History of the Peloponnesian War

Thucydides

Thucydides. Della storia di Tucidide volgarizzata libri otto. Anonymous translator. Florence: Tipografia Galileiana, 1835.

« Chi poi non pensa così, il fatto stesso lo convince. Voi infatti da prima ci invitaste minacciandoci solo del pericolo a che noi pure ci troveremmo , se trascuras-

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simo che foste assoggettali dai Siracusani. Però ora non è giusto che neghiate fede a quella ragione, della quale credevate importante persuader noi colle vostre parole; nè chè vi adombriate perchè siamo qua con armata maggiore di quella che ci vorrebbe contro i Siracusani, dei quali iuvece dovete molto più diffidare. Noi di sicuro non potremmo senza di voi neppur fermarci in Sicilia , e quand’anche per dislealtà la soggiogassimo, saremmo insufficienti a ritenerla, attesa la lunghezza del tragitto e la difficoltà di presidiare città grandi, per le quali si richieggono apparecchi terrestri. I Siracusani all’opposto che vi stanno quasi a ridosso, non con un campo militare, ma con città più potente di questo nostro esercito, son sempre alle vedette contro di voi ; e quand’abbian colta l’occasione di qualche colpo, non se la lasceranno scappare. E ciò, per tacere delle altre cose, hanno dimostrato verso i Leoniini; e adesso osano di incitar voi, quasi foste insensati, contro quelli che attraversano tali loro disegni, e clic (inora sostengono la Sicilia perchè non cada sotto di essi. Ma noi d’altronde vi invitiamo ad assai più vera salvezza, pregandovi a non tradir quella che amendue abbiamo mercè del mutuo soccorso, ed a persuadervi che a costoro anche senza allenii, stante il gran numero, è sempre spianata la strada contro di voi ; e che a voi raramente si presenterà il modo di respingerli con soccorsi sì grandi. I quali se per sospetto lascerete partire o senza effetto o vinti, bramerete dipoi rivederne anche una menomissima parte, allora quando sebben venga tra voi non potrà più in nulla giovarvi.

ce Laonde né voi nè gli altri, o Caraarincsi, non vi lasciate svolgere dall' impostura di costoro. (ìià vi abbiamo parlato la verità intorno ai sospetti addossatici ; e nella fiducia di persuadervi vogliamo in succinto ridimela a memoria. Noi diciamo di avere imperio sulla genie di là per non esser noi stessi soggetti ad un altro ; di prolegger

la libertà di quelli di qui, per non venire offesi da loro; d esser costretti a metter le mani in molte cose, perchè molte son quelle dalle quali abbinino a guardarci; inCne desser venuti e prima e adesso a soccorso degli oppressi qua tra voi, non già spontaneamente ma invitati. E voi non vogliate farvi giudici del nostro operare, nè provarvi come riformatori a distogliercene (che ornai dura cosa sarebbe), ma prendete tutto quello che dalla nostra curiosità e dalle nostre maniere può tornarvi bene, e valetevene. Tenete per certo ancora che questo nostro genio, non che noccia egualmente a tutti, giova piuttosto alla molto maggior parte dc’Greci. Conciossiachè in ogni luogo, anche dove non imperiamo, tanto chi sospetta di vedersi oppresso che chi ha in mira di farlo, per la non manchevole espettativa in che sono, quegli d’aver da noi soccorso da far fronte, questi di non arrischiarsi senza timore andando noi colà , sono entrambi astretti l’uno a metter senno a suo dispetto , l’altro a starsene quetamente in salvo. Anche voi dunque non rigettate questo sicuro refugio comune a chiunque ne abbisogna, cd apparecchiato ora per voi ; ma facendo quello che gli altri uomini far sogliono, invece di star sempre in guardia contro i Siracusani , date opera una volta insieme con noi ad opporre del pari macchinazioni a macchinazioni ».

Tali cose disse Eufemo, ed i Cauiarinesi erano cosi affetti dell’animo : per una parte volevan bene agli Ateniesi, se non in quanto sospettavano die volessero soggiogar la Sicilia; per l’altra erano sempre in discordia co’Siracusani per causa de’confin!. E siccome temevano non di meno che questi co’quali vicinavano, ottenessero vittoria anche senza loro , così da prima aveano mandato ad essi pochi cavalli, ed erano risoluti d'aiutarli in seguito il più mezzanamente che si potesse coi fatti. Ma nel caso presente per non parere d’essersi raffreddati in benevolenza

verso gli Ateniesi, tanto più che erano stati vincitori dell' battaglia , fermarono di dar le medesime parole di risposta ad entrambi. E secondo questo consiglio risposero, che poiché si dava il (¿aso della guerra fra due alleati loro, al presente credevansi in dovere per giuramento di starsene di mezzo. E gli ambasciatori delle due parti se n’andarono.

I Siracusani disponevano le cose loro per la guerra ; e gli Ateniesi accampati in Nasso trattavano co' Siculi per aggiugnerne il più che potessero alla parte loro. Non molli tra essi che più che altro abitavano per la pianura ed erano soggetti a’Siracusani, si alienarono ; quelli poi più dentro terra (ove sempre anche di prima indipendentemente abitavano) di subito, salvo pochi , furono con gli Ateniesi, e portarono all’esercito frumento, ed alcuni eziandio del denaro. E gli Ateniesi guerreggiando coloro che non si unissero con essi, ve ne costringevano alcuni, ad altri impedivano la comunicazione coi Siracusani, che mandavano presidii e soccorsi; e nell’inverno levatisi da Nasso e andati a Catana, rimisero in piedi gli alloggiamenti bruciati già da9 Siracusani, e vi svernarono. Spedirono poi una trireme a Cartagine ricercandone l’amicizia, se possibil fosse cavarne qualche vantaggio ; e mandarono in Etruria ove alcune città si esibivano di uuirsi anch’esse con loro a questa guerra. Fecero inoltre andare in giro de’messaggi ai Siculi e ad Egesta ordinando di allestir per loro più cavalli che potessero; e preparavano tutte le altre cose per la circonvallazione, come mattoni e ferro e quanto occorreva, intendendo di ricominciar la guerra alla primavera. Frattanto i legati siracusani inviati a Corinto ed a Sparla nel trascorrere la costa si davano cura di persuadere gli Itali a non voler porre in non cale quello che facevano gli Ateniesi, perchè di sicuro macchinato anche contro loro; e poiché furono a Corinto tennero discorso facendo intendere che doveano soccorrere i Siracusani per titolo di parentela.

I Corintii decretarono subito di voler essere i primi a soccorrerli con tutta sollecitudine , e mandaron con loro ambasciatori a Sparta perchè cooperassero a persuadere i Lacedemoni di far guerra più apertamente agli Ateniesi, c di spedire qualche aiuto in Sicilia. E già gli ambasciatori de’Corintii erano pervenuti a Sparta ove era andato anche Alcibiade, il quale insieme con gli altri usciti era subito da Turio sopra una nave oneraria , tragittato in principio a Gliene, donde ultimamente fu da' Lacedemoni richiamato a Sparta con salvocondotto, perchè temeva di loro a cagione delle cose de' Mantineesi. E nell’assemblea ivi tenuta accadde che i Corintii, i Siracusani ed Alcibiade persuadevano i Lacedemoni domandando tutti lo stesso. Ma perchè gli efori e gli altri magistrati pensavano di mandare ambasciatori a' Siracusani per impedire loro di pattuire cogli Ateniesi, e non eran disposti a spedire aiuti ; allora Alcibiade fattosi innanzi rinfocolava ed eccitava gli animi dei Lacedemoni con queste parole :

cr Egli mi è forza parlarvi innanzi tratto del mio discredito, acciò pel sospetto di me conceputo non abbiate ad udire con animo men che benevolo le cose comuni. Dico adunque che volendo io riassumere il dritto di ospitalità presso voi, per non so qual colpa da'miei maggiori disdetto, vi facevo piacere tra le altre nella sconfitta a Pilo. Contuttociò, benché io stessi fermo in tal premura, voi nel riacconciarvi con gli Ateniesi, servendovi dell’opra demiei nemici procuraste ad essi potenza, e me vestiste d’ignominia. E però giustamente aveste danno da me quando mi volsi alla parte de’ Mantineesi e degli Argivi, e in tutte le altre cose in che mi vi opposi. Onde se alcuno allora che ebbe a sotFrire si adirava con meco, si ricreda adesso, osservando ciò col lume del vero. Se poi vi ha chi ini tenga men buono perchè fui piuttosto dalla parte del popolo, sappia che neppur in questo caso egli è dirittamente

sdegnato. Conciossiachè noi siamo mai sempre nemici a’tiranni. Ora, tutto quel che si oppone al dominio assoluto si chiama popolo ; e da ciò mi è rimasta sempre la qualità di protettore della moltitudine. Inoltre siccome la città nostra si governa a comune, cosi era necessita seguitar la corrente nelle varie bisogne. Nouostante neH’amministrar la Repubblica noi ci sforzavamo d’esser più discreti di quel che permettesse la sfrenatezza che vi regna. Altri però vi furono, e ancor vi sono , che spingevano la plebe al peggio ; e di costoro è fattura il mio bando. Ma noi presedemmo sulTuniversale, reputando dover di giustizia il conservar nello stato quella forma di governo con che trovavasi grandissimo e liberissimo , e che a ciascuno era stala consegnata. Essendoché quanti abbiam fior di senno sappiamo che sia democrazia, ed io non men bene di verun altro, in quanto avrei più ragion di vituperarla. Ma nulla di nuovo può dirsi intorno a questa riconosciuta scempiaggine. D'altronde il cambiarla non ci parea sicuro con voi nemici alle spalle.

« Tali sono le cause concorse a questo mio di« scredito. Udite ora quello di che voi dovete deliberare, ed io esporvi se pur nulla ne so di più. Primieramente navigammo in Sicilia con animo di soggiogare , potendo, i Siciliani f e dopo loro anche gl' Itali ; e quindi per tentare eziandio gli stati di Cartagine e Cartagine stessa. Riuscendo tutte o la maggior parte di queste imprese , allora volevamo assaltare il Peloponneso conducendovi tutte le forze de’Greci di Sicilia che si sarebbero aggiunte a noi, e molti barbari presi a soldo, e gl' Iberi, ed altri dei barbari di quei luoghi, che oggi sono a confession di tutti i più guerreschi. Dipoi fabbricate molte triremi oltre le nostre (giacché l'Italia abbonda di legname) volevamo con esso assediare intorno il Peloponneso, e al tempo stesso investirlo colla fanteria dalla parte di terra ; e cosi espugnacido

a forza alcune città, ed altre serrandone con tauro, speravamo di agevolmente debellarlo, ed in ultimo aver impero sull’universale de’Greci. Quanto al denaro ed ai viveri, perchè più facilmente ci riuscisse ciascuna di queste cose, li avrebbero somministrati abbastanza le città ivi conquistate, senza toccare le entrate che qui abbiamo.

« Voi avete inteso per la bocca di tale clic ne ha la più minuta contezza quali fossero le nostre intenzioni circa la flotta andata ora in Sicilia ; e gli altri capitani restativi le metteranno ad effetto , potendo, come s’io vi fossi. State ora a sentire che senza il vostro soccorso le cose di là non saran salve. I Siciliani certamente , quanto che sieuo poco esperti, pure accogliendosi insieme potrebbero anche adesso scamparla. Ma i Siracusani da sè soli, e già vinti con tutte le loro genti, e al tempo stesso ristretti dalle navi, saranno inabili a resistere all’armata ateniese di là; e se questa città sarà presa, ecco vinta tutta Sicilia, e subito ancora l’Italia. E quel pericolo, che io testé vi prediceva da quella parte , non starà molto a cadervi addosso. Laonde s’immagini l'iascuu di voi di deliberare non solo sulla Sicilia , ma anche sul Peloponneso, se non farete prontamente quanto sono per dirvi. Manderete colà sulle navi truppe tali che facendo nel cammino il servizio di remiganti sieno poi atte a far quello di milizia grave ; e (quel eh’ io credo anche più utile dell’armata stessa) un generale spartano idoneo a ridurre al buon ordine quelle genti che hanno prese le anni, ed a costringervi quelle che si ricusino. In questo modo quei che vi sono amici s’incoraggiranno maggiormente, e gl' irresoluti più francamente vi si accosteranno. Nel medesimo tempo bisogna romper qui la guerra più scopertamente, a volere che i Siracusani veggano che vi date cura di loro, e resistano con più calore ; e così gli

Ateniesi sieno meno in grado di mandar nuovo soccorso all’esercito loro. Fa d’uopo inoltre fortificare Decelìa nell’Attica , di che soprattutto temono sempre gli Ateniesi ; e tra i mali della guerra questo solo pensano non avere assaggiato. Ora il mezzo più sicuro per nuocere a’ nemici è questo : che quando uno s’accorga di ciò che principalmente temono , di quello appunto s' informi con certezza, e lo porti loro in sul viso. Imperocché è da credere che quel timore nasca dal conoscer bene ognuno di essi dove sta il suo male. E per non parlare di tutti i vantaggi che con quella fortificazione procaccerete a voi stessi ed impedirete a’ nemici, io voglio ridurvi insomma i più rilevanti. Primieramente il più di quelle cose onde è fornito il dominio ateniese verrà a voi, parte preso a forza, parte spontaneo. Dipoi saranno loro tolte subito l' entrate delle miniere d’argento che sono in Laureo, e tutti i vantaggi che presentemente ricavano dalla campagna e dai tribunali. In ultimo (e questo è il più importante) riceveranno meno esattamente le rendite, i quali stimando che voi vigorosamente guerreggiate gli Ateniesi dagli alleati, metteranno dall’ un de’ lati ogni rispetto per essi.

« Che poi queste cose si eseguiscano con prestezza ed energia, sta in voi o Lacedemoni ; poiché senza tema d’ingannarmi confido che elle sieno al tutto possibili. E credo aver diritto di non decadere di stima presso veruno di voi, se riputato una volta amator della patria , vado ora gagliardamente contr’ essa co’ suoi acerrimi nemici ; e di non esser preso in sospetto per le mie parole quasi nascano dalla baldanza propria degli esuli. Perocché esule io sono dalla scelleratezza di quelli che mi bandirono , ma non dal vostro vantaggio ove vogliate udirmi ; nè tengo per nemici maggiori quelli che mi offesero nemico ( voglio dir voi ) di quelli che costrinsero gli amici a diventar nemici. Ho serbato amore alla patria non in mezzo

alle ingiustizie, ma finché ho vissuto in sicuro da cittadino; e credo non andare ad assalir quella che tuttora é mia patria, ma ben piuttosto a ricuperar quella che più non mi è tale. Amante vero della patria non é già colui che avendola ingiustamente perduta si astiene d’andarle contro; ma bensì quegli che per lo desiderio di lei tenti in ogni modo di riaverla. Per lo che, o Lacedemoni, stimo avere ben donde richiedervi che vi valghiate di me francamente in ogni pericolo ed in ogni travaglio, sapendo ?oi bene quel discorso che è per le bocche di tutti, che seda nemico grandemente vi nocqui, potrò giovarvi moltissimo da amico, perché conoscitore delle cose d’Atene argomentavo pur delle vostre; che pensiate che trattate di cose rilevantissime , e però non v' incresca la spedizione in Sicilia e nelFAttica, acciocché riunendovi Ih in soccorso con piccola porzione di truppe possiate salvare i grandi interessi dei Siciliani, ed abbatter qua l’attuale e la futura potenza degli Ateniesi, ed abitar poi sicuri nelle vostre sedi, ed esser duci di tutta la Grecia che a voi s' inchinerà non per forza ma per benevolenza ».

Così parlò Alcibiade. E i Lacedemoni che anch’essi di prima aveano il pensiero di militar contro Atene, e che per circospezione tuttora indugiavano, viemaggiormente ne restarono confortati per gl' insegnamenti di lui sopra ciascuna cosa, stimando averli uditi da tale che ne era ottimo conoscitore. Cosicché applicarono subito Ianimo a munire Decelia, ed a mandar tostamente qualche soccorso a quei di Sicilia. Ed avendo destinato a capitano de’Siracusani Gilippo di Cleandrida gli commisero che consigliandosi con essi e co? Corintii oprasse sì che quelli di là avessero il più vigoroso e sollecito aiuto, secondo che il comportavano i tempi presenti. Chiese Gilippo a’Corintii che immantinente gli mandassero due navi ad Asine e preparassero tutte le altre che pensavano di

spedire, e che all’occasione le avessero pronte a navigare. Ed ossi convenutisi di queste cose partirono da Sparta. Intanto giunse di Sicilia in Atene la trireme spedita dai generali per denari e cavalli. Gli Ateniesi, udite le diniande, decretarono di mandar nutrimento e cavalieri all’ esercito ; e così compievasi l’inverno e l' anno decimosettimo di questa guerra che Tucidide ha descrìtto.

Incominciata appena la primavera della seguente estate, gli Ateniesi di Sicilia salpando da Catana navigarono sopra i Megaresi di Sicilia , le terre dei quali ritengono i Siracusani, fin da quando li ebbero cacciati dalle sedie loro al tempo di Gelone tiranno, siccome per me innanzi è stato detto. Colà scesi a terra diedero il guasto alla campagna , e venuti ad un forte de’ Siracusani senza averlo potuto espugnare , si ricondussero per la via di terra e colle navi al fiume Terea; e recatisi alla pianura la devastavano ed abbruciavano le messi. Uccisero ancora alcuni de’ non molti Siracusani che incontrarono , ed alzato il trofeo ritornarono alle navi , colle quali andarono a Catana; e di la presa vettovaglia marciaron con tutto l’esercito sopra Centoripn cittadella dei Siculi. Ottenuta questa per capitolazione partirono ; e in ritornando davano fuoco alle granaglie degli Inessei e degli Iblei. E pervenuti a Catana vi trovano giunti da Atene dugentocinquanta di cavalleria co’ suoi finimenti ma senza cavalli ( credendosi che questi si procaccerebbero di lì ) con più trenta arcieri da cavallo, e trecento talenti in moneta.

Nell’istessa primavera i Lacedemoni si mossero ad oste contr’Argo e vennero sino a Cleone, donde, sopravvenuto il terremoto, retrocederono. Dopo di questo gli Argivi entrarono in su quel di Turea col quale confinavano , e presero gran bottino ai Lacedemoni, che fu venduto non meno di venticinque talenti. E non molto

appresso, in questa estate, la parte popolare di Tespia assalì i magistrati, ma non potè averli nelle mani : anzi benché fosse soccorsa dagli Ateniesi, alcuni di essa furono arrestati, altri andarono in bando ad Atene.

Nell’estate medesima i Siracusani, poiché intesero che arrivavano cavalli agli Ateniesi, e che già erano per andar contro loro, discorrevano che se il nemico non s'impadronisse d’Epipole, luogo scosceso e situato immediatamente a cavaliere della città, non sarebbe facile ch'e' potessero esser cinti all’ intorno dalle fortificazioni , quand anche perdessero la battaglia. E però intendevano di guardare le strade che ad esso menano, acciocché i nemici non per queste vi salissero inosservati ; che per altra via era impossibile. Imperciocché tutto il rimanente di quel luogo é ripido ed acclive fino alla città, donde tutta la parte interna di esso é visibile ; e dai Siracusani è chiamata Epipole la punta perché di molto sovrasta al restante. Usciti adunque in sul far del giorno con tutte le genti in una prateria lungo il fiume Anapo (e già Ermocrate e gli altri suoi colleghi poco avanti aveano assunto il comando) fecero la rivista delle genti, e prima di tutto separarono settecento scelti soldati gravi sotto il comando di Diomilo bandito d'Andro perchè stessero a guardia d'Epipole, e riuniti accorressero prestamente dovunque abbisognasse.

Il giorno dopo questa notte gli Ateniesi fecero la rassegna delle soldatesche ; e già di soppiatto al nemico da Catana erano approdati con tutta l’armata ad una terra detta Leone, distante da Epipole sei o sette stadii, ove sbarcarono la fanteria; e colle navi fermaronsi a Tapso che è una penisola in un angusto istmo e sporge verso l’alto, ed è poco lontana da Siracusa sì per la via di terra che di mare. Pertanto l’esercito navale degli Ateniesi

in Tapso afforzato l’istmo con palizzata stavasi quieto : ma le genti da piè marciavan subito correndo verso Epipole, e furono in tempo a salirvi dalla parte di Eurìelo prima che accortisene i Siracusani vi arrivassero dalla praterìa ove facevasi la rivista. E sebbene per arrivare dalla prateria a quel luogo vi fosse uno spazio non minore di venticinque stadii, nondimeno ciascuno vi accorse il più frettolosamente possibile, e in ispecie Diomilo co’suoi settecento. In questo modo adunque i Siracusani, azzuffatisi disordinatamente e vinti nella battaglia presso Epipole, si ritirarono in città , perduto Diomilo con altri trecento in circa. Dipoi gli Ateniesi ersero trofeo, e con salvocondotto resero i morti ai Siracusani. Il giorno seguente scesi propio sotto la città, poiché i uemici non uscivano loro incontro , tornarono indietro e fabbricarono a Labdalo un battifolle che guardava Megara in cima a quei dirupati , per avere un deposito di bagagli e provvisioni, caso che volessero avanzarsi per combattere o per edificar fortificazioni.

E poco dopo arrivarono ad essi trecento cavalieri da Egesta, e cento incirca tra de' Siculi, de’ Nassii e ,d’alcuni altri; e dugento cinquanta vi erano degli Ateniesi che aveano ricevuto parte de’cavalli dagli Egestei e da!Catanesi, parte gli avevano comprati : talché ebbero accolti in tutti seicentocinquanta cavalieri. Gli Ateniesi adunque collocato il corpo di guardia in Labdalo andarono verso Sica, ove fermatisi alzarono prontamente il muro all’ intorno. La prestezza loro nel fabbricare atterri i Siracusani, che però uscirono fuori con animo di far battaglia e non lasciar correre la cosa. E già i due eserciti si schieravano di fronte ; quando i generali dei Siracusani vedendo sbandate le proprie genti e non facili a potersi riordinare, le ricondussero in città , salvo una parte dei cavalli che ivi rimasero per impedire agli Ateniesi di trasportare i sassi

e di spargersi più lontano. E gli Ateniesi con una squadra di soldati gravi e insieme con tutta la cavalleria, azzuffatisi coi cavalli siracusani li misero in fuga ed alcuni ne uccisero ; ed alzarono il trofeo per questo equestre conflitto.

Il di seguente alcuni degli Ateniesi lavoravano al muro circolare dalla parte di tramontana, altri unitisi a portare sassi e legnami li deponevano nel luogo chiamato Trogilo, dimano in mano dove mostravasi più corta la linea del muro dal porto grande all’altro mare. E i Siracusani , per le persuasioni d’Ermocrate più che degli altri capitani, non altrimenti volevano arrischiarsi con tutto Fesercito contro gli Ateniesi, ma determinarono per lo migliore di edificare un contrammuro più al basso, dove i nemici condurrebbero il suo ; poiché se si potessero prevenire , e’ rimarrebbon serrati fuori. E se in questo mentre gli Ateniesi accorressero ad inquietarli, essi spedirebbero loro incontro parte dell’ esercito, e sarebbero in tempo a preoccupare e munir con palificate gli sbocchi : se poi si voltassero tutti a contrastarli, dovrebbero allora cessare dal cominciato lavoro. Uscirono adunque i Siracusani, e principiando dalla loro città tiravano un muro obliquo sotto a quello circolare degli Ateniesi, e tagliavano gli olivi del sacro recinto per piantarvi delle torri di legno. Le navi ateniesi non ancora da Tapso avevan fatto il giro per entrare nel porto grande ; che anzi i Siracusani eran tuttora padroni del mare all’intorno; e però gli Ateniesi facevano da Tapso venire per terra il bisognevole.

Ma i Siracusani, poiché credettero bastantemente assicurata la palizzata e la fabbrica del contrammuro , e poiché gli Ateniesi, parte per timore di esser con troppa facilità assaltati se si dividessero, parte per la premura che si davano del loro muro circolare, non erano andati a disturbarli ; lasciata una sola compagnia a

guardia del fabbricato ritornarono in città. Gli Ateniesi guastarono ad essi i condotti che sotterra portavano in città l’acqua da bere : ed avendo osservato che alcuni degli altri Siracusani in sul mezzogiorno tenevansi entro le tende , che alcuni poi erano rientrati in città, e che quelli della palizzata la guardavano negligentemente, misero nella prima schiera trecento de’ loro scelti soldati, e pochi altri parimente scelti di grave armatura, con ordine di lanciarsi improvvisamente di corsa sul contrammuro. E intanto, fatte due parti del rimanente dell’esercito, la prima marciava con uno de’due capitani verso la città, caso che ne uscisse qualche soccorso ; l’altra con l’altro capitano andava contro la palizzata presso la postierla. I trecento, dato l’assalto, espugnano il vallo cui le guardie nemiche abbandonarono, rifugiandosi dentro l’antemurale che cingeva il Temenite , e con esse vi si precipitarono gl’ inseguitori; ma entrati dentro furono a forza ricacciati dai Siracusani. Alcuni degli Argivi e non molti degli Ateniesi vi rimasero morti; e l’esercito tutto insieme nel retrocedere rovinarono il contrammuro, svelsero la palizzata, ne portarono seco i pali ed alzarono trofeo.

Il giorno appresso gli Ateniesi ripigliando il muro circolare lo conducevano sul dirupato che sovrasta al padule, e che da questo lato dell’ Epipole guarda il porto grande, e per dove calando a traverso la pianura e il padule riesciva loro brevissimo il giro (ino al detto porto. Frattanto i Siracusani usciti fuori anch’essi, presero a rifare la palizzata cominciando dalla città, e conducendola per mezzo il padule ; ed insieme accanto ad essa scavavano una fossa , perchè gli Ateniesi non potessero tirare il muro sino al mare. Ma questi fornito il lavoro dinanzi al dirupato, e volendo nuovamente assaltare la palizzata e la fossa dei Siracusani, ordinarono alle navi di girare da Tapso fino al porto grande de’ Siracusani ; e a bruzzolo scesi da

Epipole nel piano gettarono a traverso il padule, ove era melmoso e più consistente , delle imposte ed assi larghe , e valicati su queste prendono in sull’ aurora la palizzata quaci tutta, e la fossa ; e poi s’impadronirono anco del restante. E qui si commise battaglia nella quale vinsero gli Ateniesi ; e i Siracusani che tenevano l’ala destra fuggirono alla città ; quei della sinistra al fiume. I trecento soldati scelti ateniesi volendo precludere a questi il tragitto, s’affrettavano correndo alla volta del ponte ; di che impauriti i Siracusani, siccome avean lì presenti molti cavalli gl’investono, e li mettono in fuga, e sboccano sul corno destro degli Ateniesi. A quest’urto impetuoso rimase spaventata la prima squadra di quel corno ; e Lamaco a tal vista accorreva colà dalla sua ala sinistra con non molti arcieri e con gli Argivi che prese seco. Ma varcata una fossa e rimasto isolato con altri pochi che l' avean varcata insiem con lui, cade morto egli e cinque o sei di quelli che eran seco ; e subito i Siracusani furono in tempo a trascinarli in sicuro al di là del fiume. E vedendosi ornai venire addosso il resto dell' esercito ateniese facevano la ritirata.

Frattanto quei che da prima erano rifuggiti alla città, alla vista di tali cose ripresero animo, e schieraronsi di fronte agli Ateniesi che contro loro si avanzavano. Spediscono inoltre una mano di loro genti ad occupare il ricinto d’Epipole che credevano abbandonato. Infatti prendono e guastano il muro esterno che era della misura di dieci jugeri, e furono impediti di pigliare anche lo stesso ricinto da Kicia ivi rimasto casualmente per malattia. Il quale vedendo che per mancanza di uomini non potreblxmo salvarsi per altra via ordinò ai servi di metter fuoco a quanto vi era di macchine e di legnami dinanzi al muro. E la cosa riuscì come iNicia s’aspettava ; essendoché i Siracusani a cagione del fuoco non seguitarono più innanzi, ma

retrocederono, tanto più che gli Ateniesi dalla pianura ove avean dato la caccia al nemico risalivano al soccorso del ricinto, raentrechè le navi, secondo l' ordine avuto, da Tapso, entravano nel porto grande. Alla vista1 delle quali cose quei Siracusani che erano in sull’altura e con essi tutto il resto dell’esercito si avviarono a gran passi alla città, credendosi inabili colle presenti loro forze a contrastare al nemico di condurre il muro insino al mare.

Dopo di che gli Ateniesi ersero il trofeo e con salvocondotto restituirono i morti ai Siracusani, e riebbero Lamaco e gli altri uccisi con lui. E già trovandosi loro presente tutto l’esercito e navale e terrestre , fatto cominciamento da Epipole e da quel dirupato, serrarono i Siracusani con doppio muro fino al mare. I viveri erano portati all’oste da ogni parte d’Italia; e molti de’Siculi che innanzi se ne stavano a vedere, vennero alleati agli Ateniesi , e dall’Etruria tre navi a cinquanta remi. Parimente tutte le altre cose procedevano ad essi in modo da dare speranza, imperocché i Siracusani giudicavano di non più potere restar vittoriosi nella guerra, da che non veniva pur loro aiuto veruno dal Peloponneso. E tenevano discorsi d’accomodamento tra loro stessi, ed anche con Nicia , che solo dopo la morte di Lamaco aveva in mano il comando. Ma non si veniva con fermezza a capo di nulla; e come doveva aspettarsi da gente sconcertata e assediata più strettamente di prima, molte cose si dicevano a ISicia, e più ancora in città. Inoltre per le presenti calamità era entrato tra loro il sospetto; e però rimossero i generali sotto i quali erano esse accadute, attribuendo il proprio danno alla disgrazia oal tradimento di quelli, ed altri ne sostituirono , cioè, Eraclide, Eucle e Tellia.

Frattanto Gilippo lacedemone e le navi di Corinto erano già nelle acque di Leucade con animo dì recar pronto soccorso in Sicilia. E perchè spesseggiavano ad essi

le cattive novelle e tutte false in questo stesso che già Siracusa era al tutto cinta da muro, Gilippo non avea più veruna speranza di salvar la Sicilia. Se non che volendo conservare l' Italia, egli e Pitene corintio con due navi laconiche e due corintie tragittarono l' Ionio colla massima sollecitudine, e vennero a Taranto. ICorintii poi armate due navileucadie e tre ambraciote , oltre le loro dieci, dovevano mettersi in mare più tardi. Gilippo prima di tutto da Taranto andò come ambasciatore a Turio, stante il dritto di cittadinanza godutavi una volta dal padre. E non avendo potuto recare a sè gli animi degli abitanti, parti di là e andava radendo la costa d’Italia ; quando nel golfo Terineo sorpreso dal vento che alzandosi verso tramontana vi soffia impetuosamente, è trasportato in alto mare; donde, sbalzato da grandissima tempesta torna ad approdare a Taranto; e tirate in sull’asciutto quelle navi che avcan sofferto nella burrasca le rabberciava. JNicia avuto liugua che Gilippo era in corso, non facea nissun conto della pochezza di quelle navi (e il simigliante fecero i Turii) e gli parve che navigasse con apparecchio, anzi che no corsalesco , e però non se ne prendeva nissuna guardia.

Ne’medesimi tempi di questa estate i Lacedemoni con gli alleati invasero il territorio d’Argo , e ne guastarono buona parte. Gli Ateniesi soccorsero gli Argivi con trenta navi, le quali manifesti^simamente ruppero la tregua che avevano co’ Lacedemoni. Conciossiacliò per l’innanzi invece di sbarcare nella Laconia e farvi la guerra insieme cogli Argivi e co' Mantineesi, si ristringevano ad uscir di Pilo ed infestare coi ladronecci le costiere del Peloponneso. E sebbene gli Argivi li avessero spesse volte confortati almeno ad approdare armati nella Laconia, a patto anche di partirne dopo avervi dato il guasto insiein con loro a mcnomissima parte, aveano sempre ricusato di farlo. Ma allora con gli sbarchi falli in Epidauro, Limera

e in Prasia, sotto il comando di Pitoro, di Lespodio e di

Demarato, e negli altri luoghi ove devastarono il territorio, operarono si che i Lacedemoni avessero più onesto motivo di difendersi contro gli Ateniesi. Partiti i quali da Argo colla flotta, e dopo loro i Lacedemoni, gli Argivi entrarono in su quel di Fliasia, diedero il guasto a porzione di quelle terre, uccisero alcuni abitanti, e ritornarono a casa.