History of the Peloponnesian War

Thucydides

Thucydides. Della storia di Tucidide volgarizzata libri otto. Anonymous translator. Florence: Tipografia Galileiana, 1835.

Sopravvenendo primavera, verso lo spigar del grano, dieci navi dei Siracusani ed altrettante dei Locresi andarono ad occupar Messina di Sicilia, a petizione di questa città che si ribellò agli Ateniesi. Furono i Siracusani i principali autori di questa pratica, perchè vedevano quella terra acconciamente situata ad assaltar la Sicilia , e perchè temevano che gli Ateniesi, fattavi la massa, di H non si movessero una volta ad assalirli con apparecchio maggiore : i Locresi poi, perchè disamando i Reggini , li volevano tribolare con la guerra dalla parte di terra e di mare. Erano ad un' ora entrati i Locresi in su quel dei Reggini con tutte le forze, acciò e’non potessero soccorrere i Me«r sinesi ; tanto più che ne li confortavano alcuni che si trovavano presso loro, usciti di Reggio, la quale , da lungo tempo travagliata dalle sette , non poteva di presente resistere ai Locresi ; che però viepiù francamente l’assalivano. Guastata la campagna partirono i Locresi colla fanteria ; ma le navi guardavano Messina ; e l’altre che si andavano allestendo, presa ivi stazione, dovevano da quel luogo stesso far guerra.

Circa il tempo medesimo di primavera, innanzi che il grano fosse in maturità , i Peloponnesi e la loro lega , condotti da Agide re di Sparta figliolo di Archidamo , invasero l’Attica ; ed accampati visi guastavano il territorio. Gli Ateniesi spedirono in Sicilia le quaranta navi che andavano preparando , e gli altri capitani Eurimedonte e Sofocle , essendovi di prima arrivato Pitodoro , che tra loro era il terzo. Commisero a questi che in tragittando si dessero cura dei Corfuotti di città , corseggiati dai fuorusciti che avevano occupato la montagna ; giacché eran passate colà sessanta navi de’ Peloponnesi per sostenere quelli della montagna ; e perchè credevano (essendo gran fame in città) di potersi agevolmente far padroni di tutto. Ed a Demostene, che dopo il suo ritorno dall’Acaraania era in qualità di privato, accordarono , conforme richiedeva , che, se giudicasse opportuno , si servisse nel giro del Peloponneso di queste medesime navi.

Le quali giunte appena lunghesso la Laconia venne la nuova l' armata de’ Peloponnesi essere già a Corfù : e tanto Eurimedonte che Sofocle avevano fretta per là. Ma Demostene li confortava si fermassero prima a Pilo , e compiutovi il bisognevole, continovassero poi la navigazione. Opponendosi essi sopravvenne per avventura una burrasca che trasportò le navi a Pilo. Allora Demostene subitamente insisteva si cingesse di mura quella terra : esser questo il fine per cui si era imbarcato con loro : mostrava esservi grande abbondanza di legname e di sassi ; ed il sito forte per natura } ed abbandonato insieme con buono spazio di terreno. In fatti Pilo è distante da Sparta intorno di quattrocento stadii, ed è situata in quella contrada che era una volta Messenia , ed ora dagli Spartani detta Corifasio. Rispondevano i capitani esservi molti promontori del Peloponneso abbandonati, qualor volesse rifinire colle spese la Repubblica per farne il conquisto. Ma,

soggiungeva Demostene, parergli molto più degli altri importante questo luogo , perchè vi era accanto il porto , e perchè i Messenii, oriundi di esso ab antico e di una medesima lingua coi Lacedemoni, potrebbero recar loro moltissimi danni, facendo capo in quello , e ne sarebbero custodi fidatissimi.

Contuttociò Demostene non persuase nè i capitani nè i soldati, quantunque poi conferisse il progetto con gli ufficiali subalterni: e però, non potendo riprender mare, si ristava , finché la smania di murare il castello assalì i soldati disoccupati in quella dimora. Laonde messa mano all’opera travagliavano ; e perchè mancavano di ferri da lavorar le pietre, le portavano a scelta e le incastravano in quel punto ove ciascuna combaciasse. Ovunque occorresse il loto , mancando essi di vassoi, lo portavano sulla schiena, curv andosi perchè meglio vi stesse, e consertando le mani di dietro perchè non cadesse : e si affrettavano in ogni maniera di fornire il lavoro nei lati più facili ad espugnare , prima che vi accorressero i Lacedemoni ; giacché la massima parte del luogo era di per sé forte, ite punto abbisognava di mura.

Per avventura i Lacedemoni celebravano una festa , ed insieme facevan poco conto di questa nuova, confidando o che al primo loro presentarsi i nemici sloggerebbero , o che di leggeri prenderebbero a forza il castello. In parte anche li ritenne Faver tuttora Fesercito nell’Attica. Gli Ateniesi, in sei giorni munito il castello dal lato che guarda terraferma e dove era maggiore il bisogno , vi lasciano di presidio Demostene con cinque navi ; e col più della flotta affrettavano la navigazione per a Corfù e Sicilia.

Udita la presa di Pilo i Peloponnesi, che erano nell’Attica, acceleravano il ritorno a casa ; sì perchè i Lacedemoni ed il re Agide giudicavano che il caso di Pilo riguardasse a loro del tutto , sì eziandio perchè essendo

slata immatura l’invasione , mentre il grano era ancor verde, i più penuriavano di vettovaglia , ed il verno aopraggiunto, più rigido di quel che portasse la stagioue, premeva l’esercito. Onde per molte cause avvenne che sollecitassero la ritirata ; e che questa fosse di tutte le invasioni la più breve , essendosi trattenuti nell’Attica quindici soli giorni.

Al tempo stesso Simonide generale degli Ateniesi prese a tradimento Eiona della Tracia, colonia de’Mendei e nemica d’Atene, avendo raccolto molti alleati di quei luoghi e piccola mano di presidiarii ateniesi : ma accorsi prontamente i Calcidesi ed i Bottiesi ne fu discacciato con grave perdita di gente.

Ritornati i Peloponnesi dall’Attica , gli Spartani propio ed i più prossimi dei circonvicini corsero subito a Pilo : ma più tarda fu la mossa del rimanente dei Lacedemoni tornati di fresco da un'altra spedizione. Mandavano in giro pel Peloponneso intimando di soccorrer Pilo il più prontamente ; e spedirono per le sessanta navi che avevano a Corfù , le quali trasportate sull’ istmo di Leucade e non osservate dalla flotta ateniese di Zacinto, giungono a Pilo , ove si trovava anche l’esercito di terra. Ma Demostene, mentre i Peloponnesi navigavano tuttora verso cola , spedi innanzi colatamente due navi (che secondo gli ordini avuti da esso affrettarono il corso) ad avvertire Eurimedonte e gli Ateniesi che erano colla flotta a Zacinto di presentarsi a Pilo , perchè quel luogo pericolava. I Lacedemoni dal canto loro si allestivano risoluti di assaltar quel forte per terra e per mare, confidando di dover espugnare facilmente un lavoro fatto in furia, entrovi poca gente. Nondimeno aspettandosi il rinforzo delle navi attiche da Zacinto , aveano in animo , se pur non lo espugnassero prima del loro arrivo , di asserragliare l' imboccatura del porto , acciò gli Ateniesi non potessero intro-

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dtirvisi; giacché l’Isola chiamata Sfatteria, stendendosi dinanzi al porto e soprastandogli d9 appresso, lo rende sicuro ed angusto alle imboccature ; talché dalla parte del forte degli Ateniesi e di Pilo non più che due navi possono traghettare insieme, e non più di otto o nove dalla parte che guarda il rimanente di terraferma. Inoltre tutta l’isola era boscosa e senza vie perchè disabitata, e di circuito non più grande di quindici stadii. I Lacedemoni adunque intendevano di serrarne l' ingresso colle navi congiunte insieme e volte in fuori colle prore : ma perchè temevano non i nemici gli guerreggiassero da quell’isola, vi fecero passare delle milizie gravi, ed altre ne schierarono per le costiere ; cosicché gli Ateniesi avrebbero nemica l’isola e la terraferma non potendovisi sbarcare. Perocché essendo importuosa quella punta dell’ istessa Pilo ehe fuori della bocca del porto guarda il mare, non avrebbero donde muoversi a soccorrere i loro ; laddove essi senza battaglia navale od altro pericolo speravano di dovere espugnare il castello ove era stato lasciato poco presidio e mancava la vettovaglia. Ciò risoluto trasportarono nell’ isola delle genti di grave armatura sortite da tutte le compagnie , mentre per l’avanti altre ve ne passa« rono a vicenda : quest’ ultime poi che furonvi lasciate erano quattrocentoventi (senza contare gl’ Iloti a loro ser» vizio) capitanate da Epitada di Molobro.

Ma Demostene vedendo che i Lacedemoni erano per assalirlo colle forze navali e terrestri , anch’ egli si apparecchiava. Tratte a secco le triremi , che tra quelle lasciategli aveva ancor seco , ne formò una trincea sotto il forte , e ne armò le ciurme con deboli scudi e la maggior parte di giunco ; essendoché in quel luogo deserto non v’ era da trovar armi : che anzi aveano prese queste cose istesse da una nave corsalesca e da una barchetta messeuia a trenta rematori ivi casualmente arrivate, Ove sì

trovavano da quaranta Messemi di gra\e armatura , dei quali si valse insieme con l’altra sua gente. Schierò pertanto i più sì degli armati che degl’ inermi dal lato di terra ferma ove il castello era meglio munito e forte per natura , ordinando che resistessero alla fanteria qualor li assalisse : ed egli scelti fra tutti sessanta soldati gravi e pochi saettatori, ed uscito del forte avvia vasi alla marina , colà ove si aspettava principalmente che i nemici tenterebbero di sbarcare, in luoghi stagliati e pieni di massi rivolti a 1l' onde , perchè reputava che la debolezza del muro da questo lato li arebbe attratti a farvi ogni prova. E siccome gli Ateniesi, non temendo di dover mai esser vinti dalle flotte spartane , avevano lasciata sguernita di muro questa parte , così ai Lacedemoni sarebbe venuto fatto di espugnare il castello, se riuscissero ad effettuarvi per forza lo sbarco. Demostene adunque su questo lato propio in sul mare ordinava distintamente i soldati gravi, disposto, se possibil fosse , di ributtare il nemico ; e li andava rincorando con questa esortazione :

« Valorosi soldati che meco imprendeste questo pericolo , non sia tra voi chi ponderando tutte le difficoltà che ci stanno attorno voglia in tal frangente ostentare accortezza, invece che, messo a parte ogni riguardo, affrontar fiducialmente il nemico, e scamparla per questa via. Perocché quando le cose son giunte a tal necessità noQ ammettono ponderazione , ma richiedono prontissimo il cimento, lo vedo che stanno per noi moltissimi vantaggi ove vogliamo persistere, senza sbigottire della moltitudine dei nemici, e tradire vituperosamente la nostra stessa superiorità ; avvegnaché io pensi essere a pro nostro la disagevolezza del luogo, e doverci riuscir di giovamento se persistiamo : laddove cedendo, la montata sebbene scabrosa renderassi agevole non essendovi chi la contrasti : ed allora troveremo il nemico più formidabile , perchè

mancante di facile ritirata, quand’anche ne lo cacciassimo a forza. Ed invero fino a che sono sulle navi è cosa leggeri il ributtarli ; ma sbarcati sono alla pari con noi : nè vuoisi troppo temere la loro moltitudine, perchè quantunque sieno molti dovran combattere pochi alla volta stante la difficoltà d’approdare. Inoltre il loro esercito sebbene più numeroso, non è però in terra del pari che il nostro, ma si trova sulle navi, le quali hanno bisogno in sul mare di molte opportune contingenze : di sorte che io penso che le difficoltà di costoro contrabbilancino la pochezza di nostre genti. E per voi , i quali siete Ateniesi e che sapete per esperienza non potersi effettuar giammai per forza lo sbarco sulle terre altrui ( quando vi sia chi resista e non ceda per paura dell’ondate e del veemente impeto delle navi ), per voi si stimo cosa degna tener quivi adesso il fermo, respingere il nemico di sulla schiena del lido , e salvare ad un tempo noi stessi ed il castello ».

Per questa ^esortazione di Demostene , gli Ateniesi si inanimarono maggiormente ; e scesi a basso si schierarono propio lungo il mare. I Lacedemoni mosso il campo assaltarono il forte coll’esercito terrestre insieme e colla flotta composta di quaranlatrè navi , onde era ammiraglio Trasimelida spartano figliolo di Cratesicle , che diede l’assalto ove lo avea preveduto Demostene. Ma gli Ateniesi resistevano da amendue i lati sì di terra che di mare : ed i nemici divisa la flotta in piccole squadre (non potendosi approdare con molte navi) alternamente si riposavano ed alternamente assalivano, usando ogni sforzo ed eccitamento per rispingere i difensori ed espugnare il castello. Sopra tutti poi campeggiava Brasida che comandando la sua trireme, e vedendo che i prefetti ed i piloti, attesa la scabrosità del luogo, schifavano di approdare anche dove sembrava possibile e stavano guardinghi perchè le navi non cozzassero tra loro, gridava

« vitupero ! per risparmiar dei legni trascurar che i nemici abbiano fatte munizioni nel nostro suolo » : sfracellassero , li confortava , le proprie navi per forzare lo sbarco; non badassero gli alleati in tale occasione a sagrificare la loro flotta ai Lacedemoni pei grandi benefizi da essi ricevuti : ma urtassero, ed a qualunque patto scendessero per vincer queiresercito e quel castello.

Nò già contento di incitare gli altri costrinse il suo nocchiero ad urtare in terra colla nave, e si avviava alla scaja : ed ingegnandosi di smontare fu retrospinto dagli Ateniesi con molte ferite, e cadde svenuto nello spazio che è di mezzo alla prua ed ai remiganti ; onde gli venne a calar nel mare lo scudo che trasportato a terra fu raccolto dagli Ateniesi , e se ne servirono dipoi per il trofeo che innalzarono in memoria di quest'assalto. Gli altri iutanto cou tutto che facessero ogni sforzo non valevano a sbarcare, perchè disagevole era quel sito , c gli Ateniesi persistevano senza retroceder d’un passo. Insomma a tale si ridusse il capriccio della fortuna, che gli Ateniesi da terra, e (che più rileva) da terra laconica respingevano i Lacedemoni che gli assaltavan dal mare ; e questi si sforzavano di sbarcare in una terra propria ma inimicata ad essi dagli Ateniesi. Accidente invero maraviglioso perchè in quel tempo a tal segno di reputazione eran giunti i Lacedemoni, che venivano reputati al tutto popoli mediterranei , e nelle battaglie terrestri valorosissimi ; gli Ateniesi all’opposto gente marittima che sulle flotte di grandissima lunga primeggiavano.

I Lacedemoni pertanto dati degli assalti tutto quel giorno e parte del seguente, filialmente desisterono, c il terzo dì spedirono ad Asina alcune navi per legname da macchine, sperando di prender con quelle il muro dalla parte del porto , quantunque e’ fosse alto, perchè ivi era più facile lo sbarco. In questo arrivano da Za cinto

quaranta navi degli Ateniesi, avvegnaché colà fossero sopraggiunte in rinforzo alcune di quelle che stavano di guarnigione a Naupatto, e quattro di Ctiio. Ma quando videro piena di soldati gravi la terraferma e l’isola Sfatteria, e che le navi le quali erano in porto rtou usciva ri loro incontro , dubitando ove approdare , navigarono per allora a Prote, isola poco lontana e disabitata , ove pernottarono. Il giorno dopo fecero vela, disposti di battagliare se i nemici volessero sortire al largo contro loro ; se no , di penetrar colla flotta dentro al porto. Ma i Lacedemoni noit si avanzarono, e non avevano per avvènturà asserragliato le bocche del porto giusta il primo divisamente; anzi tranquilli in terraferma armavano le navi, apprestandosi a combattere nel porto stesso , che non era angusto, se alcuno vi si avanzasse.

Di che accortisi gli Ateniesi vogavano sopr’ essi per le due imboccature del porto ; e scagliatisi sulla maggior parte delle navi, che già colle prore innanzi procedevano contro loro , le misero in fuga. Molte ne ruppero perseguitandole a breve distanza , cinque ne presero, una delle quali entrovi la ciurma, e correvano sopra le altre rifuggitesi a terra : quelle che si stavano tuttavia armando furono messe in pezzi prima di prender mare ; ed alcune donde era precipitosamente fuggita la gente, legandole alle loro, le rimurchiavano vuote. Al veder ciò commossi oltre modo per la sconfitta i Lacedemoni, perchè le loro genti restavano intercette nell’ isola Sfatteria, accorrevano in aiuto, entravano in mare colle armi indosso , ed abbrancando le navi le ritiravano indietro ; avvisando ciascuno dovere andar fallita la prova laddove egli non prestasse l’opera sua. Per lo che grande era quel trambusto e amendue le parti avevano barattato il modo del combattere intorno alle navi ; imperciocché i Lacedemoni per l’ardore e la trepidazione nuli’altro facevano

che , per dir così, dar battaglia navale di sopra terra : e gli Ateniesi, vincitori e desiderosi di avvantaggiarsi al più possibile della presente fortuna , facevano dalle navi battaglia terrestre : cosicché , dopo molto travaglio e molte ferite scambievoli, si separarono, avendo i Lacedemoni salvate le navi vuote , fuor quelle prese da primo. Ricondottisi entrambi agli alloggiamenti, gli Ateniesi ersero il trofeo, restituirono i morti, s’ impadronirono dei rottami delle navi ; e senza indugio volteggiavano attorno all’isola per teuerla guardata, essendovi intercette le genti dei nemici. I Peloponnesi poi, che erano sulla terraferma con quelli già da ogni contrada venuti a soccorso , rimasero al loro posto dinanzi a Pilo.

Uditosi in Sparta l’accaduto a Pilo, fu risoluto che, come per grande sciagura, i magistrati si recassero all’ oste , perchè vista la bisogna prendessero quel partito che più volessero. Ma poiché videro essere impossibile soccorrer le loro genti, e non volevano risicare che elle dovessero esser afflitte dalla fame od oppressate e vinte da un numeroso nemico, stabilirono di far tregua co’generali ateniesi (se loro piacesse) quanto agli affari di Pilo, spedir legati ad Atene circa la convenzione, e tentare di riaverle il più prestamente possibile.

Accettato il partito dai generali fuvvi tregua in questo tenore : che i Lacedemoni condurrebbero a Pilo, e consegnerebbero agli Ateniesi le navi sulle quali avevano combattuto, e tutte quelle lunghe che avevano nella Laconia: non porterebbero nè di terra nè di mare le armi contro quel forte. Gli Ateniesi poi permetterebbero ai Lacedemoni di terraferma di mandare a quei delHsola certa dose di frumento macinato, cioè due cheniche attiche di farina , due cotile di vino, e un pezzo di carne a testa ; e pei serventi la metà. Questa roba si manderebbe a vista degli Ateniesi; nè anderebbe a Sfatteria alcuna barca di

soppiatto. E gli Ateniesi nientemeno che prima terrebbero guardata l’isola , ma senza sbarcarvi, nè porterebbero r armi sia per terra sia per mare contro I9 esercito dei Peloponnesi. Per la più piccola trasgressione a questi articoli da una delle due parti si intenderebbe sciolta la tregua , che durerà (ino al ritorno degli ambasciatori lacedemoni da Atene, i quali dovranno esser condotti e ricondotti sopra una trireme dagli Ateniesi. Tornati essi spirerà la tregua, e gli Ateniesi restituiranno le navi quali le avranno ricevute. — Tali furono i patti della convenzione; si consegnarono le navi che erano circa sessanta, e si spedirono i legati, i quali giunti ad Atene parlarono così :

« Ateniesi, i Lacedemoni ci inviarono qua per trattare, a riguardo dei nostri intercetti nell’ isola, di cosa che vi persuaderemo essere ad un’ ora utile per voi, e decorosissima per noi in questa sciagura, quanto il consentano le cose presenti. E se alquanto ci allungheremo in questa materia , ciò non sarà contro l' usato, mentre è nostro patrio costume non usar molte parole, ove poche bastino; ma al contrario moltiplicarle, ove l’opportunità richieda che dichiarando cose gravissime s’abbia colle parole a procacciare quanto occorre. Ricevetele adunque non inimichevolmente, nè come un ammaestramento quasi foste gente grossolana , ma abbiatele a suggerimento di diritta deliberazione come a gente oculata. Ed invero sta in voi di bene accomodare la presente prosperità col ritener quel che avete , far nuovo acquisto di onore e di gloria, e schivar ciò che interviene a coloro che inusitatamente ottengono qualche bene ; i quali mossi dalla speranza sempre anelano a cose maggiori, appunto perchè di presente prosperano all’ impensata : dove coloro che imbatterono nelle molte vicissitudini dell’alternante fortuna , sono a buon dritto diffidentissimi delle felicità. Ciò

che convenevolmente deve per esperienza essere proprio sopra tutto della vostra Repubblica e di noi.

« Ed apprendete ciò per la veduta delle nostre? presenti calamità. Noi tenuti in grandissima estimazione appo i Greci ricorriamo a voi ; noi che prima credevamo esser piuttosto in istato di accordar quello che ora vi vegnamo chiedendo. Ciò non pertanto non soffriamo questo per difetto di forze, nè per avere insolentito nell’ incremento di esse ; ma andammo falliti nei nostri disegui tutto che presi a misura di quelle che sempre avevamo ; nel qual caso può a tutti egualmente accader lo stesso. Laonde è a voi richiesto che attesa la presente fortezza della vostra Repubblica, sostenuta anche da nuovi acquisti , non vogliate darvi a credere che la fortuna abbia di continuo ad esser con voi. Perciocché prudenti sono tra gli uomini quelli che con sicuro consiglio pongono in ambiguo le prosperità ; stantecliè procederanno essi più saggiamente nelle disgrazie , stimeranno che la guerra non sempre andrà a lor talento qual che si sia il modo con cui uno voglia amministrarla, ma che anderà come la condurranno i destini ; e meno di tutti vacilleranno perchè non gonfiandosi per la fiducia del buon successo nella guerra stessa, le porranno termine quando è propizia la fortuna. Ciò che , Ateniesi, è per voi dicevol cosa adoperare con noi ; acciocché , se mai non andando di ciò convinti, in avvenire vi incolga qualche sinistro (come spesso succede), non s’abbia a credere che per mera fortuna abbiate tanto progredito nelle vittorie ; mentre sta in poter vostro tralasciare ai posteri stabile reputazione di fortezza e di senno.

« Ora i Lacedemoni vi invitano a tregua e scioglimento di guerra esibendovi pace, alleanza ed ogni altra maniera di generosa amistade e mutua fratellanza ; ma chiedono in cambio le loro genti dell' isola, reputando

migliore per entrambi non risicare , o che presentandosi laro qualche scampo abbiano a fuggirne a forza ; o che espugnati, abbiano a trovarsi in servaggio maggiore. Per nostro avviso le grandi inimicizie si dissolvono sopratutto sicuramente , non quando uno colle armi alla mano e superiore di molto in guerra , inlacciando forzatamente il nemico co’ giuramenti, si accordi con inique condizioni ; ma quando, tutto che possa adoprar così, nondimeno per usar condescendenza e vincerlo di cortesia si riconcilia a patti moderati oltre l’aspettativa del vinto. Allora l' avversario essendo obbligato non a vendicarsi come oppresso , ma a ricambiare di cortesia il suo emulo, è più presto a tenersi per sentimento d’ onore dentro ai limiti degli accordi. Lo che sogliono gli uomini adoperare più facilmente coi nemici più graudi, che con quelli coi quali abbiano avute leggere differenze; e sono inclinati per natura a ceder dal canto loro a chi volontario rallenti il suo rigore, e per contrario a pigliar gara anche a mal tempo con chi tropp’alto insolentisca.

« Inoltre questa nostra riconciliazione cade , se mai altre volte, decorosamente in acconcio per entrambi, prima che qualche immedicabile disastro trapponendosi di mezzo ci sorprenda , per cui noi, in aggiunta alla nazionale , fossimo astretti a nutrir una perpetua privala nimistà contro voi ; e prima che voi stessi restiate privi dei vantaggi a cui adesso vi confortiamo. Riconciliamoci adunque mentre le cose son tuttora in pendente ; mentre voi alla vostra gloria aggiungereste la nostra amicizia , e mentre noi prima di sopportar qualche disdoro, acconcieremmo discretamente la nostra sciagura. Scegliamo, sì, amendue pace invece di guerra, e procacciamo agli altri Greci requie dai mali, ed anche in ciò il merito sarà precipuamente vostro ; avvegnaché sieno essi in guerra, ignari chi di noi due l’abbia incominciata : che se ella

cesserà (e questo è più che altro in poter vostro) ne sapranno grado a voi soli. Insomma se ben discemete sta in voi di aver fermamente amici i Lacedemoni che a ciò vi invitano, non col forzarli ma col gratificarli. Riflettete quanti beni naturalmente si comprendono in questa riconciliazione , perocché, noi e voi dicendoci insieme , il rimanente di Grecia essendoci, ben sapete, inferiore, ci terrii in grandissima onoranza ».