History of the Peloponnesian War

Thucydides

Thucydides. Della storia di Tucidide volgarizzata libri otto. Anonymous translator. Florence: Tipografia Galileiana, 1835.

Aten. et No; se pur deliberate con senno: non si tratta per voi di combattimento a forze eguali in prova di valore per non ricevere scorno. Dovete anzi deliberare sulla vostra salvezza, per non opporvi a chi di gran luuga è più potente di voi ».

Melii. « et Sappiamo però che le guerre talora soggiacciono ad eventualità più inaspettate di quel che porterebbe la differenza del uumero dei due eserciti. Per noi il ceder subito cessa ogni speranza ; dove col far di fatti vi è speranza di seguitare a sostenersi ».

Aten. « Ma la speranza, la quale suol essere di conforto nel pericolo, può disastrare, non già spiantare quelli che di lei usano nella sovrabbondanza delle cose : all’opposto chi temerario rischia tutto il suo (essendo la speranza prodiga per natura), la conosce per quello che ella è al punto di sua rovina ; ed essa non gli dà più luogo di guardarsi da lei già conosciuta. Lo che non vogliate che accada anche a voi che siete deboli e propio in sul bilico ; e non vi rendete simili ai molti, i quali potendo umanamente salvarsi, poiché le chiare speranze gli abbandonano nella stretta , si voltano a quelle oscure degli astrologi e degli oracoli, e all’altre siffatte che coll’esca della speranza ti rovinano ».

Melii. « Siate certi che noi crediamo ardua cosa quella di combattere contro le vostre forze, e contro la fortuna, se non potremo farlo alla pari. Tuttavia quanto alla fortuna speriamo con l’aiuto degli Dei che non vi saremo inferiori ; perchè noi gente dabbene ci opponiamo alla vostra ingiustizia. Al difetto poi delle forze supplirà l’unione di quelle dei Lacedemoni, obbligati a soccorrerci, se non altro per parentela e per sentimento di onore : onde per queste ragioni non è affatto temeraria la nostra fiducia ».

Aten. « Ma la protezione degli Dei pensiamo che neanche a noi mancherà, non esigendo o facendo noi

nulla al di là eli quello che gli uomini professano nel culto degli Dei, o vogliono per sé : poiché degli Dei dalla opinione comune, e degli uomini dalla evidenza siamcondotti a credere che per istinto necessario di natura stendono senza eccezione il comando sin dove giungono le forze. Noi pure usiamo di questa legge , non come autori di quella o come primi a praticarla dacché è stata posta; ma perchè l’abbiamo ereditata già in vigore, e perché siamo per lasciarla sussistere per sempre , essendo certi che voi pure e qualunque altro, giungendo in potenza uguale alla nostra, farebbe lo stesso. Ragione dunque vuole che non temiamo di dovere esser da meno quanto alla protezione degli Dei. Quanto poi alla opinione che avete dei Lacedemoni, per la quale confidate che essi vi' aiuteranno per sentimento d’onore , beata la vostra semplicità , ma non invidiamo la stoltezza. Conciossiachè i Lacedemoni, in quel che riguarda loro stessi e la legislazione del paese, fanno prodezze di virtù : quanto poi al modo onde trattano gli altri, lasciando stare quel molto che si avrebbe a dire, dichiareremo in una parola sola colla massima precisione , che pii apertamente di quanti ne conosciamo, tengono per onesto quel che piace , e per giusto quel che é di loro vantaggio. Or tai sentimenti non fanno al caso vostro per quella salvezza di che stoltamente vi lusingate ».

Melii. « E noi appunto per questo confidiamo soprattutto che i Lacedemoni per interesse non vogliano abbandonare i Melii, colonia loro, e rendersi così sospetti di poca fede ai Greci loro amici, ed utili ai nemici ».

Aten. « Dunque voi credete che il proprio interesse si trovi nella sicurezza , e che solo tra i pericoli si eseguiscano i doveri di giustizia e di onestà ? ma dò d’ordinario non sono punto disposti a fare i Lacedemoni ».

Melii. a Anzi crediamo che per noi tanto pii prontamente affronteranno i pericoli, e ci riguarderano

come amici più fermi per loro che per gli altri , in quanto che per i bisogni di guerra risediamo vicini al Peloponneso, e pel sentimento che nasce dalla parentela , meritiamo più confidenza degli altri ».

Aten. «Bene! ma quei che sieno per prender parte ai cimenti non contano certamente sulla benevolenza di chi T invita, ma ognuno guarda se è manifestamente superiore di forze per riuscire negl’ impegni ; e a questo più degli altri badano i Lacedemoni. Ed invero non per altro si uniscono con molti alleati ad assaltare i vicini se non perchè si fidano poco delle proprie milizie ; talché non è certamente da credere che padroni noi del i^iare, vogliano essi tragittare in un’ isola ».

Melii . « Potranno però spedirvi altri : vasto è il mar Cretico, nel quale è più difficile a chi vi signoreggià sorprendere quei che cercano tenersi nascosti, di quello che a questi trovar modo di scansarsi. Se neanco per questa via riescano, si volgeranno contro il paese vostro , e contro il resto degli alleati, ove Brasida non è penetrato. L'voi dovrete travagliarvi non per un territorio che non v’appartiene , ma pel vostro proprio, e per quello della lega ».

Aten. « Quanto a queste minacce, forse forse potrebbe toccar pure a voi a conoscer per prova che gli Ateniesi non si sono mai levati nemmeno da un solo assedio per paura di altri. Riflettiamo poi che dopo esservi protestati di voler deliberare della vostra salvezza , non avete in sì lungo parlare detto nulla che possa umanamente indurre fiducia di restar salvi. I vostri più validi appoggi sono nel futuro della speranza : quelli che ora avete sono piccoli per superare le forze che vi stanno a fronte. Ond’è che mostrate grande irragioncvolezza delibammo se, allontanati noi dal l'assemblea, non vi appigliate ad un partito più saggio di questo. Voi per certo non vi volterete a quel

puntiglio d’onore che ne' pericoli più manifesti e vergognosi rovina d’ordinario gli uomini ; avvegnaché questo così detto puntiglio d’onore colla forza del suo nome attrattivo , molti che pure aveano innanzi agli occhi i precipizi ove correvano , e che si erano lasciati vincere da quel vocabolo , gli ha bel bello tirati di fatto in calamità immedicabili , coll’aggiunta di più vergognosa vergogna, perchè causata da stoltezza e non da caso. Lo che voi schiverete , qualora deliberiate bene. E non crediate sconvenevole il cedere a città potentissima che vi chiama alla sua lega con patti discreti, restando padroni del paese vostro gravato solo di tributo ; e non vogliate perfidiare nel partito peggiore quando v’è data Teletta tra la guerra e la sicurezza. Conciossiachè coloro che non cedono agli uguali, e si portano acconciamente coi più forti, e sono discreti coi più deboli ; questi assicurano più fermamente lo stato» Laonde pensateci anche dopo che ci saremo ritirati, e considerate molte volte che deliberate intorno alla patria, la quale in questo e per questo solo consiglio vostro sarà o fortunata o depressa ».

Quindi gli Ateniesi uscirono dal consesso, ei Melii rimasti soli tra loro persistettero presso appoco nella opinione manifestata colle repliche agli Ateniesi, e risposero così : « Ateniesi, il consiglio nostro non è niente diverso da quel di prima , nè vogliamo in picciol tempo torre la libertà a questa patria nostra abitata ornai da settecento anni. Anzi confidando nella fortuna che per favore divino la sostenne fino ad ora, e nel soccorso umano dei Lacedemoni, faremo ogni sforzo per salvarci. Nondimeno v’ invitiamo ad averci per amici, senza che siamo nemici d’alcuna parte ; e a ritirarvi dalla nostra terra fermando quell’accordo che più sembri opportuno per entrambi

Questa risposta diedero i Melii; e gli Ateniesi, sciogliendosi dall’abboccamento, dissero : « Voi siete adun-

que i soli, per quanto ci pare con queste vostre deliberazioni, che giudicate più evidenti le cose future di quelle sottocchio, e risguardate come successe quelle incerte, solo perchè le bramate. E nel vostro, a dir vero, troppo franco abbandono in braccio ai Lacedemoni, alla fortuna, alle speranze, troverete pure la più gran rovina ».

Tornarono i legati ateniesi al campo, ove i loro generali sentendo che i Melii non cedevano in nulla, si colsero subito alla guerra ; ed assegnata alla soldatesca di ciascuna città una parte del lavoro, presero a cingere i Melii con muraglia. Finalmente vi lasciarono guardia di loro e dei confederati dalla parte di terra e di mare, e col più dell’esercito partirono. Le genti lasciatevi stavano ferme all’assedio della città.

Al tempo medesimo gli Argivi assaltarono la Fliasia : ma colti per imboscata dai Fliasii e dai fuorusciti d’Argo ne morirono circa ottanta. Gli Ateniesi di Pilo fecero gran bottino sui Lacedemoni, i quali per riscatto , senza però rinunziare al concordato, commettevano contrassi delle ostilità; e bandirono che a chiunque dei loro piacesse, usasse rappresaglie su gli Ateniesi. Anche i Corintii ebbero guerra con gli Ateniesi, per private differenze ; il resto del Peloponneso era in calma. I Melii assalirono ed espugnarono di notte il muro fatto dagli Ateniesi dirimpetto al mercato, uccisero alcune guardie , introdussero frumento e quante più robe poterono in città; ove rientrati stavano quieti. A ciò provvidero in seguito gli Ateniesi con guardia migliore ; e finiva l’estate.

Al venir dell’inverno essendo i Lacedemoni in prociuto di marciare sul territorio argivo, poiché le vittime offerte sulla frontiera pel passaggio non erano propine , tornarono indietro, gli Argivi, che avean preso in aspetto alcuni de' loro cittadini , valendosi di questa dilazione dei Lacedemoni, ne arrestarono una parte ; e gli altri

fuggirono loro di mano. Quasi al tempo stesso i Melri presero di nuovo un’altra porzione dei muro degli Ateniesi difesa da poche guardie : se non che per questi successi venne finalmente da Atene altra gente comandata da Filocrate di Demea, ed allora assediati vigorosamente, e traditi pure da alcuni dei loro si resero alla discrizione degli Ateniesi, i quali uccisero quanti dei Melii erano giunti alla pubertà, fecero schiavi i fanciulli e le donne, e presero ad abitare da sè stessi quella terra, dove poi spediròno cinquecento coloni.

In questo medesimo inverno gli Ateniesi avevàtio In animo di navigare in Sicilia con apparecchiamento maggiore di quello di Lachete e di Eurimedonte, per tentare di soggiogarla. I più di loro ignoravano la grandezza di quell’isola, e la moltitudine de’Greci e barbari che l’abitavano; e non vedevano che cosi imprenderebbero una guerra non molto inferiore a quella contro i Pelopomiesi. Imperciocché ci vogliono poco meno che otto giorni per girar la Sicilia con una nave da carico ; e sebbene sia tanto vasta, appena venti stadii di mare vi si attraversano perchè non sia terraferma.

Ora dirò come ella fosse da primo abitata, e quanti popoli avesse in tutti« Gli abitatori più antichi di una parte di quel paese dicesi essere stati i Ciclopi e i Lestrìgoni ; dei quali non saprei dire la stirpe , nè il luogo onde vennero, nè dove andarono. Contentiamoci adunque di ciò che ne hanno detto i poeti, e di quello che ognuno in qualche modo ne sa. Primi ad abitarvi dopo di questi

paiono i Sicani, i quali piuttosto al dir loro vi erai già d' innanzi perchè nati di lì : ma il vero è che sai Iberi cacciati dai Ligii di sul Sicano, fiume in Iberia; che da essi l’isola chiamata prima Trinacria, fu allora di ta Sicania ; ed abitano anche adesso il ponente di Sicifa Preso poi Ilio alcuni Troiani scampati dagli Achei gioì gono su delle barche in Sicilia , ove acconciatisi a confi J dei Sicani furono tutti insieme chiamati Eli mi, e le cidi loro Erice ed Egesta. Si unirono di più ad abitar coi essi alcuni dei Focesi di ritorno da Troia , in quel tempo dalla tempesta primieramente sbalzati sulla Libia, e quindi di là passati in Sicilia. Ed è fama che i Siculi fug» gendo, come pare, gli Opicii, dall’ Italia ove avevano li sede passassero su dei foderi in Sicilia, colto un vento favorevole nello stretto ; e forse anche vi tragittarono in altro modo. Sonovi poi ancora dei Siculi in Italia, la quale trasse questo nome da un tale chiamato Italo re degli Arcadi. Venuti adunque costoro in Sicilia eoa molta gente, e superati i Sicani in battaglia, li cacciarono verso le parti meridionali e occidentali dell’ isola, la quale di Sicania fecero che fosse chiamata Sicilia ; ed abitarono 1? campagne più fertili, che dopo il loro tragitto riteneano per quasi trecento anni, prima che vi venissero i Greci ; ed anch’oggi ne posseggono i luoghi mediterranei e quelli verso tramontana. I Fenicii per negoziare coi Siculi abitarono tutte all’ intorno le costiere della Sicilia, occupati i promontori che sporgono in su quel mare, e le isolette adiacenti. Ma poiché vi approdarono molti Greci, quelli? abbandonata la maggior parte di quei luoghi, si riunirono insieme, e fermarono le sedie loro in Moda, in Soloente e in Palermo, vicino agli Elimi ; tra perchè confidavano nella confederazione di questi , e perchè Cartagine è di l' distante un tragitto cortissimo. Ed ecco come e quanti barbari abitarono la Sicilia.

Fra i Greci poi primi a navigarvi furono i Cai» desi di Eubea, con Teucle capo di quella colonia ; fondarono Nasso, ed eressero ad Apollo Archegeta iltare che ora è fuori di città, sul quale i Teori, ogni volta che hanno a partire di Sicilia, fanno prima sacrifizio, anno seguente Archia, uno digli Eraclidi di Corinto , tbbricò Siracusa, cacciati prima i Siculi da quell’isolett che, non più oggi cinta dal mare, forma l’interno della itlà. Quella parte di città che ne resta fuori in terraferia, dopo qualche tempo le fu aggiunta con un muro, divenne assai popolosa. Cinque anni dopo fondata Siacusa , Teucle e i Calcidesi usciti di Nasso, e scacciati olla guerra i Siculi, fondarono Leontini, e quindi Caaua: e i Catauesi presero da sè per capo della colonia ivarco.

Nel medesimo tempo anche Lamide da Megara irrìvò con una colouia in Sicilia, e fabbricò sul fiume datario un castello per nome Trotilo. Di là passò poi a contini, e per poco tempo ebbe parte nel governo coi Calcidesi, dai quali cacciato via , fondò la colonia di Taso ve mori. Da Taso furono parimente banditi i suoi comuni , i quali condotti da Iblone re dei Siculi, che avea radito quella terra, fondarono la colonia dei Megaresi , Riamati Iblei : e dopo avervi abitato quarantacinque e iugent’anni furono mandati via della città e del territorio la Gelone tiranno di Siracusa. Ma prima di questa cacala, cioè cent’anni dopo la fondazione della colonia , fabbricarono Selinuute speditovi a tal uopo Pammilo, il quale Partito di Megara, che era la città madre, insieme con alfa gente forni queir impresa. Quarantacinque anni dopo a fondazione di Siracusa, Antifemo ed Entimo fabbricalo in società Gela , conducendovi coloni l’uno da Rodi, l altro da Creta ; e la città prese nome dal fiume Gela. Il luogo però ove è ora la città, e che fu il primo ad esser

murato, si chiama Lindii; e vi furono stabilite le leggi doriche. I Geloi, a un bel circa cent’otto anui dopo che ivi abitavano, fabbricarono la città di Acragante , che cosi la chiamarono dal fiume Acragante, destinati Aristoneo e Pistilo a conduttori della colonia, e le diedero le leggi stesse dei Geloi. Zancle fu in principio fondata da’ladroni andativi da Cuma città calcidica nella campagna opica : ma in seguito dalla Calcide e dal resto dell’Eubea vi andò gran gente che ne possedette in comune il territorio ; e capi di quella colonia furono Periere e Oratemene, l’uno di Cuma , l’altro di Calcide. Da principio i Siculi la chiamavano Zancle, perchè il castello ha la figura di una falce , e i Siculi chiamano appunto tanclo la falce. Dipoi coloro furono cacciati via dai Samii e da altri Ionii che fuggendo i Medi approdarono in Sicilia.