History of the Peloponnesian War

Thucydides

Thucydides. Della storia di Tucidide volgarizzata libri otto. Anonymous translator. Florence: Tipografia Galileiana, 1835.

Il giorno appresso gli Ateniesi ripigliando il muro circolare lo conducevano sul dirupato che sovrasta al padule, e che da questo lato dell’ Epipole guarda il porto grande, e per dove calando a traverso la pianura e il padule riesciva loro brevissimo il giro (ino al detto porto. Frattanto i Siracusani usciti fuori anch’essi, presero a rifare la palizzata cominciando dalla città, e conducendola per mezzo il padule ; ed insieme accanto ad essa scavavano una fossa , perchè gli Ateniesi non potessero tirare il muro sino al mare. Ma questi fornito il lavoro dinanzi al dirupato, e volendo nuovamente assaltare la palizzata e la fossa dei Siracusani, ordinarono alle navi di girare da Tapso fino al porto grande de’ Siracusani ; e a bruzzolo scesi da

Epipole nel piano gettarono a traverso il padule, ove era melmoso e più consistente , delle imposte ed assi larghe , e valicati su queste prendono in sull’ aurora la palizzata quaci tutta, e la fossa ; e poi s’impadronirono anco del restante. E qui si commise battaglia nella quale vinsero gli Ateniesi ; e i Siracusani che tenevano l’ala destra fuggirono alla città ; quei della sinistra al fiume. I trecento soldati scelti ateniesi volendo precludere a questi il tragitto, s’affrettavano correndo alla volta del ponte ; di che impauriti i Siracusani, siccome avean lì presenti molti cavalli gl’investono, e li mettono in fuga, e sboccano sul corno destro degli Ateniesi. A quest’urto impetuoso rimase spaventata la prima squadra di quel corno ; e Lamaco a tal vista accorreva colà dalla sua ala sinistra con non molti arcieri e con gli Argivi che prese seco. Ma varcata una fossa e rimasto isolato con altri pochi che l' avean varcata insiem con lui, cade morto egli e cinque o sei di quelli che eran seco ; e subito i Siracusani furono in tempo a trascinarli in sicuro al di là del fiume. E vedendosi ornai venire addosso il resto dell' esercito ateniese facevano la ritirata.

Frattanto quei che da prima erano rifuggiti alla città, alla vista di tali cose ripresero animo, e schieraronsi di fronte agli Ateniesi che contro loro si avanzavano. Spediscono inoltre una mano di loro genti ad occupare il ricinto d’Epipole che credevano abbandonato. Infatti prendono e guastano il muro esterno che era della misura di dieci jugeri, e furono impediti di pigliare anche lo stesso ricinto da Kicia ivi rimasto casualmente per malattia. Il quale vedendo che per mancanza di uomini non potreblxmo salvarsi per altra via ordinò ai servi di metter fuoco a quanto vi era di macchine e di legnami dinanzi al muro. E la cosa riuscì come iNicia s’aspettava ; essendoché i Siracusani a cagione del fuoco non seguitarono più innanzi, ma

retrocederono, tanto più che gli Ateniesi dalla pianura ove avean dato la caccia al nemico risalivano al soccorso del ricinto, raentrechè le navi, secondo l' ordine avuto, da Tapso, entravano nel porto grande. Alla vista1 delle quali cose quei Siracusani che erano in sull’altura e con essi tutto il resto dell’esercito si avviarono a gran passi alla città, credendosi inabili colle presenti loro forze a contrastare al nemico di condurre il muro insino al mare.

Dopo di che gli Ateniesi ersero il trofeo e con salvocondotto restituirono i morti ai Siracusani, e riebbero Lamaco e gli altri uccisi con lui. E già trovandosi loro presente tutto l’esercito e navale e terrestre , fatto cominciamento da Epipole e da quel dirupato, serrarono i Siracusani con doppio muro fino al mare. I viveri erano portati all’oste da ogni parte d’Italia; e molti de’Siculi che innanzi se ne stavano a vedere, vennero alleati agli Ateniesi , e dall’Etruria tre navi a cinquanta remi. Parimente tutte le altre cose procedevano ad essi in modo da dare speranza, imperocché i Siracusani giudicavano di non più potere restar vittoriosi nella guerra, da che non veniva pur loro aiuto veruno dal Peloponneso. E tenevano discorsi d’accomodamento tra loro stessi, ed anche con Nicia , che solo dopo la morte di Lamaco aveva in mano il comando. Ma non si veniva con fermezza a capo di nulla; e come doveva aspettarsi da gente sconcertata e assediata più strettamente di prima, molte cose si dicevano a ISicia, e più ancora in città. Inoltre per le presenti calamità era entrato tra loro il sospetto; e però rimossero i generali sotto i quali erano esse accadute, attribuendo il proprio danno alla disgrazia oal tradimento di quelli, ed altri ne sostituirono , cioè, Eraclide, Eucle e Tellia.

Frattanto Gilippo lacedemone e le navi di Corinto erano già nelle acque di Leucade con animo dì recar pronto soccorso in Sicilia. E perchè spesseggiavano ad essi

le cattive novelle e tutte false in questo stesso che già Siracusa era al tutto cinta da muro, Gilippo non avea più veruna speranza di salvar la Sicilia. Se non che volendo conservare l' Italia, egli e Pitene corintio con due navi laconiche e due corintie tragittarono l' Ionio colla massima sollecitudine, e vennero a Taranto. ICorintii poi armate due navileucadie e tre ambraciote , oltre le loro dieci, dovevano mettersi in mare più tardi. Gilippo prima di tutto da Taranto andò come ambasciatore a Turio, stante il dritto di cittadinanza godutavi una volta dal padre. E non avendo potuto recare a sè gli animi degli abitanti, parti di là e andava radendo la costa d’Italia ; quando nel golfo Terineo sorpreso dal vento che alzandosi verso tramontana vi soffia impetuosamente, è trasportato in alto mare; donde, sbalzato da grandissima tempesta torna ad approdare a Taranto; e tirate in sull’asciutto quelle navi che avcan sofferto nella burrasca le rabberciava. JNicia avuto liugua che Gilippo era in corso, non facea nissun conto della pochezza di quelle navi (e il simigliante fecero i Turii) e gli parve che navigasse con apparecchio, anzi che no corsalesco , e però non se ne prendeva nissuna guardia.

Ne’medesimi tempi di questa estate i Lacedemoni con gli alleati invasero il territorio d’Argo , e ne guastarono buona parte. Gli Ateniesi soccorsero gli Argivi con trenta navi, le quali manifesti^simamente ruppero la tregua che avevano co’ Lacedemoni. Conciossiacliò per l’innanzi invece di sbarcare nella Laconia e farvi la guerra insieme cogli Argivi e co' Mantineesi, si ristringevano ad uscir di Pilo ed infestare coi ladronecci le costiere del Peloponneso. E sebbene gli Argivi li avessero spesse volte confortati almeno ad approdare armati nella Laconia, a patto anche di partirne dopo avervi dato il guasto insiein con loro a mcnomissima parte, aveano sempre ricusato di farlo. Ma allora con gli sbarchi falli in Epidauro, Limera

e in Prasia, sotto il comando di Pitoro, di Lespodio e di

Demarato, e negli altri luoghi ove devastarono il territorio, operarono si che i Lacedemoni avessero più onesto motivo di difendersi contro gli Ateniesi. Partiti i quali da Argo colla flotta, e dopo loro i Lacedemoni, gli Argivi entrarono in su quel di Fliasia, diedero il guasto a porzione di quelle terre, uccisero alcuni abitanti, e ritornarono a casa.

Ma Gilippo e Pitene poiché ebbero racconciate le navi, da Taranto passarono ai Locrii Epizefirii ; ove inteso più chiaramente che Siracusa non era del tutto cinta di muro, e che anzi recandosi là coll’esercito potrebbero ancora penetrarvi dalla parte d’Epipole, stavano deliberando se dovessero tentar d’eutrarvi per mare prendendo la Sicilia in sulla destra, ovvero tenendosi in sulla sinistra andarvi per terra, dopo aver prima navigato ad Imera ed essersi aggiunti gli abitanti di questa città, e le altre milizie di quei popoli che a ciò indurrebbero. Risolvettero alfine di navigare ad lmera, tanto più che non ancora erano arrivate in Reggio le quattro navi attiche, le quali Nicia vi avea spedite appena seppe della venuta dei Lacedemoni presso i Locrii, quantunque per l’innanzi ne avesse dispregiato il piccolo numero. Prevenendo adunque queste navi che ivi doveano fermarsi in guardia, Gilippo e Pitene traversano lo stretto, e dopo aver fatto scala in Reggio e Messina giungono ad Imera. Nell’esser quivi persuasero

gl' Imerei ad unirsi con loro in questa guerra , ed a seguitarli, ed a somministrare le armi a quanti delle loro ciurme non le avevano (giacché le navi vi erano state tratte a terra ) ; e mandarono poi ordinando ai Selinunti che con tutte le loro forze dovessero venire ad incontrarli in un luogo assegnato. I Geloi promisero di mandar loro una mano di soldati, e lo stesso fecero alcuni dei Siculi, che con più ardore di prima si mostravano pronti ad accostarvisi, perchè di recente era venuto a morte Arconida principe non debole che regnava sopra alcuni Siculi di quelle vicinanze, ed amico degli Ateniesi ; e perchè parca che baldanzoso venisse da Sparta Gilippo. Il quale tolti seco settecento di grave armatura tra delle proprie ciurme e de’ soprassaglicnti, e mille Imerei tra soldati gravi e leggeri, e cento cavalli, ed alcuni de’Selinunti armati alla leggera, e pochi cavalli de’Geloi, e mille Siculi in tutti, s’ indirizzava alla volta di Siracusa.

I Corintii poi partiti da Leucade col resto delle navi venivano in soccorso il più prestamente potevano. E Gongilo, uno de’ capitani corintii, che con una sola nave erasi mosso l' ultimo, arriva il primo a Siracusa poco avanti di Gilippo. Trovati egli i Siracusani in sul punto di adunarsi per vedere di liberarsi da quella guerra, li rattenne e li rincorò, dicendo che altre navi erano in corso, e con esse Gilippo di Cleandrida speditovi a capitano dai Lacedemoni ; di che i Siracusani presero cuore, e subito uscirono con tutto l’esercito ad incontrare Gilippo che ornai sapevano dover esser vicino. Il quale preso per istrada un forte de’ Siculi chiamato lega arriva ad Epipole aringato in battaglia ; e salitovi dalla parte d’ Eurielo donde erano innanzi saliti gli Ateniesi, marciava coi Siracusani contro le fortificazioni nemiche. E per avventura vi giunse quando appunto gli Ateniesi aveano per sette o otto stadii compito il doppio muro verso il porto grande v

e solo ne restava una piccola porzióne verso il mare, ed anche questa si fabbricava. Pel resto del muro circolare da Trogilo all’altro mare stavanvi già per la maggior parte ammassati vicini i sassi, e in alcuni punti il lavoro era mezzo fatto, ed in altri era rimasto interamente fornito. A tanto di pericolo venne Siracusa.

Per l’improvvisa venuta di Gilippo e dei Siracusani rimasero da primo perturbati gli Ateniesi ; poi si misero in ordinanza. Ed egli fermato il campo dappresso manda un araldo a dir loro che se dentro cinque giorni volessero pigliar quel che avevano ed uscir di Sicilia, sarebbe pronto a pattuire. Non fecero gli Ateniesi verun conto di tal proposizione e rimandarono l’araldo senza risposta ; e dopo ciò si apparecchiava l’un campo contro l’altro per la battaglia. Gilippo vedendo del turbamento tra i Siracusani, e della difficoltà per ridurli al buon ordine , ritirò il cnmpo in luogo più aperto ; e Nicia stava fermo presso le sue fortificazioni, e non fece muovere gli Ateniesi. Poiché Gilippo ebbe osservato che non gli venivano incontro, ritirò l’esercito sopra l’altura chiamata Temenite ove passò la notte. U giorno dipoi condusse seco e schierò la maggior parte dell’esercito presso le mura degli Ateniesi, affinchè non potessero accorrere altrove ; e un’altra parte ne spedì al forte di Labdalo che rimaneva fuor della vista del nemico , e lo espugnò ed uccise quanti trovò in quello. Nel medesimo giorno fu dai Siracusani presa una trireme ateniese mentre che entrava nel porto grande.

Dopo questi fatti i Siracusani e gli alleati, incominciando dalla città , tiravano su per l’Epipole a riscontro del primo obliquo un altro muro scempio, acciocché gli Ateniesi, se non potessero impedirlo, restassero ornai nell’ impossibilità di serrare aifatto Siracusa. Avevano già gli Ateniesi riguadagnate le alture e compiuto il muro

verso il mare, la debolezza del quale in alcuni punti mosse Gilippo a prender l’esercito, e ad andare di notte ad assaltarlo. Ma gli Ateniesi, che per avventura pernottavano al sereno, sentita la cosa gli andarono incontro, e lo Spartano a quella vista ritirò prestamente i suoi. Allora gli Ateniesi aumentata l' altezza del muro, in quella parte lo guardavano da per sè, e sul rimanente della fortificazione assegnarono agli altri alleati il luogo ove ciascuno dovea stare di guardia. E Nicia stabili di munire il cosi detto Plemmirio, che è un rilevato di faccia alla città, e che stendendosi dinanzi al porto grande ne ristrigne l’imboccatura \ munito il quale stimava che più agevolmente si potrebbero trasportare i viveri alle sue navi, perchè là più da vicino minaccerebbero il porto piccolo, di cui erano padroni i Siracusani; e ad una qualche mossa della flotta nemica non avrebbe dovuto condurvele, siccome allora , dal fondo stesso del porto. Senza di che avea già maggiormente l’animo alla guerra per mare, vedendo che dopo l’arrivo di Gilippo poca o nissuna speranza rimaneva per essi nelle cose di terra. Pertanto fatto passare colà l’esercito e le navi, vi fabbricò tre bastite ove si riponevano la maggior parte delle bagaglie ; e le barche grandi e le navi sparvierate d’ora in avanti aveano ivi stazione. E da ciò ebbero principio i gravi malanni delle ciurme, poiché avevano scarsità d’acqua e questa non vicina, e di più quando uscivano a far legna restavano uccisi dalla cavalleria de’ Siracusani padroni della campagna, i quali avevano collocato nel castello d’Olimpico la terza parte dei loro cavalli, perchè quei nemici che erano in Plemmirio non venissero fuori a fate del guasto. Inoltre Nicia sentiva dire che si avanzavan le altre navi de’ Corintii, e però spedi in osservazione venti delle sue, con ordine di stare alle vedette nelle vicinanze dei Locrii e di Reggio, e nei luoghi di facile sbarco in Sicilia.

Gilippo intanto edificava il muro a traverso l’Epipole, usando dei sassi che gli Ateniesi avevano ammassati per sé, e al tempo stesso conduceva fuori di quando in quando i Siracusani e gli alleati, e gli attelava dinanzi alle fortificazioni nemiche : e gli Ateniesi a neh’essi si schieravano loro di fronte. Or Gilippo, quando gli parve opportuno , incominciò l’assalto; e venuti alle mani combattevano nell’intervallo de’muri, ove non era di alcun uso la cavalleria de’ Siracusani e degli alleati, che però rimasero vinti e ripresero con salvocondotto i cadaveri ; e gli Ateniesi ersero trofeo. E Gilippo convocato l’esercito disse che la colpa non era stata di loro ma sua , perchè coll’ordinare la battaglia troppo dentro ai muri, avea operato che restassero privati del vantaggio della cavalleria e de’ lanciatori; volerli ora ricondurre contro al nemico; pensassero, li confortava, che in apparecchi non sarebbero inferiori ; ma che incomportabil cosa sarebbe se essi Peloponnesi e Doriesi non presumessero ne’loro animi di dover vincere un ragunaticcio di Ionii e d’isolani, e cacciarli di quel paese.

Dopo di che, venuta l’opportunità, li condusse nuovamente alla battaglia. Nicia poi e gli Ateniesi uscirono incontro ai Siracusani, perchè giudicavano che quand'anche il nemico non volesse essere il primo ad attaccare il combattimento , era per loro necessario il non permettere la continovazione del muro opposto. Conciossiachè il muro dei Siracusani era vicino ad oltrepassare l’estremità di quello degli Ateniesi, e se fosse andato innanzi procurava fin d’allora ai primi questo doppio vantaggio, di vincer sempre combattendo , e d’esser padroni di non combattere. Gilippo adunque condotti i soldati gravi fuori de’muri molto più della prima volta, si azzuffò con gli Ateniesi, sul fianco dei quali avea schierato i cavalli e i lanciatoli in luogo aperto, ove andava a finire la fabbrica de'due muri. Nel calor della pugna i cavalli dettero dentro al corno sinistro ateniese che

aveano di contro e lo volsero in fuga ; per lo che anche il resto dell’esercito vinto dai Siracusani dovette ripararsi precipitosamente nelle fortificazioni. E nella seguente notte i Siracusani furono in tempo a continovare il loro muro , ed a condurlo oltre quello edificato dagli Ateniesi, dai quali non potevano esser più impediti ; laddove essi avevano loro tolto affatto il modo di cingerli con muraglia, anche nel caso che riportassero vittoria.

Appresso le altre navi de’Corintii, degli Ambracioti e de9 Leucadii in numero di dodici, capitanate da Erasinide corintio, approdarono a Siracusa senza essere state scoperte da quelli Ateniesi che erano in osservazione, ed aiutavano i Siracusani a condurre il resto della fabbrica sino al muro trasversale. E Gilippo andava agli altri luoghi di Sicilia raccogliendo genti da mare e da terra , e recando a sè quelle città che non si mostravano disposte, e quelle ancora che del tutto si erano tratte indietro da questa guerra. Furono parimente spediti nuovi ambasciatori siracusani e corintii a Sparta e Corinto, acciò tragittasse in Sicilia un altro esercito in quel modo che più convenisse, o sulle navi da carico, o sulle barche, oaltrimenti, poiché anche gli Ateniesi aveano da capo mandato per soccorso. E i Siracusani armavano la flotta e si andavano esercitando, risoluti di assaggiare il nemico anco con questa ; e con gran calore si applicavano alle altre cose.

Nicia sentendo ciò, e vedendo giornalmente crescere la forza del nemico ed il proprio intrigamento, benché spesso anche per l' innanzi spedisse ad Atene per dar ragguaglio d’ogni fatto in particolare, tanto più il fece allora, essendoché credevasi ridotto in grave fortuna, e se noi richiamassero senza aspetto colle sue genti, o non ne mandassero dell’altre in buon numero, non ci vedeva scampo veruno. E perché temeva che i mandatari, o per insufficienza nel parlare, o per mancanza di spirito, od auche per dir qualche

cosa a grado della moltitudine, non riferissero il vero, scrisse una lettera, stimando che così gli Ateniesi, infor- mali con esattezza della mente sua non travisata dal reJatore, delibererebbero intorno al vero. Pertanto gli spediti ^ da lui partirono colla lettera e colle commissioni che doveano esporre a bocca ; ed egli, tenendo ormai il campo : sotto guardia, vegliava contro i non cerchi pericoli.

All’uscita di questa medesima estate Euzione ge: uerale ateniese unito a Perdicca andò ad oste con molti

Traci sopra la città d’Amfipoli, e non potè espugnarla. Per lo che, partito da Imereo e fatte girare le triremi nello , Strimone, l’assediava di sul fiume: e cosi compievasi questa estate.

All’entrata del verno arrivarono in Atene gli spediti da Nicia , dissero quanto a voce era stato loro ordinato, risposero a quello di che ciascuno gl’interrogava , e consegnarono la lettera che il cancelliere della città, . fattosi avanti, lesse agli Ateniesi j e diceva cosi :

« Ateniesi, voi avete contezza per molte altre mie lettere delle cose passate : ora poi è tempo che non men bene conosciate a che termine siamo, per poter deliberare. Dopo aver noi vinti in più battaglie i Siracusani contro i quali ci mandaste, e dopo aver fabbricato le mu. ra dentro cui ci troviamo, è venuto Gilippo lacedemone con esercito accolto dal Peloponneso e da alcune città di Sicilia. Nella prima battaglia ei restò superato da noi ; ma nella seconda, stretti da molti cavalli e laudatori, dovemmo ripararci dentro le mura. Laonde al presente sospeso il lavoro della circonvallazione, stante la moltitudine de’nemici, siamo inoperosi ; essendoché non possiamo pur valerci di tutto l’esercito, mentre non piccola parte delle geliti gravi si spendono alla guardia delle nostre fortificazioni, lungo le quali hanno i nemici alzato un semplice muro, che ci toglie il modo di poterli circonvallare , a

meno che con molto esercito non si assalga, e si espugri questo muro oppostoci. Ed è avvenuto che dove credevamo di assediare gli altri, noi piuttosto ci troviamo a patir ciò, almeno per la parte di terra ; imperocché a causa della loro cavalleria non possiamo neppure allargarci molto per la campagna.

« Hanno inoltre spedito ambasciatori nel Peloponneso per nuovo esercito , e Gilippo scorre per le città di Sicilia, per muovere ad unirsi seco in questa guerra quelle che ora stanno quiete , e per cavare di bel nuovo dalle altre , se gli riuscirà , genti da pié e fornimento per la flotta. Poiché , a quel eh’ io sento , intendono di tentare le nostre fortificazioni con la fanteria ad un tempo e colle navi dal mare. Nò paia strano ad alcuni di voi, che vogliano assalirci anche per mare ; conciossiachè la nostra flotta ( lo che essi ben sanno ) da primo vigeva si per l’asciuttezza delle navi che per la sanità delle ciurme ; ma ora le navi che da tanto tempo stanno in mare sono marcite , e le ciurme mal concie. Attesoché non possiamo tirare a terra le navi per asciugarle, mentre quelle dei nemici pari alle nostre di numero, ed anche più, ci fanno sempre temere che ci vogliano assalire. Infatti si veggooo essi farne le prove, e di più sta in loro di assalirci, ed hanno maggior potere di seccare le loro navi, perchè ooo stanno come noi in osservazione contro altri.

« All’incontro noi appena saremmo in grado di far ciò se sovrabbondassimo di navi, e non fossimo costretti y siccome adesso, a stare in guardia con tutte. Imperciocché per poco che ci togliessimo da tal vigilanza, ci mancherebbono i viveri che pur ora difficilmente s' intro^ ducono, dovendo rasentare la loro città. Le nostre ciurmi sono state rifinite e lo sono tuttora , per questo perchè dovendo i marinari allontanarsi a far legna, preda ed acqua, vengouo uccisi dai cavalli nemici ; i servi poi, da

che le due armate sono a fronte, disertano. Quanto agli altri che non sono nostri distrettuali, quelli che s’imbarcarono per forza si spargono subito per le città di Sicilia ; quelli poi che ci seguirono, mossi in primo dalla grandezza del soldo, e credendo piuttosto di far denari che combattere, poiché fuor dell’espettativa han veduto la flotta e le altre forze del nemico schierarcisi contro, parte trovata l’occasione di disertare se ne vanno, parte fanno il sitnigliante in quel modo che possono , giacché la Sicilia è grande. Ve ne sono anche di quelli che datisi quivi a mercanteggiare comprano degli schiavi d’Iccara , ed han persuaso i capitani delle triremi ad imbarcarli invece loro; e cosi han guastato l' esattezza della marinaresca disciplina.

« E vi scrivo cosa che ben sapete , cioè, che il vigor delle ciurme è di breve durata, e pochi sono tra i marinari che mossa una volta la nave continovino il remeggio. Ed il peggio è, che io con tutta la mia capitaneria non valgo ad impedir tali disordini, perchè i vostri ualurali son difficili ad esser comandati, e perchè non abbiamo onde riempire le navi ( lo che posson fare i nemici da molti luoghi); ma è giuocoforza che quel che ci resta e quel che si va spendendo, tutto esca dall’apparecchio con cui qua venimmo ; avvegnaché le città ora nostre alleate, Nasso e Catana, non possono sovvenirci. E se i nemici potranno ancora ottener quest’uno, che le terre d’Italia le quali ci nutricano, vedendo lo stato nostro e non soccorrendoci voi, si aggiungano a loro , avranno essi vinta la guerra senza trar colpo , perchè noi resteremo espugnati come per assedio. Certo avrei potuto scrivervi cose più gradite, non già più utili, se pure è vero che dovete deliberare colla piena cognizione delle cose di qua. Inoltre siccome io conosco qual sia la natura di voi, che volete sentire ragguagli piacevolissimi, ma che poi da ultimo ,

se dissimile ne segue l' effetto, ce l' apponete a delitto, cosi ho credulo più sicuro il mostrarvi la verità.

« Ora voglio che andiate persuasi che tanto sol' dati che capitani, in quello per cui da primo venimmo qua, ci siamo portali in modo da non meritare i vostri rimproveri. Ma dappoiché la Sicilia tutta ha cospirato insieme, e vi si attende un altro esercito dal Peloponneso, tenete ornai fermo nelle vostre deliberazioni che le forze di qui non bastano nemmeno per le urgenze presenti, ma che bisogna o richiamar questo esercito, o rimandarvene un altro non minore marittimo e terrestre, e non pochi denari ; e dare lo scambio a me che più non posso rimanere, perchè malato di nefritide. Ed in ciò credo giusto di ottenere il vostro compatimento, perchè mentre sono stato sano molti utili servigi vi ho prestati nella mia carica di generale. Quello poi che volete fare , fatelo subito a primavera, e non mandate la cosa d’oggi in domani ; considerando che le forze di Sicilia si allestiranno da’nemici in poco tempo, quelle del Peloponneso più lentamente si, ma tuttavia se non vi applicherete l’animo, parte si trafugheranno come per l’innanzi, parte vi preverranno