quel pericolo.

Dopo di che i Siracusani ersero il trofeo per la battaglia navale e per aver tagliato il ritorno a’soldati gravi su in terra, ove presero anche alcuni cavalli ; e gli Ateniesi per avere i Tirreni! ributtata la fanteria nemica nella palude , e cacciato essi medesimi il rimanente dell’esercito.

Ma già per questa insigne vittoria navale de’ Siracusani , che prima temevano delle navi sopraggiunte con Demostene, erano gli Ateniesi del tutto scoraggiati, e grandemente stupiti, ed anche viepiù pentiti di quella spedizione. Imperocché, quantunque avessero portato le armi contro Siracusa, allegati con quelle città che sole ornai usavano i medesimi istituti di loro, e si reggevano a popolo com’essi, ed aveauo navi, cavalli e grandezza ; con tutto ciò uon essendo riusciti a mettere riissima discordia tra i Siracusani, o mediante il cambiamento del governo con che speravano di ridurli in poter loro , o mediante gli apparecchi in che erano superiori ; ed al contrario essendo rimasti frustrati nella maggior parte de’ loro disegni , trovavansi anche di prima nell’esitanza. H quando poi furono

vinti colla flotta (cosa che non si sarebbono aspettata), allor daddovero più che mai si persero d’animo.

All’opposto i Siracusani scorrevano subito francamente lunghesso il porto, e pensavano di serrarne rimboccatura , acciocché gli Ateniesi, quand'anche il volessero, non potessero uscirne furtivamente. Nè solo si davano premura di procacciar salvezza a sè stessi, ma anche di impedirla al nemico ; avvisando, come era vero, le loro cose essere al presente in miglior grado di quelle degli avversari ; e se potessero vincere gli Ateniesi co’ loro alleati per terra e per mare, dover ilare di sè glorioso spettacolo a tutti i Greci, i quali parte tostamente sarebbero messi in libertà, parte disciolti dal timore. Conciossiachè la Repubblica ateniese con le forze che le restavano non più sarebbe in seguito sufficiente a reggere al fascio di una seconda guerra che le fosse portata addosso ; laddove essi reputati autori di questo , avrebbero fatto maravigliar molto di sè gli altri popoli ed i posteri. E lasciando stare di ciò, era inoltre glorioso quel certame, perchè non solo avrebbero vinto gli Ateniesi, ma anche molti altri de’ loro confederati, non già essi da sè soli ma con gli altri che li aveano soccorsi, e si sarebbero fatti duci de’ Lacedemoni e de’Corintii, ed arebbero esposta innanzi al pericolo la propria città, ed avanzata la loro flotta ad alto grado di potenza. E certo moltissime furono le genti concorse a questa unica città, e solo meno numerose di tutta insieme l’altra moltitudine , che in questa guerra si accolse dalla parte di Atene e di Sparta.

E però io voglio numerare tutte quelle genti che da amendue le parti guerreggiarono a Siracusa, per la Sicilia e contro di lei, o per partecipare con gli uni della conquista, o con gli altri della salvezza ; le quali si misero da una di quelle parti non tanto per titolo di giustizia o di parentela, quanto per interesse o per necessità,

sfondo lo stato accidentale di ciascun popolo. Gli Ateniesi , come Ionii, vennero di buona voglia contro i Siracusani che erano Doriesi, e con essi Lemnii, gl’Imbrii, e gli Egineti che allora tenevano Egina, perchè usavano il medesimo linguaggio e costumanze ; e di più vi si uni« rono gli Estìei abitatori di Esliea in Eubea, perchè colonia d’Atene. Quanto agli altri che si unirono a questa spedi« zione , alcuni erano sudditi degli Ateniesi, alcuni alleati indipendenti, alcuni poi presi a soldo. Tra i sudditi tributani, gli Eretriesi, i Calcidesi, gli Stiriesi ed i Caristii erano delFEubea ; delle isole, i Chii, gli Andrii, i Teii iFIonia, i Milesii, i Samii, i Chii. Tra tutti questi i Chii non pagavano tributo, ma essendo indipendenti li seguivano somministrando delle navi; e la maggior parte di quei popoli sono di origine ionica, e discendono dagli Ateniesi, tranne i Caristii che son Driopi ; onde parte per esser vassalli, parte astretti dalla parentela per essere aneli’essi Ionici, seguivano gli Ateniesi. Oltre ad essieranvi dell’Eolia, i Motimnei con delle navi ma senza pagar tributo, ed i Tenedii e gli Enii tributari!. Questi Eolici combattevano per forza contro i Beozii che pur sono Eolici e fondatori della loro colonia, perchè si erano uniti coi Siracusani. I Plateesi furono i soli tra i BeOzii che per inimicizia, come era da aspettarsi, a viso aperto guerreggiavano contro i Beozii. Quindi i Rodii ed i Citerii, entrambi di stirpe dorica; i Citerii, sebbene coloni dei Lacedemoni, portavano le armi insieme con gli Ateniesi contro i Lacedemoni che erano con Gilippo ; i Rodii , della stirpe argiva, erano astretti a guerreggiare non solo i Siracusani come Doriesi, ma ancora i Geloi suoi coloni che militavano coi Siracusani. Fra gl’isolani intorno al Peloponneso, si unirono a questa guerra i Cefallenii e gli Zacintii, che sebbene indipendenti, appunto perchè isolani erano tenuti a segno con più severità dagli Ateniesi padroni
diri mare ; ed i Corfuotti, sebbene Doriesi e Corintii, non furono men pronti a venire contro i Corintii ed i Siracusani , tuttoché coloni di quelli e consanguinei di questi , sotto colore di esservi astretti, in 'vero poi di lor volontà per odio dei Corintii. Furono inoltre assunti a questa guerra quei chiamati ora Messemi di Naupatto, e quei di Pilo tenuto allora dagli Ateniesi; ed anche non molti banditi Megaresi per la disgrazia del loro esilio combattevano contro i Selinunti pur Megaresi. La maggior parte del rimanente dell’esercito si aggiunse a questa spedizione più che altro spontaneamente. Gli Argivi erano dalla parte degli Ateniesi non tanto per debito di alleanza quanto per l’inimicizia dei Lacedemoni ; e ciascuuo di essi per qualche suo presente e privato odio, Doriesi come erano, veniva contro i Doriesi insieme con gli Ateniesi che sono Ionii. I Mautineesi e gli altri Arcadi presi a soldo, avvezzi ad andar sempre contro quei che sieno loro mostrati per nemici ; allora venivano anco per ingordigia del guadagno, stimando niente meno che nemici gli Arcadi condottisi in Sicilia con i (kmntii. I Cretesi e gli Etolii vi erano anch’essi indotti dal soldo ; ed ai Cretesi, fondatori insieme coi Kodii di Gela, avvenne di trovarsi loro malgrado per mercede non co’ propri coloni, ma contro di essi. Parimente alcuni degli Acarnani per guadagno , e la maggior parte per Tamicizia di Demostene e per benevolenza verso gli Ateniesi, de'quali erano alleati, si aggiunsero a loro soccorso. Tutti costoro abitano entro i confini del seno ionico. Fra gl’italiani, militavano con gli Ateniesi i Turii ed i Metapontini in queste angustie di tempi occupati da sedizione ; tra i Siciliani, i Nassii ed i Catanesi ; e tra i barbari, gli Egestei che si erano guadagnati l’amicizia della maggior parte dei popoli dentro e fuori la Sicilia. Finalmente vi erano alcuni dei Tirrenii per ditferenze coi Siciliani, e gl’ lapigii presi a sti-
pendio. Cotanti erano i popoli che militavano con gli Ateniesi. '

Dall’altra parte furono a soccorso de' Siracusani i Camarinei loro confinatiti, ed i Geloi die abitano dopo questi ; e per esser calmate le cose degli Acragantini vi vennero anclie i Selinuntii che hanno le loro sedie al di là di essi. Tulli questr abitano la parte della Sicilia che guarda l’Affrica. Quindi gl’ ìmerei da quel lato che è volto al mar Tirreno ove essi soli dei Greci hauno abitazione, e però essi soli di là andarono in aiuto. Tanti erano i popoli greci di Sicilia, e tutti di stirpe dorica e indipendenti, che si unirono in questa guerra. Dei barbari i soli Siculi, quanti non eran passali alla parte degli Ateniesi. Dei Greci fuor di Sicilia, i Lacedemoni con un capitano spartano, e l'altra turba di Neodamodi ed Iloti. INeodamode importa lo stesso che essere ornai libero. Dipoi i Corinti i i soli venuti con navi e truppe da sbarco , ed i Leucadii e gli Ambracioti per titolo di parentela. Dall’Arcadia i mercenarii inviativi dai Corintii, ed i Siciouii costretti a pigliar •le armi ; e dei popoli fuori del Peloponneso, i Beozii. Oltre tutte queste genti venute di fuori, i Siciliani da sè diedero quantità maggiore in ogni genere di milizia, siccome quelli che abitavano grandi città ; poiché vi furono adunate molte soldatesche gravi, e navi e cavalli ed altra turba copiosissima. Ed i Siracusani in confronto di tutti gli altri, per così dire, diedero di più anche in questa occasione, perché abitavano ampia città, e perchè erano esposti a maggior pericolo.

Tanti erano i soccorsi accolli dalle due parti, e già tutti li avevano presenti, e uissuno altro ne sopravvenne nè all’una nè alTaltra. A ragione adunque i Siracusani e gli alleati, dopo la riportata vittoria navale, reputavano bella impresa il vincere anche tutto l’esercito ateniese che era si grande, talché non potesse scampare nè

per la via di terra, nè per quella di mare. Ed a questo fine con triremi intraversate e barche e schifi fermati stdl'ancora serrarono subito il porto grande , la cui bocca è larga circa otto stadii : ed in tutto il resto stavano apparecchiali caso che gli Ateniesi osassero venir novamente a battaglia navale. Insomma per ogni lato a grandi cose intendevano.

Gli Ateniesi vedendosi serrare il porto, ed accorgendosi di tutte le altre intenzioni del nemico, stimarono esser da deliberare. Per lo che adunatisi i generali e quei di stalo maggiore, vedendo, oltre la presente penuria delle altre cose, che attualmente non resta van più viveri ( perchè col pensiero di far vela avean mandato a Catana a disdirne il trasporto), e che in seguito non ne potrebbero avere senza una vittoria in mare, deliberarono di abbandonare le fortificazioni che erano dentro terra, e con uu muro vicinissimo alla flotta occupando un circuito il più piccolo che si potesse, tanto che fosse capace delle bagaglie e degl’ invalidi, tenersi a guardia di quello. Quindi risolvevano che l’altro esercito di terra montasse ed empisse le navi tutte, tanto quelle che erano in buono stato che quelle men atte a navigare, e che si venisse a battaglia , nella quale se vincessero si ridurrebbero a Catana ; se no , bruciate le navi si ritirerebbero schierati per la via di terra, ovunque più tostamente potessero arrivare a qualche luogo amico, fosse barbaro o greco. E come ebbero deliberato ciò, così lo recavano ad effetto. Laonde dalle munizioni che erano dentro terra scendevano furtivamente al lido, empievano tntte le navi in numero di centodieci in circa, costringendovi a salire chiunque per età pareva dover esser buono a qualche cosa, e mettendovi a bordo molti lanciatori degli Àcarnani e degli altri forestieri ; e procacciavano in quella strettezza tutto ciò che potesse servire ai loro disegni. E poiché il più delle cose fu in pronto, Micia vedendo clic i soldati per la grande

sconfitta avuta in mare contro il consueto erano scoraggiati , e che per la scarsità dei viveri desideravano di venire prestissimamente al cimento, convocatili tutti, allora per la prima volta prese a confortarli con queste parole :