History of the Peloponnesian War

Thucydides

Thucydides. Della storia di Tucidide volgarizzata libri otto. Anonymous translator. Florence: Tipografia Galileiana, 1835.

Avendo gli Argivi abbandonata la confederazione di Atene, i Mantineesi, tuttoché in principio si mostrassero renitenti, nondimeno poi vedendosi mal atti a resistere

senza gli Argivi, si fecero anch’ essi alleati dei Lacedemoni e abbandonarono il governo popolare. I Lacedemoni e gli Argivi entrambi con mille soldati uscirono ad oste, ed i Lacedemoni stessi pervenuti a Sicione ordinarono con più fermezza reggimento di pochi. Acconciate in questo modo le cose di Mantinea e Sicione, abolirono il governo del popolo anco in Argo, e vi stabilirono quello degli ottimanti m congruenza allo stato dei Lacedemoni. Questi fatti succedevano sul cader dell' inverno, e già verso primavera ; e finiva l’anno quattordicesimo della guerra.

Sopravvenendo l’estate i Dittidiesi del monte Ato si staccarono da Atene per unirsi ai Calcidesi, e i Lacedemoni davano sesto alle cose dr Acaia che prima non erano loro a grado» Ad Argo i popolani appoco appoco fatta conspiratone e preso animo, colsero il tempo che a Sparta celebravansi i giochi dei fanciulli j assalirono la parte dei pochi, e venuti a battaglia con essi in città li vinsero, e parte ne uccisero, parte ne bandirono. I Lacedemoni, i quali mentre i loro fautori ve li chiamavano avevano lungamente differito l’andarvi, sospesero allora i giochi dei fanciulli, e si mossero per soccorrerli. Giunti che furono a Tegea , e saputa la vittoria riportata sui pochi, non vollero venire più innanzi, con tutto che ne li pregassero alcuni di quelli che si erano salvati ; ma ritornati a casa ripresero i giochi dei fanciulli. Vennero di poi a Sparta per dar contezza del fatto i legati sì degli Argivi restati in città, che dei banditi : e dopo molte cose dette dalle due parti, presenti pure gli alleati, i Lacedemoni sentenziarono il torto essere di quelli di città , e risolvettero di marciare contro Argo. Ma si frapponevano degl’indugi e si procrastinava. Frattanto il popolo di Argo, perchè temeva dei Lacedemoni, e perchè voleva di nuovo procacciarsi la confederazione di Atene che credeva dovergli essere vantaggiosissima , prende a fabbricare le mura lunghe sino al mare, a

fine che nel caso di esser serrati dalla parte di terra, potessero aiutarsi colle vettovaglie introdotte da quella di mare, mediante l’aiuto degli Ateniesi. Gli Argivi adunque erano lutti affollati a costruir quelle mura , uomini, donne e servi, ed alcuni delle città peloponnesie vi prestavano l’opera loro ; e fino da Atene erano loro venuti muratori e scarpellini : e finiva l’estate.

Nel seguente inverno i Lacedemoni come seppero che si fabbricavano le mura ad Argo (ove tenevano segrete pratiche con alcuni ) marciarono contro essa insieme con gli alleati , tranne i Corintii, sotto la condotta di Archidamo re di Sparta. E quantunque le pratiche, che credevano già preparate in città , andassero a vuoto, nondimeno espugnarono e demolirono le mura che si andavano fabbricando , ed occuparono Isia castello del territorio argivo ; ed uccisa tutta la gente libera che avevano presa retrocederono , e si divisero per tornare ciascuno alla sua città. Gli Argivi anch’essi dopo questo fatto portarono le armi contro la Fliasia , nè si ritirarono se non dopo averla saccheggiata ; perchè vi erano stati ricevuti i loro banditi; la maggior parte de’quali si era stanziata colà. In questo medesimo inverno gli Ateniesi bloccarono in Macedonia Perdicca , accusandolo d’aver giurato lega con gK Argivi e co’ Lacedemoni ; e di aver mentito P alleanza quando ebbero'apparecchiato l’esercito sotto la coodotta di Nicia di Nicerato per andar contro i Calcidesi di Tracia , e contro Amfipoli, ove a motivo della sua ritirata principalmente erasi quell’esercito sbandato. E però era egli loro nemico. E in questo stato di cose finiva l’inverno , e l’anno decimoquinto della guerra.

Al principio della nuova estate Alcibiade navigò con venti navi ad Argo , ed arrestò trecento Argivi creduti sospetti e parteggianti dei Lacedemoni, e gli Ateniesi li depositarono nelle vicine isole di loro dominio. Quindi gli

Ateniesi andarono contro l’isola di Melo , con trenta delle loro navi, sei di Chio e due di Lesbo, mille dugento soldati di grave armatura, trecento arcieri e venti saettatori a cavallo , più mille cinquecento di grave armatura, tra de’ confederati e degl’ isolani. Quei di Melo , perchè colonia dei Lacedemoni, non volevano obbedire agli Ateniesi come gli altri isolani : e però sulle prime stavano tranquilli nella loro neutralità ; sino a che col guasto delle terre furono dagli Ateniesi costretti a pigliare scopertamente le armi. Adunque Cleomede di Licomede, e Tisia di Tisimaco capitani ateniesi, che col detto apparecchio si erano messi ad oste nel territorio di Melo, prima di danneggiarlo cominciarono ad inviare a parlamento dei legati, cui i Melii non condussero innanzi al popolo ; ma pregavanli ad esporre il motivo di loro venuta dinanzi ai magistrati ed ai magnati. Onde i legati ateniesi parlarono cosi :

Ateniesi. « Siccome non si ha da favellare al popolo , acciò la moltitudine anche una sola volta sentendo certamente da noi in un continovato discorso ragioni attrattive e irrefragabili, non resti ingannata (che questo vostro conducimento innanzi a pochi veggiam bene tendere a ciò), voi medesimi che state a consesso assicurate anche meglio questo vostro proponimento. Non decidete neppur voi di ciascuna cosa che diremo per un solo discorso continovato , ma ripigliate subito la parola a ciò che non vi sembri detto convenientemente. E prima di tutto diteci se vi piace il modo che diciamo ». E gli assessori de’ Melii risposero :

Melii. « Da noi non si biasima l’amichevol maniera di chiarirsi quetamente l' un l' altro ; ma pare che non s’accordi con essa una guerra già presente e non in forse. Perocché vediamo voi stessi venir giudici delle cose che si diranno ; e vi è da aspettarsi che vincendovi iti ra-

gione e per conseguente non cedendo, l' esito di questo colloquio ci apporti guerra ; e rimanendo noi convinti da voi, schiavitù ».

Aten. « Se dunque siete venuti a consesso per iscandagliare i sospetti del futuro, o per tutt’altro che per deliberare della salvezza della patria nel modo che vogliono le presenti cose che avete sott’occhio , ci taceremo : se poi vi siete adunati per quest’ ultimo fine, parleremo ».

Melii. « Egli è naturale e da compatire se ridotti a tal termine ci rivolgiamo a molti oggetti colle parole e col pensiero. Nondimeno quest’assemblea è qui presente per la salvezza della patria ; e , se vi piace, tengasi parola nel modo che c’ invitate ».

Aten. « Noi pertanto non produrremo lunga diceria , alla quale non aggiustereste fede , per mostrarvi cou speciosi nomi che giustamente abbiamo impero perchè distruggitori del Medo, o che cerchiamo vendetta perchè ingiuriati. Nè vi crediamo tali da pensare che colle vostre parole ci persuaderete, di non aver unite con noi le armi vostre per esser colouia de’Lacedemoni ; ovvero di non averci ingiuriati : ma vogliamo che da entrambi si esiga quel che più si può, secondo la vera opinione che abbiamo delle forze nostre; sapendo bene, come voi il sapete, che nelle contese umane si giudica a termini di giustizia quando le forze coattive sono eguali ; laddove i più forti fanno tutto quello che possono, e i deboli menan buono ogni cosa ».

Melii. « Noi certamente crediamo vantaggioso (giacché è forza rifarsi di qui, mentre lasciando da parte la giustizia vi siete proposti di parlar solo di utilità) che non si abolisca da voi un principio generalmente buono ; e che anzi, per chi si trovi in qualche occasione in pericolo, vi sia equità e giustizia ; e così ciascuno , quantunque nou

rìetca a persuadere altri dì qualche cosa colla più rigorosa evidenza, pure ne risenta vantaggio. E ciò stimiamo essere , più che altro, a prò vostro in quanto che, in caso di qualche sinistro, soffrireste più grave vendetta da essere di esempio agli altri ».

Aten. « Ma quand'anche il nostro impero venisse abbattuto, il suo fine non ci sgomenta ; imperciocché quelli che, come i Lacedemoni, sono usi a comandare altrui, non sono formidabili ai vinti. Ora però non abbiamo a fare coi Lacedemoni ; ci duole bensì che i soggetti abbiano ad assalire e vincere chi ha il comando. Ma lasciamo stare nell’ incertezza questo caso. Noi vogliamo solo dimostrarvi che siamo qui per procurare il vantaggio del nostro impero , e che ora parleremo per bene della vostra città, desiderando di avere impero su voi senza vostro incomodo, e di vedervi salvi con vantaggio di tutti e due ».

Melii. « Ma come può stare insieme l’utilità per noi del servaggio, con quella per voi del comandare ? »

Aten. « Perchè vi verrà fatto di restar sudditi prima di aver sofferto gli estremi disastri ; e noi troveremo guadagno del non avervi distrutti ».

Melii. « Ma a condizione di restar noi in pace e di esservi amici anzi che nemici, senza entrare in lega con voi nè con altri, non ci accettereste ? »

Aten. « No; perchè c’è men dannosa la vostra nimicizia ; in quanto che l’amicizia vostra sarebbe pei nostri sudditi una riprova della nostra debolezza , e l’odio lo sarebbe della nostra potenza ».

Melii. « Ed hanno poi i vostri sudditi tale opinione di ciò è che equità, da metter tutti alla pari tanto i popoli che in nulla vi appartengono , quanto gli altri molti, vostre colonie , alcuni dei quali ribellatisi sono stati soggiogati ? »

Aten, « Sì ; perchè delle giustificazioni credono che non ne manchi a nissun de’ due, e che però qm che si reggono lo debbano alla forza, e che noi non gli assaltiamo per paura. Onde, essendoci voi sottomessi, oltre al dar nuovi sudditi all' impero ci procurerete anche sicurezza ; tanto più se voi isolani, e non già più deboli degli altri, non riusciate a vincere noi padroni de) mare ».

Melii. « E fia vero che non troviate sicurezza in quell’altra nostra proposizione ? Poiché anche qui bisogna che, siccome voi impedendoci di parlare con titolo di ragione, ci persuadete ad obbedire al vostro interesse, cosi dal canto nostro dichiarandovi quel che è utile per noi, ci proviamo a persuadervi che quel medesimo lo sia anco per voi. E vaglia il vero : come potrete non inimicarvi tutti quei che sono fuori della lega di entrambi, ogni volta che , vedendo questo vostro procedere con noi, dovranno credere che prima o poi anderete pure contro di loro? E che altro fate in questo modo se non ingrandire i presenti vostri nemici, e indurre a malgrado loro a divenirlo quei che forse non lo sarebbero stati ? »

Aten. « Ragioni meschine ! Non abbiam paura dei popoli di terraferma che godendosi la loro libertà non avranno punta fretta a mettersi in guardia contro di noi ; ma temiamo principalmente degl’ isolani, o liberi come voi, o esacerbati già dal governo nostro a cui soggiacciono per forza. Imperocché costoro, abbandonandosi d’ordinario alle più grandi sconsigliatezze, potrebbero mettere sè e noi in pericoli che pur troppo prevediamo ».

Melii. « Certamente adunque se tanti pericoli francamente affrontate, e voi per non perdere l' impero, e i già servi per sottrarsene , sarebbe per noi tuttavia liberi gran viltà e dappocaggine non passare per ogui trafila prima di vederci schiavi ».