History of the Peloponnesian War

Thucydides

Thucydides. Della storia di Tucidide volgarizzata libri otto. Anonymous translator. Florence: Tipografia Galileiana, 1835.

Ma Gilippo e Pitene poiché ebbero racconciate le navi, da Taranto passarono ai Locrii Epizefirii ; ove inteso più chiaramente che Siracusa non era del tutto cinta di muro, e che anzi recandosi là coll’esercito potrebbero ancora penetrarvi dalla parte d’Epipole, stavano deliberando se dovessero tentar d’eutrarvi per mare prendendo la Sicilia in sulla destra, ovvero tenendosi in sulla sinistra andarvi per terra, dopo aver prima navigato ad Imera ed essersi aggiunti gli abitanti di questa città, e le altre milizie di quei popoli che a ciò indurrebbero. Risolvettero alfine di navigare ad lmera, tanto più che non ancora erano arrivate in Reggio le quattro navi attiche, le quali Nicia vi avea spedite appena seppe della venuta dei Lacedemoni presso i Locrii, quantunque per l’innanzi ne avesse dispregiato il piccolo numero. Prevenendo adunque queste navi che ivi doveano fermarsi in guardia, Gilippo e Pitene traversano lo stretto, e dopo aver fatto scala in Reggio e Messina giungono ad Imera. Nell’esser quivi persuasero

gl' Imerei ad unirsi con loro in questa guerra , ed a seguitarli, ed a somministrare le armi a quanti delle loro ciurme non le avevano (giacché le navi vi erano state tratte a terra ) ; e mandarono poi ordinando ai Selinunti che con tutte le loro forze dovessero venire ad incontrarli in un luogo assegnato. I Geloi promisero di mandar loro una mano di soldati, e lo stesso fecero alcuni dei Siculi, che con più ardore di prima si mostravano pronti ad accostarvisi, perchè di recente era venuto a morte Arconida principe non debole che regnava sopra alcuni Siculi di quelle vicinanze, ed amico degli Ateniesi ; e perchè parca che baldanzoso venisse da Sparta Gilippo. Il quale tolti seco settecento di grave armatura tra delle proprie ciurme e de’ soprassaglicnti, e mille Imerei tra soldati gravi e leggeri, e cento cavalli, ed alcuni de’Selinunti armati alla leggera, e pochi cavalli de’Geloi, e mille Siculi in tutti, s’ indirizzava alla volta di Siracusa.

I Corintii poi partiti da Leucade col resto delle navi venivano in soccorso il più prestamente potevano. E Gongilo, uno de’ capitani corintii, che con una sola nave erasi mosso l' ultimo, arriva il primo a Siracusa poco avanti di Gilippo. Trovati egli i Siracusani in sul punto di adunarsi per vedere di liberarsi da quella guerra, li rattenne e li rincorò, dicendo che altre navi erano in corso, e con esse Gilippo di Cleandrida speditovi a capitano dai Lacedemoni ; di che i Siracusani presero cuore, e subito uscirono con tutto l’esercito ad incontrare Gilippo che ornai sapevano dover esser vicino. Il quale preso per istrada un forte de’ Siculi chiamato lega arriva ad Epipole aringato in battaglia ; e salitovi dalla parte d’ Eurielo donde erano innanzi saliti gli Ateniesi, marciava coi Siracusani contro le fortificazioni nemiche. E per avventura vi giunse quando appunto gli Ateniesi aveano per sette o otto stadii compito il doppio muro verso il porto grande v

e solo ne restava una piccola porzióne verso il mare, ed anche questa si fabbricava. Pel resto del muro circolare da Trogilo all’altro mare stavanvi già per la maggior parte ammassati vicini i sassi, e in alcuni punti il lavoro era mezzo fatto, ed in altri era rimasto interamente fornito. A tanto di pericolo venne Siracusa.

Per l’improvvisa venuta di Gilippo e dei Siracusani rimasero da primo perturbati gli Ateniesi ; poi si misero in ordinanza. Ed egli fermato il campo dappresso manda un araldo a dir loro che se dentro cinque giorni volessero pigliar quel che avevano ed uscir di Sicilia, sarebbe pronto a pattuire. Non fecero gli Ateniesi verun conto di tal proposizione e rimandarono l’araldo senza risposta ; e dopo ciò si apparecchiava l’un campo contro l’altro per la battaglia. Gilippo vedendo del turbamento tra i Siracusani, e della difficoltà per ridurli al buon ordine , ritirò il cnmpo in luogo più aperto ; e Nicia stava fermo presso le sue fortificazioni, e non fece muovere gli Ateniesi. Poiché Gilippo ebbe osservato che non gli venivano incontro, ritirò l’esercito sopra l’altura chiamata Temenite ove passò la notte. U giorno dipoi condusse seco e schierò la maggior parte dell’esercito presso le mura degli Ateniesi, affinchè non potessero accorrere altrove ; e un’altra parte ne spedì al forte di Labdalo che rimaneva fuor della vista del nemico , e lo espugnò ed uccise quanti trovò in quello. Nel medesimo giorno fu dai Siracusani presa una trireme ateniese mentre che entrava nel porto grande.

Dopo questi fatti i Siracusani e gli alleati, incominciando dalla città , tiravano su per l’Epipole a riscontro del primo obliquo un altro muro scempio, acciocché gli Ateniesi, se non potessero impedirlo, restassero ornai nell’ impossibilità di serrare aifatto Siracusa. Avevano già gli Ateniesi riguadagnate le alture e compiuto il muro

verso il mare, la debolezza del quale in alcuni punti mosse Gilippo a prender l’esercito, e ad andare di notte ad assaltarlo. Ma gli Ateniesi, che per avventura pernottavano al sereno, sentita la cosa gli andarono incontro, e lo Spartano a quella vista ritirò prestamente i suoi. Allora gli Ateniesi aumentata l' altezza del muro, in quella parte lo guardavano da per sè, e sul rimanente della fortificazione assegnarono agli altri alleati il luogo ove ciascuno dovea stare di guardia. E Nicia stabili di munire il cosi detto Plemmirio, che è un rilevato di faccia alla città, e che stendendosi dinanzi al porto grande ne ristrigne l’imboccatura \ munito il quale stimava che più agevolmente si potrebbero trasportare i viveri alle sue navi, perchè là più da vicino minaccerebbero il porto piccolo, di cui erano padroni i Siracusani; e ad una qualche mossa della flotta nemica non avrebbe dovuto condurvele, siccome allora , dal fondo stesso del porto. Senza di che avea già maggiormente l’animo alla guerra per mare, vedendo che dopo l’arrivo di Gilippo poca o nissuna speranza rimaneva per essi nelle cose di terra. Pertanto fatto passare colà l’esercito e le navi, vi fabbricò tre bastite ove si riponevano la maggior parte delle bagaglie ; e le barche grandi e le navi sparvierate d’ora in avanti aveano ivi stazione. E da ciò ebbero principio i gravi malanni delle ciurme, poiché avevano scarsità d’acqua e questa non vicina, e di più quando uscivano a far legna restavano uccisi dalla cavalleria de’ Siracusani padroni della campagna, i quali avevano collocato nel castello d’Olimpico la terza parte dei loro cavalli, perchè quei nemici che erano in Plemmirio non venissero fuori a fate del guasto. Inoltre Nicia sentiva dire che si avanzavan le altre navi de’ Corintii, e però spedi in osservazione venti delle sue, con ordine di stare alle vedette nelle vicinanze dei Locrii e di Reggio, e nei luoghi di facile sbarco in Sicilia.

Gilippo intanto edificava il muro a traverso l’Epipole, usando dei sassi che gli Ateniesi avevano ammassati per sé, e al tempo stesso conduceva fuori di quando in quando i Siracusani e gli alleati, e gli attelava dinanzi alle fortificazioni nemiche : e gli Ateniesi a neh’essi si schieravano loro di fronte. Or Gilippo, quando gli parve opportuno , incominciò l’assalto; e venuti alle mani combattevano nell’intervallo de’muri, ove non era di alcun uso la cavalleria de’ Siracusani e degli alleati, che però rimasero vinti e ripresero con salvocondotto i cadaveri ; e gli Ateniesi ersero trofeo. E Gilippo convocato l’esercito disse che la colpa non era stata di loro ma sua , perchè coll’ordinare la battaglia troppo dentro ai muri, avea operato che restassero privati del vantaggio della cavalleria e de’ lanciatori; volerli ora ricondurre contro al nemico; pensassero, li confortava, che in apparecchi non sarebbero inferiori ; ma che incomportabil cosa sarebbe se essi Peloponnesi e Doriesi non presumessero ne’loro animi di dover vincere un ragunaticcio di Ionii e d’isolani, e cacciarli di quel paese.

Dopo di che, venuta l’opportunità, li condusse nuovamente alla battaglia. Nicia poi e gli Ateniesi uscirono incontro ai Siracusani, perchè giudicavano che quand'anche il nemico non volesse essere il primo ad attaccare il combattimento , era per loro necessario il non permettere la continovazione del muro opposto. Conciossiachè il muro dei Siracusani era vicino ad oltrepassare l’estremità di quello degli Ateniesi, e se fosse andato innanzi procurava fin d’allora ai primi questo doppio vantaggio, di vincer sempre combattendo , e d’esser padroni di non combattere. Gilippo adunque condotti i soldati gravi fuori de’muri molto più della prima volta, si azzuffò con gli Ateniesi, sul fianco dei quali avea schierato i cavalli e i lanciatoli in luogo aperto, ove andava a finire la fabbrica de'due muri. Nel calor della pugna i cavalli dettero dentro al corno sinistro ateniese che

aveano di contro e lo volsero in fuga ; per lo che anche il resto dell’esercito vinto dai Siracusani dovette ripararsi precipitosamente nelle fortificazioni. E nella seguente notte i Siracusani furono in tempo a continovare il loro muro , ed a condurlo oltre quello edificato dagli Ateniesi, dai quali non potevano esser più impediti ; laddove essi avevano loro tolto affatto il modo di cingerli con muraglia, anche nel caso che riportassero vittoria.

Appresso le altre navi de’Corintii, degli Ambracioti e de9 Leucadii in numero di dodici, capitanate da Erasinide corintio, approdarono a Siracusa senza essere state scoperte da quelli Ateniesi che erano in osservazione, ed aiutavano i Siracusani a condurre il resto della fabbrica sino al muro trasversale. E Gilippo andava agli altri luoghi di Sicilia raccogliendo genti da mare e da terra , e recando a sè quelle città che non si mostravano disposte, e quelle ancora che del tutto si erano tratte indietro da questa guerra. Furono parimente spediti nuovi ambasciatori siracusani e corintii a Sparta e Corinto, acciò tragittasse in Sicilia un altro esercito in quel modo che più convenisse, o sulle navi da carico, o sulle barche, oaltrimenti, poiché anche gli Ateniesi aveano da capo mandato per soccorso. E i Siracusani armavano la flotta e si andavano esercitando, risoluti di assaggiare il nemico anco con questa ; e con gran calore si applicavano alle altre cose.

Nicia sentendo ciò, e vedendo giornalmente crescere la forza del nemico ed il proprio intrigamento, benché spesso anche per l' innanzi spedisse ad Atene per dar ragguaglio d’ogni fatto in particolare, tanto più il fece allora, essendoché credevasi ridotto in grave fortuna, e se noi richiamassero senza aspetto colle sue genti, o non ne mandassero dell’altre in buon numero, non ci vedeva scampo veruno. E perché temeva che i mandatari, o per insufficienza nel parlare, o per mancanza di spirito, od auche per dir qualche

cosa a grado della moltitudine, non riferissero il vero, scrisse una lettera, stimando che così gli Ateniesi, infor- mali con esattezza della mente sua non travisata dal reJatore, delibererebbero intorno al vero. Pertanto gli spediti ^ da lui partirono colla lettera e colle commissioni che doveano esporre a bocca ; ed egli, tenendo ormai il campo : sotto guardia, vegliava contro i non cerchi pericoli.

All’uscita di questa medesima estate Euzione ge: uerale ateniese unito a Perdicca andò ad oste con molti

Traci sopra la città d’Amfipoli, e non potè espugnarla. Per lo che, partito da Imereo e fatte girare le triremi nello , Strimone, l’assediava di sul fiume: e cosi compievasi questa estate.

All’entrata del verno arrivarono in Atene gli spediti da Nicia , dissero quanto a voce era stato loro ordinato, risposero a quello di che ciascuno gl’interrogava , e consegnarono la lettera che il cancelliere della città, . fattosi avanti, lesse agli Ateniesi j e diceva cosi :

« Ateniesi, voi avete contezza per molte altre mie lettere delle cose passate : ora poi è tempo che non men bene conosciate a che termine siamo, per poter deliberare. Dopo aver noi vinti in più battaglie i Siracusani contro i quali ci mandaste, e dopo aver fabbricato le mu. ra dentro cui ci troviamo, è venuto Gilippo lacedemone con esercito accolto dal Peloponneso e da alcune città di Sicilia. Nella prima battaglia ei restò superato da noi ; ma nella seconda, stretti da molti cavalli e laudatori, dovemmo ripararci dentro le mura. Laonde al presente sospeso il lavoro della circonvallazione, stante la moltitudine de’nemici, siamo inoperosi ; essendoché non possiamo pur valerci di tutto l’esercito, mentre non piccola parte delle geliti gravi si spendono alla guardia delle nostre fortificazioni, lungo le quali hanno i nemici alzato un semplice muro, che ci toglie il modo di poterli circonvallare , a

meno che con molto esercito non si assalga, e si espugri questo muro oppostoci. Ed è avvenuto che dove credevamo di assediare gli altri, noi piuttosto ci troviamo a patir ciò, almeno per la parte di terra ; imperocché a causa della loro cavalleria non possiamo neppure allargarci molto per la campagna.

« Hanno inoltre spedito ambasciatori nel Peloponneso per nuovo esercito , e Gilippo scorre per le città di Sicilia, per muovere ad unirsi seco in questa guerra quelle che ora stanno quiete , e per cavare di bel nuovo dalle altre , se gli riuscirà , genti da pié e fornimento per la flotta. Poiché , a quel eh’ io sento , intendono di tentare le nostre fortificazioni con la fanteria ad un tempo e colle navi dal mare. Nò paia strano ad alcuni di voi, che vogliano assalirci anche per mare ; conciossiachè la nostra flotta ( lo che essi ben sanno ) da primo vigeva si per l’asciuttezza delle navi che per la sanità delle ciurme ; ma ora le navi che da tanto tempo stanno in mare sono marcite , e le ciurme mal concie. Attesoché non possiamo tirare a terra le navi per asciugarle, mentre quelle dei nemici pari alle nostre di numero, ed anche più, ci fanno sempre temere che ci vogliano assalire. Infatti si veggooo essi farne le prove, e di più sta in loro di assalirci, ed hanno maggior potere di seccare le loro navi, perchè ooo stanno come noi in osservazione contro altri.

« All’incontro noi appena saremmo in grado di far ciò se sovrabbondassimo di navi, e non fossimo costretti y siccome adesso, a stare in guardia con tutte. Imperciocché per poco che ci togliessimo da tal vigilanza, ci mancherebbono i viveri che pur ora difficilmente s' intro^ ducono, dovendo rasentare la loro città. Le nostre ciurmi sono state rifinite e lo sono tuttora , per questo perchè dovendo i marinari allontanarsi a far legna, preda ed acqua, vengouo uccisi dai cavalli nemici ; i servi poi, da

che le due armate sono a fronte, disertano. Quanto agli altri che non sono nostri distrettuali, quelli che s’imbarcarono per forza si spargono subito per le città di Sicilia ; quelli poi che ci seguirono, mossi in primo dalla grandezza del soldo, e credendo piuttosto di far denari che combattere, poiché fuor dell’espettativa han veduto la flotta e le altre forze del nemico schierarcisi contro, parte trovata l’occasione di disertare se ne vanno, parte fanno il sitnigliante in quel modo che possono , giacché la Sicilia è grande. Ve ne sono anche di quelli che datisi quivi a mercanteggiare comprano degli schiavi d’Iccara , ed han persuaso i capitani delle triremi ad imbarcarli invece loro; e cosi han guastato l' esattezza della marinaresca disciplina.

« E vi scrivo cosa che ben sapete , cioè, che il vigor delle ciurme è di breve durata, e pochi sono tra i marinari che mossa una volta la nave continovino il remeggio. Ed il peggio è, che io con tutta la mia capitaneria non valgo ad impedir tali disordini, perchè i vostri ualurali son difficili ad esser comandati, e perchè non abbiamo onde riempire le navi ( lo che posson fare i nemici da molti luoghi); ma è giuocoforza che quel che ci resta e quel che si va spendendo, tutto esca dall’apparecchio con cui qua venimmo ; avvegnaché le città ora nostre alleate, Nasso e Catana, non possono sovvenirci. E se i nemici potranno ancora ottener quest’uno, che le terre d’Italia le quali ci nutricano, vedendo lo stato nostro e non soccorrendoci voi, si aggiungano a loro , avranno essi vinta la guerra senza trar colpo , perchè noi resteremo espugnati come per assedio. Certo avrei potuto scrivervi cose più gradite, non già più utili, se pure è vero che dovete deliberare colla piena cognizione delle cose di qua. Inoltre siccome io conosco qual sia la natura di voi, che volete sentire ragguagli piacevolissimi, ma che poi da ultimo ,

se dissimile ne segue l' effetto, ce l' apponete a delitto, cosi ho credulo più sicuro il mostrarvi la verità.

« Ora voglio che andiate persuasi che tanto sol' dati che capitani, in quello per cui da primo venimmo qua, ci siamo portali in modo da non meritare i vostri rimproveri. Ma dappoiché la Sicilia tutta ha cospirato insieme, e vi si attende un altro esercito dal Peloponneso, tenete ornai fermo nelle vostre deliberazioni che le forze di qui non bastano nemmeno per le urgenze presenti, ma che bisogna o richiamar questo esercito, o rimandarvene un altro non minore marittimo e terrestre, e non pochi denari ; e dare lo scambio a me che più non posso rimanere, perchè malato di nefritide. Ed in ciò credo giusto di ottenere il vostro compatimento, perchè mentre sono stato sano molti utili servigi vi ho prestati nella mia carica di generale. Quello poi che volete fare , fatelo subito a primavera, e non mandate la cosa d’oggi in domani ; considerando che le forze di Sicilia si allestiranno da’nemici in poco tempo, quelle del Peloponneso più lentamente si, ma tuttavia se non vi applicherete l’animo, parte si trafugheranno come per l’innanzi, parte vi preverranno

Di tanta importanza erano le cose dichiarate nella lettera di Nicia ; udita la quale gli Ateniesi non lo disposero del comando, ma finché non vi arrivassero altri che volevano eleggere per suoi colleghi, gli aggiunsero due di là, Menaridro ed Eutidemo, acciocché malato com'era non fosse solo nelle fatiche. Decretarono ancora di spedire un nuovo esercito marittimo e terrestre, composto di Ateniesi tolti dal ruolo della città , e di confederati ; ed elessero a comandanti con Nicia, Demostene di Alcistene ed Eurimedonle di Teucle; e subito circa il solstizio d’inverno spediscono quest’ultimo in Sicilia con dieci navi e con veuti talenti di argento, e con la nuova all'armata di là che verrebbe il soccorso, e che in Atene si avrà pensiero di loro.

Demostene poi rimase ad allestire la flotta che dovea partire a primavera, e mandava gli ordini ai confederati , per aver pronti anche da quei luoghi denari e soldatesca grave. Gli Ateniesi spediscono venti navi intorno al Peloponneso, perchè badassero che di là e da Corinto dìssuqo tragittasse in Sicilia ; avvegnaché i Corintii, dopo il ritorno de9 legati che recavano migliori novelle delle cose siciliane, persuasi non essere stata inopportuna quella prima spedizione del loro naviglio, si erano viemaggiormente inanimiti ; e però si allestivano a mandare soldati gravi in Sicilia su navi da carico, e lo stesso facevano i Lacedemoni cavando genti dal restante del Peloponneso. Di più i Corintii armavano venticinque navi , disposti di provarsi a battaglia navale colla guarnigione di Naupatto, affinchè gli Ateniesi da quel luogo avessero manco modo d’ impedire la partenza delle loro navi da carico ; dovendo stare in guardia ad un tempo e sulle difese contro queste triremi che loro si opporrebbero.

Ed i Lacedemoni, siccome innanzi avevano risoluto , si preparavano ad invader l’Attica, confortati a ciò da’Siracusani e da’Corintii fin da quando ebbero nuova del soccorso ateniese per la Sicilia , perchè appunto venisse frastornato da quella invasione. Medesimamente Alcibiade anch’egli insisteva e gli avvertiva che munissero Decelia, e non rallentassero la guerra. Ma principalmente si rinvigorirono i Lacedemoni riflettendo che gli Ateniesi inquietati da doppia guerra contro loro e contro i Siciliani, più fàcilmente potrebbero opprimersi, e stimando che fossero essi stati i primi a rompere la tregua. Laddove nella precedente guerra la trasgressione era stata piuttosto di Sparta, essendoché i Tebani erano andati contro Platea stante la tregua : e sebbene nelle prime convenzioni fosse detto che non si portassero le armi contro chi volesse starsene al giudizio, essi non avean dato retta agli Ateniesi che a

quell’articolo li richiamavano. E per questo pensavano dii? meritamente avessero avuta contraria la fortuna, e si recavano a coscienza la disgrazia di Pilo e tutte le altre che erano loro incontrate. Da che però gli Ateniesi fatlo vela con trenta navi aveano dato il guasto ad alcune terre di Epidauro e di Prasia e ad altri luoghi, ed uscendo da Pilo praticavano il ladroneccio; e da che, ogni qualvolta sorgevano delle differenze sopra alcuni articoli controversi nelle tregue, non avean voluto rimettersi nel giudizio a che i Lacedemoni li invitavano, allora questi stimando esser al contrario ricaduta negli Ateniesi la trasgressione onde prima erano essi rei, si inanimirono per la guerra. E in quest’inverno richiedevano ferramenti a tutti gli alleati, ed apparecchiavano gli altri strumenti per munire Decelia , ed insieme procacciavano da sè stessi soccorsi da mandarsi in Sicilia sulle navi da carico , ed astringevano gli altri Peloponnesi a fare altrettanto. Cosi finiva l’inverno e l’anno diciottesimo di questa guerra descritta da Tucidide.

Al comincia mento della seguente primavera i Lacedemoni e gli alleati guidati da Agide di Archidamo, re dei Lacedemoni, prestissimo invasero l’Attica. E primieramente guastarono il territorio per la pianura ; dipoi spartendo il lavoro città per città, presero a munire Decelia che è distante da Atene circa centoventi stadii, e non molto più che altrettanto dalla Beozia. Questa munizione visibile sino dalla città d’Atene si costruiva nel piano, e nei luoghi più acconci di quel paese per farvi guasto. I Peloponnesi adunque e gli alleati che erano nell’Attica lavoravano alle fortificazioni , e gli altri rimasti nel Peloponneso spedivano circa il medesimo tempo le soldatesche gravi in Sicilia sulle navi da carico. Le quali, fatto vela daTenaro della Laconia, presero l’alto con a bordo secento di grave armatura , parte Iloti de’ migliori scelti da’ Lacedemoni, parte ascritti di

recente alla cittadinanza, sotto il comando di Eccrito spartano; e con trecento Beozii pur di grave armatura capitanati da Xenone e Ni con e tebani, e da Egesandro tespiese. E dietro ad essi non molto dopo i Corintii ne mandarono cinquecento di grave milizia parte propio di Corinto, parte presi a soldo dagli Arcadi, sotto la condotta di Alessarco corintio ; e insieme con essi dugento soldati gravi inviarono i Sicionii, de’quali era duce Sargeo di Sicione. Le venticinque navi poi dei Corintii armate già nell’inverno stavano in osservazione contro le venti ateniesi che erano in Naupatto ;Gno a che non fossero partite dal Peloponneso (ciò che loro premeva) le milizie gravi sulle navi da carico ; ed appunto a quest’oggetto le avevano da prima equipaggiate, affinchè gli Ateniesi non tanto avessero ^animo alle navi da carico, quanto alle triremi.

In questo, mentre si fortificava Decelia, gli Ateniesi subito al principio di primavera spedirono trenta navi intorno al Peloponneso con Caricle di Apollodoro ammiraglio, al quale commisero, che venuto ad Argo richiedesse , secondo i patti della confederazione, soldati gravi per la flotta. Spedirono ancora, conforme aveano disposto, Demostene in Sicilia con sessanta navi ateniesi e cinque chie, e mille dugento soldati gravi ateniesi del ruolo, e quanti isolani da ogni parte poterono adunare; e si procacciarono dai confederati e dai sudditi tutto ciò che avessero di opportuno per la guerra. Aveano già ordinato a Demostene che prima unitosi con Caricle circuisse ed infestasse la Laconia : ed egli andato ad Egina aspettava che venisse a raggiungerlo il rimanente deiresercito che fosse rimasto addietro , e che Caricle avesse preso seco gli Argivi.